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29 marzo 2024

Buon viaggio

Categoria: Altro - Tags: # gastronomia #food #gourmet

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Omar Lapecia Bis | commenti | (9)

Illuminante,innovatore,visionario,coerente,arguto,curioso.

En 1986 naciò el gambero rosso y todo fué nuevo :-D

Così scriveva Stefano Bonilli una settimana fa sul suo blog rispondendo a uno chef spagnolo.Questo è vero poichè creò  una critica gastronomica contemporanea con nuovi prodotti editoriali e aiutando la nascita di una coscienza gastronomica libera e moderna tanto in Italia che in Europa .

 Stefano Bonilli assieme a Sardo e a Petrini furono gli artefici di quella rivoluzione mediatica-gastronomica che oggi permette a noi tutti di parlare di gastronomia in modo e con mezzi diversi. Questo è stato particolarmente importante nei paesi latini Italia  Spagna e la Francia

E’ stata la persona che più di ogni altra ha favorito la crescita di un circuito virtuoso nella ristorazione, scoperto migliaia di produttori, creato un pubblico che prima in Italia non esisteva, messo la penna in mano a decine di giovani. E’ passato dalla carta stampata al web come nessuno della sua generazione è stato capace di fare .

Bonilli è stato giornalista di lungo corso, scuola Manifesto. Assieme al fotografo Tano D’Amico e al collega Pierluigi Sullo, il 12 maggio 1977, videro il presunto assassino di Giorgiana Masi, un tizio con la maglietta strisce e armato di pistola, che, ricorda Sullo sul Manifesto molti anni dopo, “aveva posato l’avambraccio sul cofano per mirare meglio e aveva aperto il fuoco, una due tre e non so quante volte”. Insomma, non è il solito scribacchino edonista che molti identificano, con chi scrive del nostro settore

Anni dopo, il Manifesto diede inizio all’avventura del Gambero Rosso, inserto gastronomico di otto pagine nato nel dicembre 1986.

All’epoca, cibo e vino erano cose materiali, futili, e quell’inserto scatenò un dibattito.

Più tardi il gruppo si divise e Bonilli rappresentò l’anima più “commerciale” mentre Carlin Petrini incarnò l’anima più radicale e pura di quella rivoluzione avviata a cavallo degli anni anni 80 da un gruppo che  appunto innovò il modo di parlare e di fare gastronomia in Italia e nel mondo.

Personalmente per quel poco che conta , non ho condiviso la sua deriva talvolta troppo “esclusivista”.

Proprio in questi giorni stava scrivendo un nuovo libro sulla storia della cucina italiana del dopoguerra, lavorando contemporaneamente ad un appuntamento in programma il 20 settembre a Bologna, per una nuova editoria enogastronomica. Su Twitter, dove spesso ha lanciato i temi di dibattito con maggior seguito settimanale, ha ironizzato sulla propria salute sabato scorso: “E’ la legge di #Murphy, non c’è nulla da fare, ti ammali il 2 agosto quando il tuo medico è in vacanza”.

 



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Manifesto contro i mulini a vento: due o tre cose che so di Slow Food

Masterchef a Pollenzo


Per qualche motivo e in qualche modo, mi trovai a studiare Scienze Gastronomiche. Ci veniva insegnato che il cibo è una cosa essenziale, che unisce tutti; ché tutti devono mangiare e il cibo li riguarda.

Ci spiegarono che, riguardando tutti e molto da vicino (senza mangiare, non si campa!), il cibo poteva essere una leva per influenzare le politiche mondiali; educare uno per uno alla cultura e all’amore per il bello, instaurare sistemi sociali più equi, risanare le economie dissestate dalla finanza e gli squilibri dettati dal capitalismo dell’industria alimentare, senza dimenticarsi lungo il viaggio di godere.

Ci ho creduto per davvero, dopo aver studiato e letto, dopo esser stato scettico e toccato brevi manu dei modelli alternativi dall’Australia all’India al Messico, che potesse funzionare.

Dopo essermi laureato ho trovato il mio occhio critico, e la testa abituata a pensare a cosa c’è dietro ogni piatto: chi l’ha fatto? Da dove arriva? Come ha viaggiato? E ancora prima, che funzione aveva avuto nel suo ambiente? Come era pagato chi l’ha colto? Che cos’è quest’ingrediente? Un additivo? Da dove arriva?



