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28 marzo 2024

Città murata?

Categoria: Altro -

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Remo Serafin | commenti | (8)

Mi trovavo un giorno in quel di Montagnana, dove la spettacolare cinta muraria carrarese è praticamente intatta e perfettamente conservata dopo gli ultimi restauri, e soprattutto costantemente manutenzionata.

 

Un sito di architettura medievale tra i meglio conservati d’Europa e considerato uno dei borghi più belli d’Italia; la stessa cosa si può dire anche di Cittadella dove la scenografia della città antica, oltre che rilevanza culturale è anche una fonte di richiamo turistico-economico.



Questi due luoghi, ma ce ne sono molti altri degni di nota, fanno parte della Associazione Città Murate del Veneto nel cui sito web, all’ultimo posto, sarà solo per un fatto di ordine alfabetico, risulta anche Vittorio Veneto, con riferimento in particolare al centro storico di Serravalle.



Ma qual è la situazione attuale della trecentesca cerchia muraria costruita da Gabriele III da Camino, struttura coeva a Montagnana e Cittadella?

 

Nel 1979, il rilievo completo intra moenia di Serravalle era stato oggetto di tesi di laurea con obiettivo un piano di recupero generale che era stato esposto per un certo tempo presso il museo del Cenedese con inaugurazione da parte di docenti dell’IUAV e sponsorizzato dall’Amministrazione Comunale che aveva ventilato l’ipotesi di mettere in pratica quelli che erano dei suggerimenti per il recupero del centro storico.

 

Ovviamente il tutto è passato in cavalleria, e il rilievo è stato poi cannibalizzato da altri, anche spacciato da alcuni per farina del proprio sacco, ma così vanno le cose.

 

Per quanto riguarda le fortificazioni presenti sui versanti Est (S. Augusta) e Ovest (S. Antonio), alcuni dettagli rilevati nel 1982 erano stati in parte pubblicati anche nel libro sulla vita di S. Augusta “Un fiore sulla roccia” di Augusto Campo Dell’Orto, del 1982.



L’accesso effettuato nel 1982 all’interno della torre pentagonale posta sulla sommità del Marcantone era stato difficoltoso; attualmente la torre mantiene la stessa altezza però l’entrata, sempre attraverso la breccia sul lato Nord, è risultata più facile.

 

Evidentemente il varco si è, oppure è stato allargato. La maggior parte delle altre tracce di quella che era la fortezza del Marcantone, disposta su tre livelli, risultano ora ridimensionate, alcune sparite, ovvero non riconoscibili anche a causa della vegetazione sovrastante.



Più sotto, le cosiddette mura “berengarie” (ma sarebbe meglio smettere di usare tale termine antistorico), sono state oggetto di restauro diversi anni fa. Ricordo che alla conferenza di presentazione del lavoro, il funzionario della Soprintendenza era stato contestato da personaggi che negavano qualunque ipotesi di integrazione o anastilosi, e il solone di turno, probabilmente di scuola induista, asseriva addirittura l’inutilità di restaurare le antiche pietre in quanto, come l’uomo, erano destinate naturalmente a deperire e morire, estinguendo quindi anche per la cinta muraria di Serravalle il debito del Karma, del ciclo di morte e rinascita, fino all’uscita definitiva dal Samsara.



Un altro supertecnico comunale aveva proposto un metodo di restauro più veloce ed economico: Colata di cemento a lenta percolazione sulle murature antiche in modo da solidificare definitivamente le parti smosse. Nessun accenno alla assoluta incompatibilità del cemento con la malta di calce antica, per la formazione di composti dannosi come la thaumasite e l’ettringite; questa era la coscienza e conoscenza del restauro del tempo.

 

Comunque il lavoro era stato eseguito, non senza polemiche da parte di improvvisati esperti secondo i quali le integrazioni disposte dalla Soprintendenza per consentire un minimo di accessibilità sul camminamento e la chiusura sulla torre terminale in alto, sarebbero “falsi storici” non presenti in origine.

 

Attualmente le mura sono visibili solo nella parte iniziale, a sinistra della scalinata di S. Augusta, mentre tutto il resto è letteralmente fagocitato da una fitta vegetazione, anche questa non presente storicamente, che però non sembra impensierire più di tanto i citati esperti.

