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29 marzo 2024

Montebelluna

11.500 km in furgone da Montebelluna a Ulan Bator e… non è finita

Il professor Giulio Montanari è partito il 6 luglio e tornerà solo a gennaio dopo aver attraversato anche Kazakistan, Uzbekistan, Azerbaigian, Georgia e Turchia

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

11.500 km in furgone da Montebelluna a Ulan Bator e… non è finita

MONTEBELLUNA – Un viaggio che molti sognano, quello intrapreso dall’avventuroso Giulio Montanari, professore d’informatica all’istituto Einaudi di Montebelluna (città dove risiede) che dopo gli esami di maturità si è messo al volante del suo pickup con cellula abitativa, una sorta di mini-camper percorrendo ad oggi oltre 11mila chilometri fino in Mongolia. “Questi viaggi servono anche a non fossilizzarmi, ad avere nuovi stimoli da trasmettere ai ragazzi – spiega Giulio -. I ragazzi hanno bisogno di modelli (Miti, come dicono loro) e questi viaggi sono, per loro, un modello che posso offrire non solo a parole ed un modo per guadagnare la loro stima”.

Il professore non è nuovo a queste avventure ed ha già sperimentato viaggi in solitario in Madagascar dove alla fine è rimasto 2 anni e in India, percorsa per 6 mesi per conoscerla ed integrarsi anche professionalmente visto che ha pure insegnato Informatica in una scuola. Ma Giulio è un uomo che coltiva tanti interessi, dagli orti sociali a Montebelluna, all’attività di sub, con il Gruppo Sommozzatori Montebelluna (anche per la protezione civile), che di recente lo ha visto conseguire il diploma d’istruttore sub per disabili. Difficile raccontare le tanti attività di questo viaggiatore che è partito con decine di chili di pasta, per poterla condividere con le persone che incontrerà lungo il suo tragitto.

Tanti gli incontri: sul Bajkal dopo 9mila chilometri si è imbattuto sulla carovana d’auto della Parigi-Pechino; ha ammirato i treni interminabili della Transiberiana; ha sbirciato, un po’ da intruso ad un rito sciamanico nell’isola di Alkhon, nella cittadina di Chuzir. “È un raduno di sciamani (almeno una trentina) che si sono riuniti per celebrare dei riti al fine di invocare la pioggia per spegnere gli incendi che stavano devastando la Siberia – ha scritto nella sua seguitissima pagina Facebook -. Ci sono delle nuvole in cielo ma la foschia che si vede è il fumo degli incendi, non nebbia come credevo io. Stavo passando sulla pista vicino, ho visto la “sagra” mi sono fermato: "par vedar se i fea el speo" e mi sono trovato sta cosa meravigliosa. Gli Sciamani (anche donne) hanno delle maschere con dei fili davanti per nascondere gli occhi, hanno dei vestiti molto pesanti pieni di campagne, corde, sciarpe...”.

Molto interessanti le sua considerazioni di viaggio in un terra dove ha ricevuto decine di inviti dalla gente del posto, con cui ha condiviso il cibo e il racconto delle vite reciproche, trovando sempre gente accogliente e disponibile. “Attraversare la Russia è stata una bella esperienza: se si viaggia per cambiare le nostre idee è stato un viaggio utile. La Russia è un paese più libero e sicuro di quanto non credessi. La polizia è gentile e sorridente: più interessati a vedere il mio "camper" che a trovare documenti fuori posto. I russi sono ospitali: ogni volta che ho campeggiato a meno di 100 metri da dei russi mi hanno invitato a cena, cosa capitata pure in alcuni ristoranti: birra, vodka e foto ricordo a fiumi”.

Ma il viaggio continua e dopo Ulan Bator ora la meta è Samarcanda e attraversare quindi Kazakistan, Uzbekistan, Azerbaigian, Georgia e Turchia. Quanto al futuro: “Avrei un progetto in testa ma più di volontariato da realizzare al mio ritorno ma vedremo. Come viaggio mi mancherebbe Timbuctu (Tunisia, Algeria, Mali, Marocco) ma per ora, vista la situazione in Mali non se ne parla – una considerazione finale quindi -. Ma ci rendiamo conto di quanti paesi è impossibile visitare a causa di guerre più o meno dichiarate? Afganistan e Pakistan niente. Siria, Iraq e Libano non se ne parla... evitare la frontiera Russo-azera, il Nagorno-Karabakh, Cecenia, confine sud Russo-Ucraino... noi non è che ne parliamo molto!”.

 



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Ingrid Feltrin Jefwa

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