COLLEGATO


slow food, logo

Intervista doppia con Carlo Petrini e Roberto Burdese di Slow Food

L'intervista doppia stile-Iene è un classico della tivù, a volte abusato, quasi sempre divertente. Ci è venuta in mente per…segue



Ero diventato un integralista. Un rivoltoso della forchetta e della spesa, come avevano voluto. Mi sono messo in missione, con l’intenzione di praticare la rivoluzione.

È diventato il mio chiodo fisso, la mia ribellione; la mia volontà, la mia religione. L’ho praticata con fervore evangelico, di fronte a ognuno, ogni santo giorno. Ho voluto credere nelle comunità del cibo e nella sua comunione, che mangiare è un atto agricolo, che comprarsi da mangiare equivalga a una votazione.

Da’ i tuoi soldi a chi sai che agisce bene, e se lo faremo in tanti agire bene sarà premiato; questo ho pensato… L’ho praticato, l’ho spiegato a chi come me non era stato fortunato abbastanza da entrare in contatto con quella che mi sembrava l’ovvia, unica Verità; la via d’uscita dai mali del mondo, dalla fame e dalla povertà.

Cambiare il mondo con la Gastronomia: questo m’avevano insegnato, ch’era possibile, che si poteva e si doveva fare; proteggere l’ambiente, le persone, le tradizioni, le culture, le economie locali, il gusto delle cose, le società minori.

Ma per cambiare il mondo bisognava instaurare sistemi, costruire strutture, specializzare schemi di comunicazione, impianti di produzione, di distribuzione, scuole. Per fare tutto ciò serviva una quantità di denari.

Ecco perché il sistema visionario delle Scienze Gastronomiche, di Slow Food, dei piccoli nuclei d’azione comunitari era necessariamente un sistema utopico: perché intendeva essere un’anarchia felice con l’intenzione di scardinare il sistema; ma per essere fondata doveva attingere al sistema stesso, che gioca secondo le regole dei soldi e che il potere dei soldi lo detiene per intero.

In un mondo interamente capitalista, ove le borse governano la povertà del Botswana e i diamanti del Sierra Leone sono proprietà americana e nessuno batte ciglio; se la Namibia non ha contanti per costruire un pozzo e un orto, come potrà mai cominciare il suo riscatto?

E così Slow Food, da cui le Scienze Gastronomiche dipendono, cominciò la propria contrazione. Svendendo le teorie e i modelli di successo comprovato, tutti i libri scritti, gli eventi, gli slogan, i testimonial, le chiocciole, le manifestazioni a dei Main Sponsor; che potessero finanziare il ciclo dell’educazione anarchica e il suo progresso.

È un paradosso: grandi consorzi e grandi nomi, capitali, catene di elettronica, altri marchi cominciarono a sovvenzionare il sistema che li avrebbe dovuti smantellare; ossia a comprarlo pezzo a pezzo, utilizzando l’egida gloriosa del suo nome per agire i propri interessi sotto insospettabile copertura.

Forse è stato un gioco ingenuo di Slow Food, o forse semplice questione di esigenza, questo mettere a noleggio fama e reputazione per non essere costretti a rinunciare alla missione di una vita; forse è stato un atto eccessivo di presunzione pensare di poter restare al di sopra della situazione, di governare il baratro, di non farsi inghiottire dentro l’occhio del ciclone.

Fatto sta che molti imprenditori, lontani ormai da quel sogno gastronomico di equità civile e civica che segnava gli insegnamenti della mia Università, possono permettersi di fregiarsi delle frasi di Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food, e di Wendell Berry, poeta e contadino del Kentucky: ché “mangiare è un atto agricolo” anche nei loro negozi, ma le terre ed i forconi sono state soppiantate dai furgoni, i furgoni dagli autoarticolati e dai container; l’operato degli artigiani da operazioni di logistica, gli interessi delle società e delle culture, delle tradizioni, dagli interessi delle Società per Azioni.