 

Pure una parte delle mura sul lato Ovest (via Piai) è stata restaurata in tempi più recenti (mi hanno riferito di una eclatante operazione mediatica con elicotteri, muli, ecc.), ma all’epoca mi trovavo all’estero e quindi non sono sufficientemente informato su quanto eseguito e sulle risorse impegnate.

 

Rispetto al rilievo, ho riscontrato una riduzione del volume dei ruderi e un aumento di tiranti e piastre metalliche; ho l’impressione che anche questo sia un restauro transeunte perché tutto sparirà sotto la coltre verde.

 

Sulla sommità del Montesel le murature superstiti erano già abbondantemente disastrate anni fa, soprattutto per l’eccessiva vegetazione, e per tale motivo ho rinunciato a verificare anche le strutture antemurali esistenti in posizione più elevata sul monte Cucco.



Più in basso la chiesetta di S. Antonio, a suo tempo precariamente agibile, sembra essere stata sottoposta ad un restauro non finito, del quale non ho informazioni. Ho però notato la scomparsa dell’acquasantiera, come non si vedono più alcuni conci bugnati in pietra (calcarenite del Cansiglio), di chiara fattura romana, simili a quelli che si possono osservare alla base del mastio del castello di Zumelle.

 

Sulla salita di Sangusé, ad ovest della porta “della muda” o di S. Giovanni, percorso un tratto di strada e volgendo lo sguardo a sud, verso la seconda torre e le mura merlate di cortina, è ancora possibile intuire il simulacro della città murata, ma bisognerebbe porre ordine ad una situazione fortemente degradata rispetto all’epoca del rilievo, con proliferazione di recinzioni e superfetazioni varie.

 

La porta di S. Giovanni e la prima torre, attualmente non visibile perché prigioniera all’interno delle abitazioni, dovrebbero essere liberate dalle costruzioni esterne alla cinta muraria, mediante l’istituzione di un vincolo preordinato all’esproprio ai sensi del T.U. in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 327/2001) e della Legge Regionale n. 11/2004 “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”, anzi, si dovrebbe effettuare l’occupazione di urgenza reintrodotta con l’art. 22-bis del Dlgs 302/2002, in attesa che giunga in porto il disegno di legge che dovrebbe regolamentare l’esproprio di immobili appartenenti ai privati.

 


Ma i residenti extra moenia possono dormire sonni tranquilli perché tale evento non sarà possibile prima delle calende greche; ci sono altre priorità: scuole, ospedali, adeguamenti sismici, ecc. È comunque una fortuna che la prima torre sia nascosta all’interno delle abitazioni, almeno si spera non venga demolita.

 

A proposito di demolizioni: in via Casoni lato est sotto lo sporto del tetto di un fabbricato (ricostruito in stile avulso dal contesto), c’è la scritta: ”Accidit in puncto quod non speratur in anno” – “In un solo momento può accadere ciò che non si sperava accadesse neppure in un anno.”, frase attribuita all'Imperatore d'Austria Ferdinando I, per evidenziare l’imprevedibile succedersi degli avvenimenti che nel presente caso non so quale sia il presupposto, però se a “… in un anno” si sostituisce “… nei secoli”, allora è chiaro (dopo il danno, la beffa) che ci si riferisce alla improvvisa demolizione dell’unico tratto superstite, ancora visibile, delle secolari mura medievali sul lato est della cinta.



Infatti, di quel tratto di mura ancora in piedi nel rilievo effettuato nel 1979 (http://www.ars-studio.it/en/articles/show/category/4/article/106), è rimasta solo la traccia sul terreno e qualche moncone, con apertura del passo carraio e vista sul giardino retrostante, ma questa sembra essere stata la prassi nel circondario; tanto per fare un altro esempio, presso il castello caminese di Cordignano, è stata addirittura abbattuta la cortina tra due torri per realizzare l’accesso carraio.



Questi sono casi limite da disapprovare assolutamente, devo però ammettere che in talune situazioni, le modifiche effettuate cum grano salis potrebbero essere accettate se comportano alla fine il riuso compatibile della struttura.



A suo tempo ero un convinto assertore del restauro secondo le teorie di Ruskin che riteneva non proponibile l'intervento di restauro, inteso come sostituzione della copia all'originale, limitandolo ai soli interventi di ordinaria manutenzione utili a prolungare il più possibile la vita dell'architettura antica, alla quale va riconosciuto anche il diritto di morire (il Samsara di cui sopra).