Alcuni Presidenti ed eccelsi manager d’azienda sono soliti pensare che, quando li si accusa per la morte del sogno della vera gastronomia, lo si faccia per invidia del successo commerciale delle loro attività, perché si è parte della concorrenza, o perché non si riesce a tollerare che in un’Italia disastrata qualcuno ancora riesca a fare soldi… Ecco, questo genere di gelosie non è per me – penso che costoro vedano le cose come fanno perché sono abituati a ragionare proprio nei termini che denunciano, a vivere in un mondo di mercato in cui non esistono ideali ma soltanto Materiali, ove cui tutto ciò che è desiderabile è misurabile, in cui la felicità si conteggia in contanti, o in dividendi, o in gloria. In cui tutto è fare soldi, o non farne: ecco, da chi vede la realtà così io non mi lascio offendere.

Perché ogni parola che ho speso a contrastare i loro sistemi ha radici al di fuori di un conto economico, in un territorio che potremmo chiamare (con termine tristemente abusato) di passione, una terra che non riescono a immaginare in cui vige l’amore incondizionato per un concetto o per un’idea, al di là di qualsiasi razionalità di comodo.

Io non lo nascondo né l’ho nascosto mai, di essere contro costoro: perché hanno svilito tutto ciò in cui credevo rendendolo impossibile e vano, appiattendo gli orizzonti della sua evoluzione, vendendosi al pubblico come unici difensori di qualcosa che forse nemmeno conoscono e non amano, svilendo lo studio e le conoscenze di chi come me a questa causa ha donato tutto.

In un certo senso la loro relazione con la gastronomia potrebbe definirsi un matrimonio d’interesse; in cui ci s’innamora a tariffa, e quando il capitale è scemato allora ci si lascia: se amaste qualcuno in segreto, potreste tollerare di vedere uno sciacallo approfittarne a questo modo?

Pervengo alla conclusione che han ragione, certuni di costoro, ad accusare noi d’essere tristi.

Ma non siamo tristi perché anti, come sostengono loro, perché invidiamo e bramiamo ciò che hanno; siamo tristi perché stiamo dove siamo, dal lato del mondo sconfitto dalle logiche mercantili, e il nostro amore patetico per il cibo per colpa loro sarà stato vano.

Li disprezzeremo non perché hanno avuto successo, perché quello che non sanno è che noi desideriamo un mondo in cui il successo (un altro tipo, di successo) sia possibile per tutti: ma perché, a causa della loro cecità bigotta ed egoista da fazenderi, avranno sprecato l’occasione di rendere il mondo in cui viviamo un posto migliore.

In ultimo essi credono, forse, che non aspettiamo altro che l’esser convocati nella loro scuderia: la verità è che la nostra coerenza ci impedirà sempre di saltare sul loro ghignante carro dei vincitori; dominati da un ideale svanito saremo tristi, romantici, sognatori.

masterchef, pollenzo

Post Scriptum: Giovedì 20 Febbraio. È di oggi la notizia che la puntata di Masterchef trasmessa in serata conterrà una prova in esterna registrata nelle mense dell’Università di Scienze Gastronomiche.

È così che siamo “tutto”: parte indistinguibile del crogiuolo iconografico in cui si fonde, agli occhi dell’uomo della strada, Cracco con la fava di Tonka, Farinetti con Petrini, l’Università con Simone Rugiati e con Angelo Gaja o Benedetta Parodi; gli stellati con il Cucchiaio d’Argento, con Baladin, con LO Slow Food.

È un pantheon totale e corale, senza differenze, senza più spessore. È come se la gastronomia fosse la facciata di un tempio indù.

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Da sempre il mercato quando sente una possibilità di guadagno la coglie.Il mercato non ha ideali e coscienza di conseguenza: fermo restando lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo si è solo reso più presentabile.
I mass-media ci servono per informarci e per evitare di essere dei consumatori ignoranti.Scegliamo noi da che parte stare.
Decidiamo di scegliere un prodotto "buono,pulito e giusto" informandoci e come mi ha detto un giovane chef locale " facendo ricerca" .Usiamo i mezzi di conoscenza e la memoria.
Devo infine ringraziarti per il bellissimo commento.Far pensare è un dono,grazie.

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Quando l'ideale diventa "reddituale", rimane il soldo e si perde il sogno.