 

Attualmente, aumentato il bagaglio di conoscenze, e per una serie di considerazioni personali che sarebbe qui troppo lungo esplicare, ancorché in contrasto con la “Carta del restauro”, tendo a considerare favorevolmente le teorie di Boito e soprattutto di Viollet-le-Duc, nella opposizione alla semplice conservazione del rudere, con tentativo invece di ristabilirlo nel suo aspetto quale doveva essere, ripristinandone l’uso compatibile, tanto più quando si tratta di apparati murari privi di particolari decorazioni, tenendo presente che la ricostruzione e il riuso, con manutenzione costante, sono l’unica garanzia per mantenere integro l’edifico storico nel tempo.



Devo anche dire che, per esperienza personale, escluso il Veneto dove è particolarmente in auge la teoria della sola conservazione, se viene danneggiata una torre in Friuli, nel Trentino Alto Adige, in Germania, in Inghilterra e in India, la torre viene ricostruita nella stessa tipologia, anche con accorgimenti antisismici, evidenziando opportunamente la parte antica da quella replicata.

 

Se Serravalle avesse seguito questa strada ci si troverebbe veramente di fronte alla città murata che da sola produce reddito e cultura (mi viene in mente la situazione similare di Bellinzona), evitando di restaurare, o meglio, imbrigliare con tiranti e ferraglia varia, monconi di muro destinati comunque a cadere perché saranno poi fagocitati dalla vegetazione della quale nessuno più si cura, senza alcuna possibilità di accesso, senza alcuna funzione didattica se non quella di promuovere a distanza di qualche anno l’ennesima inutile conferenza sulla “necessità del recupero, valorizzazione, ecc.” al solo scopo di elargire incarichi e sperperare altro denaro pubblico per l’inutile restauro del restauro precedente.



La ricostruzione con riutilizzo eviterebbe anche il seguente paradosso: se abusivamente viene demolito un rudere storico, qualche volenteroso farà una denuncia alla Soprintendenza o un esposto in Procura, ma la pratica si trascinerà all’infinito fino ad auto estinguersi a suon di perizie e controperizie, atti notori dove si dichiarerà che il muro non c’era, o forse c’era ma non lo ho visto, è crollato da solo, la neve, il vento, ecc.



Ammesso e non concesso che si arrivi ad una sentenza, l’eventuale pena pecuniaria è irrilevante perché già messa in conto da chi aveva interesse a demolire, mentre la ricostruzione non è attualmente possibile perché sarebbe “falso storico” e quindi non se ne parla più.

 

Per concludere, questa sembra essere una battaglia persa, ma per i soloni che inorridiscono di fronte alle ipotesi di repliche/ricostruzioni, mi piace ricordare, a titolo di esempio, che appena qualche anno dopo la sconsiderata e dissennata demolizione della porta del Terraglio di Serravalle, Viollet-le-Duc progettava la ricostruzione di Carcassonne, ridotta in rovine e già destinata alla completa demolizione.

 

Il risultato? Sorvolando sulle elucubrazioni storico-filologico-culturali che interessano solo quattro gatti e buttandola sul venale: a Carcassonne, “falso storico” ma anche patrimonio dell'umanità dell'UNESCO, ci sono in media oltre 3 milioni di visitatori all’anno, nel 2013 si è arrivati a quasi 4 milioni, e la città può tranquillamente vivere di solo turismo, mentre a Serravalle, escluse le sagre comandate, se si incontra un turista, è sicuramente qualcuno che ha sbagliato strada.



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In termini di cinte murarie pare abbiamo la stessa sensibilità, Arch.Serafin!

A riprova, le segnalo un imperdibile articolo della grande penna Francesco Dal Mas sulla pag. di Vittorio Veneto di oggi, sabato 9 Agosto, del prestigioso quotidiano cartaceo "La Tribuna di Treviso".

PS: complimenti per i Ray-Ban.

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Ho letto l’articolo citato. Stiamo scherzando oppure c’è un errore di stampa?

Il restauro che ho visto si può valutare in € 70.000,00 e non € 700.000,00!

Con questa cifra si possono restaurare completamente 3 campanili di 40 metri di altezza.

Probabilmente, come ho scritto nel post, non sono sufficientemente informato; può darsi che non abbia visto bene in mezzo al fogliame, e comunque, mi sfugge qualche cosa.