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Segnalo un saggio di Luca Simonetti: “L'ideologia di Slow Food”. Il saggio pone una serie di questioni interessanti. Slow Food è profondamente reazionario ma finge di esser progressista. In 31 pagine ricchissime di citazioni, Simonetti mette in luce il carattere essenzialmente reazionario di un pensiero che serve da copertura a una sinistra affluente, desiderosa di consumi di lusso ma anche ansiosa di dar loro una giustificazione ideologica, e al tempo stesso ignara (e forse disinteressata) dei destini e dei bisogni reali delle masse contadine del mondo e della vera situazione della fame nel nostro pianeta.
Di più, un movimento «antiscientifico, idolatra delle società tradizionali, delle piccole comunità stratificate e perenni, dedite a riti e festività atavici, in cui il posto di ognuno è eternamente fisso ed immutabile».
Due le principali contraddizioni di Slow Food:
1. Slow Food promulga la filosofia del produrre e del mangiare con lentezza, delle filiere corte e dei mercati a km zero, ma agisce a tutti gli effetti come una multinazionale: è finanziata da governi e gruppi di interesse, ha l'endorsement di politici e grandi imprese dell'alimentare.
2. Slow Food promuove il recupero di modelli produttivi ed alimentari – la gastronomia del tipico – che sono sempre stati privilegio di una piccolissima cerchia di persone agiate, altro che tradizione popolare.
In una recensione del libro su Limes, Antonio Pascale è ancora più esplicito. Slow Food somiglia alla Lega Nord: inventa tradizioni e culture e le inserisce un racconto venato di nostalgia declinandole abilmente in un'operazione di marketing tesa a rassicurare un mondo spaventato dal nuovo e dal progresso. Si sa, l'opposizione alla modernità tira.
La critica al consumismo e all'industrializzazione dell'agricoltura ha di fatto favorito la percezione di Slow Food come un movimento progressista, di sinistra. Ma quanto responsabile e progressista è un movimento che che privilegia l'estetica di una gastronomia sofisticata e della tipicità tradizionale quando il mondo, là fuori, è pieno di gente che ha fame?

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Grazie a te Omar per il post che rende omaggio a Stefano Bonilli, il fondatore di Gambero Rosso e promotore di Arcigola ( mi sembra). A me ha permesso di esprimere un commento su Slow Food ed innanzitutto la sua evoluzione. Credo che anche Stefano Bonilli non fosse contento di questo Slowfood e di Eatitaly.

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C'è chi riesce a portare la politica e l'ideologia anche in cucina.

C'è chi trasforma la gastronomia in idolatria.

Mi dicono che ci son degli chef cui pare d' esser il padreeterno anche se, in realtà, "la gola" è qualificato come uno dei sette vizi capitali.





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A mio avviso sbagli.Alimentarsi e fare scelte in campo alimentare e gastronomico sono atti politici.Preferire un alimento a un altro in base a principi etici è fare politica.La politica quotidiana che appartiene a tutti .
Non scegliere prodotti di una determinata azienda perché sfrutta i suoi lavoratori è una scelta politica.Non acquistare i prodotti di uno stato che invade un altro è fare politica.E' lo stesso concetto che stà dietro a associazioni come Libera.Ti posso assicurare che mangiarsi un arancio coltivato nei terreni un boss mafioso dati in gestione a cooperative sociali è buono pulito e giusto. Cito Petrini non a caso.Pensare che la gastronomia sia una cosa di bassa cultura e chiamarla ..."cucina"... è fondamentalmente sbagliato .Lo è dal punto di vista economico e storico e per un politico è grave non capirlo.
Ti dedico un brano del libro di Carlo Petrini :