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Architetto,
benvenuto tra i bloggers di Oggitreviso!

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Bene. Sono assai piacevolmente sorpreso di aver potuto leggere un articolo che dimostra, a un tempo, competenza e assennatezza. Città storica, città murata, per sempre condannata a subire il traffico a sfioro dei suoi più bei palazzi a causa di un assurdo traforo? Io sono assolutamente favorevole a un traforo di piccole dimensioni, la cui entrata e la cui uscita siano provviste di parcheggi vicini al centro storico. Ne esistono già almeno due vecchi progetti. Pedonalizzando il centro di Serravalle si creerebbe un autentico gioiello, e aumenterebbero anche i prosperi commerci, come è avvenuto per tanti piccoli centri storici pedonalizzati. Mi piacerebbe anche conoscere il parere di Remo Serafini sulla scelta ANAS, condivisa anche da alcuni esponenti del PD, di praticare un traforo per TIR che inizia due chilometri a nord e termina un chilometro a sud da Serravalle. La distanza dalla entrata e dalla uscita scoraggerebbero chi volesse visitare Serravalle, che verrebbe semplicemente by-passata, con conseguente danno nel commercio dei negozi. Per evitare questo danno nessuna amministrazione comanderebbe la pedonalizzazione di Serravalle, condannata per sempre a essere attraversata, a un metro dai suoi edifici del Quattro Cinquecento, da un flusso quotidiano di 5.000 auto in su e 5.000 in giù. E mi chiedo: dove mai è finito il buonsenso? Soltanto perche la spesa è accollata all’Anas, e non alla Amministrazione di Vittorio Veneto, dovremmo accettare questo assurdo sventramento che porterà i TIR fino nel cuore del centro moderno della città, e che di fatto impedirà di trasformare Serravalle in un gioiello?
Condivido la desolata conclusione di Remo Serafin: “ … a Serravalle, escluse le sagre comandate, se si incontra un turista, è sicuramente qualcuno che ha sbagliato strada.”
Giorgio Solza

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Ha ragione Sig. Solza,

effettivamente, vista la situazione e conformazione orografica del luogo, il problema è proprio quello di bypassare il centro storico di Serravalle, fornendo però la possibilità e l’invito a fermarsi in prossimità dello stesso, altrimenti la città muore del tutto.

Quindi traforo corto con parcheggi idonei; per il giro dell’oca del traforo lungo esiste già l’autostrada che vale anche per il traffico pesante. Ci sarebbero anche altre argomentazioni ma caso mai ne riparlerò.

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Nell' ambito del progetto Siena Capitale europea della cultura nel 2019,Gabriella Piccinni ha pubblicato CITTA' MURATA, CITTA' GLOBALE. Il lavoro è in rete e può essere scaricato. La lettura sicuramente aiuta la riflessione, anche su Vittorio Veneto.

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Non lasciamo che l'idea venga sepolta. Qualcuno dell'Amministrazione potrebbe dichiarare: " - E' sicuro al 100% che il il traforo verrà eseguito nella versione ANAS; non esiste alcuna possibilità di alternativa. Non esiste la possibilità di ipotizzare un traforo corto-" e allora dovrebbe spiegarne le ragioni. Ma se questa dichiarazione non c'è, allora bisogna coltivare l'idea del traforo corto, e lavorare in proposito. Ad esempio, riesumando i vecchi progetti, facendone un ipotesi anche grossolana di costo, disegnando la possibile viabilità, identificando i possibili parcheggi, e verificando se, per la salvaguardia di un centro storico come quello di Serravalle, proprio non esiste alcuna provvidenza europea ....
Insomma, se non si può escludere con certezza il traforo corto, quanto meno cominciamo a pensarlo ....

Giorgio Solza

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In un commento postato questa mattina sul blog di Francesca Salvador, Michele Bastanzetti accusa alcuni commentatori ed anche la blogger, probabilmente, di essere fiancheggiatori di chi sgozza esseri umani, del terrorismo islamico. E' un' affermazione priva di fondamento, ma grave e pericolosa.


Michele Bastanzetti
03/09/2014 - 7:19
LA BARBARIE TRA DI NOI
I fondamentalisti dell’Isis hanno sgozzato un altro giornalista. Pura,spregevole barbarie. E ciò che lascia vieppiù attoniti è che persino tra di noi, persino in questo blog ci sia gente che fiancheggia questa barbarie.

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