La gastronomia è la conoscenza ragionata di tutto ciò che si riferisce all'uomo in quanto egli si nutre; serve a scegliere perché serve a capire che cos'è la qualità. Fa si che si possa provare un piacere dotto e imparare una conoscenza gaudente. L'uomo in quanto si nutre è cultura: la gastronomia è cultura, prima materiale e poi immateriale.
La scelta è diritto dell'uomo: la gastronomia è libertà di scelta. Il piacere è un diritto di tutti e in quanto tale deve essere il piu responsabile possibile: la gastronomia è un fatto creativo, non distruttivo. La conoscenza è un diritto di tutti, ma anche un dovere: la gastronomia è educazione.
La gastronomia appartiene:
- alla botanica, alla genetica e alle altre scienze naturali, per la classificazione che fa delle sostanze alimentari, consentendone la salvaguardia;
- alla fisica e alla chimica, per la selezione dei prodotti migliori e lo studio di come si trasformano;
- all'agricoltura, alla zootecnia e all'agronomia, per la produzione di buone e varie materie prime;
- all'ecologia, perché l'uomo per produrre, distribuire e consumare cibo interferisce con la natura e la trasforma a suo vantaggio;
- all'antropologia, perché consente lo studio della storia dell'uomo e delle sue identità culturali;
- alla sociologia, che offre gli strumenti per lo studio dei comportamenti sociali dell'uomo;
- alla geopolitica, perché i popoli si alleano o combattono anche e soprattutto per sfruttare le risorse della terra;
- all'economia politica, per le risorse che offre, per i mezzi di scambio che stabilisce tra le nazioni;
- al commercio, per la ricerca del modo di comprare al miglior prezzo possibile ciò che consuma (utilizza) e di smerciare piu convenientemente ciò che pone in vendita (produce);
- alla tecnica, all'industria e al savoir faire degli uomini per la ricerca di nuovi modi di trasformare e conservare il cibo in maniera conveniente;
- alla cucina, per l'arte di preparare i cibi e di renderli piacevoli al gusto;
- alla fisiologia, per la capacità di sviluppare le sensorialità atte a riconoscere il buono;
- alla medicina, per lo studio di quale modo di nutrirsi è piu salutare;
- all'espistemologia, perché, attraverso una necessaria riconsiderazione del metodo scientifico e dei criteri di conoscenza che ci permettono di analizzare il percorso che un cibo fa dal campo alla tavola e viceversa, ci aiuta a interpretare meglio la realtà di questo mondo globalizzato e complesso. Ovvero a scegliere.

La gastronomia permette di saper vivere meglio che si può, secondo le risorse disponibili, e che ci si prodighi per migliorare la propria esistenza. La gastronomia è una scienza che studia la felicità. Tramite il cibo, linguaggio universale e immediato, elemento identitario e oggetto di scambio, essa si configura come una delle più potenti forme di diplomazia della pace.

Testo condiviso con BUONO, PULITO E GIUSTO Principi di nuova gastronomia - Carlo Petrini (2011 Einaudi Torino)
Sul fatto poi che i cuochi si credano dei padreterni hai ragione ...lo sono ;-)
Spero che tu abbia colto l'ironia.

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Il nostro Chef (C Maiuscolo) ha reagito, alle mie note non convenzionali, con sentito coinvolgimento. Ma puoi chiarire, Omar, quale delle mie 4 affermazioni ritieni sbagliate?

1) Il dissociarmi da chi, prima di deglutire un qualsiasi boccone deve sotttoporlo ad uno screening politico-ideologico e dibatterne, magari, con i convitati? e magari rovesciare il tavolo se non sono della stessa corrente di pensiero?
2) Il de-idolatrizzare la gastronomia, cui certo pensiero pare voler riconscere infallibili virtù taumaturgico-palingenetiche ed un ruolo imprescindibile in ogni ambito della umana esistenza?
3) Il ridimensionare gli chef (c minuscolo) - padreterno che ritengono di non essere fatti della stessa polvere di cui è fatto l’ultimo degli inappetenti?
4) Il ricordare che la “gola”, secondo la Chiesa, è uno dei vizi capitali?

PS: Non pensare che disconosca l’importanza del cibo (ma già l’aria è ancor più importante...) e la bellezza della tua professione!

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Bastanzetti che lei sia un brillante " intellettuale'" non la penso solo io. Suppongo che faccia bene a stare alla larga dai consigli di quartiere di Vittorio Veneto, farà senz' altro bene ai consigli. Comunque, dai, apra un suo blog personale così la smette di infestare con cazzate gli ottimi blogs di Oggi Treviso.

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foto dell'autore

Omar Lapecia Bis

Docente di Enogastronomia, Sommelier, Chef Mentor, Food Blogger,Food Stylist, Corporate Chef
Esperto per tutti i prodotti food inerenti la ristorazione . In special modo nella crezione di nuovi format ristorativi .Sviluppo menù ,esperto nel food purchase per le sue specifiche e sviluppo di ricette.Supervisiona e organizza gli staff di ristorante
"Amo i prodotti che ti raccontano storie di uomini e di culture.Trasformarli rispettandone la natura é il mio compito.Adoro utilizzare tecniche innovative per esaltarne la percezione sensoriale. Portare chi degusta il piatto a provare sensazioni e emozioni Questo è lo spirito della mia cucina."
Una cucina MODernista


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