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19 aprile 2024

Italia

Consulta dice a no a Berlusconi

Lui: accanimento ma leale a Letta

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Consulta dice a no a Berlusconi

ROMA - La Consulta boccia il ricorso di Berlusconi sul legittimo impedimento, presentato dall'allora premier nel processo Mediaset. La Corte Costituzionale ha respinto il ricorso per conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, promosso dalla Presidenza del Consiglio nei riguardi del Tribunale di Milano, in relazione al 'legittimo impedimento' negato a Silvio Berlusconi dai magistrati milanesi per un'udienza del marzo del 2010 durante il processo di primo grado sui diritti televisivi.

Nel processo, già arrivato in Appello e in attesa della Cassazione, Berlusconi è stato condannato a 4 anni per frode fiscale e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.

Pur parlando di ''accanimento delle toghe'', Berlusconi ha assicurato ''sostegno leale'' al Governo Letta. La sentenza della Consulta ''non avrà alcuna influenza sul mio impegno personale, leale e convinto, a sostegno del governo ne' su quello del Popolo della Libertà'', si legge in una nota.

Lealtà al governissimo Letta, sottolinea, ''nonostante continui un accanimento giudiziario nei miei confronti che non ha eguali nella storia di tutti i Paesi democratici''. L'ex premier assicura che non abbassera' la guardia e continuera' a impegnarsi in prima persona per il suo Paese: ''Questo tentativo di eliminarmi dalla vita politica che dura ormai da vent'anni, e che non è mai riuscito attraverso il sistema democratico perché sono sempre stato legittimato dal voto popolare, non potrà in nessun modo indebolire o fiaccare il mio impegno politico per un'Italia piu' giusta e più libera''.

Per l'Associazione nazionale magistrati ''attribuire alla Consulta logiche politiche è inaccettabile''. Un'accusa che, ammonisce l'Anm, ''va assolutamente rifiutata''.

Per la Consulta ''spettava all'autorità giudiziaria stabilire che non costituisce impedimento assoluto alla partecipazione all'udienza penale del 1° marzo 2010 l'impegno dell'imputato Presidente del Consiglio dei ministri di presiedere una riunione del Consiglio da lui stesso convocata per tale giorno, giorno che egli aveva in precedenza indicato come utile per la sua partecipazione all'udienza''.

''A questa decisione -prosegue la nota- la Corte è giunta osservando che, dopo che per più volte il Tribunale aveva rideterminato il calendario delle udienze a seguito di richieste di rinvio per legittimo impedimento, la riunione del Consiglio dei ministri, già prevista in una precedente data non coincidente con un giorno di udienza dibattimentale, è stata fissata dall'imputato presidente del Consiglio in altra data coincidente con un giorno di udienza, senza fornire alcuna indicazione (diversamente da quanto fatto nello stesso processo in casi precedenti), né circa la necessaria concomitanza e la ''non rinviabilita''' dell'impegno, ne' circa una data alternativa per definire un nuovo calendario''.

Enrico Letta si tiene in disparte. "Non si commentano le sentenze", si limitano a dire da Palazzo Chigi.

I ministri del Pdl sono "preoccupati", ma resteranno al loro posto. Stamattina Maurizio Gasparri aveva infatti minacciato "dimissioni di massa" di tutti i parlamentari del Pdl. Affermazioni poi mitigate nel corso della giornata. "Se ci fosse una palese violazione dei diritti di Berlusconi attraverso sentenze o decisioni definitive non potremmo rimanere inerti e per questo non ho escluso iniziative eclatanti come le dimissioni di tutti i parlamentari del Pdl", ma "si tratterebbe di iniziative a fronte di eventi definitivi che mi auguro mai ci saranno". Iniziative "eclatanti" che al momento vengano accantonate. Dice Renato Brunetta: dopo la sentenza di oggi "la tentazione sarebbe quella di chiedere al popolo sovrano di esprimersi e di far giustizia con il voto. Sarebbe legittimo, ma vorrebbe dire fare un passo indietro rispetto al cammino di pacificazione nazionale che il governo di grande coalizione ha intrapreso. Più che mai si tratta di fare in modo che questo sacrificio di Berlusconi e nostro si tramuti in provvedimenti e in riforme capaci di dare sviluppo e giustizia giusta a questa Italia che vuole rinascere".

Da parte del Pd si osservano le mosse del campo pidiellino. Guglielmo Epifani ha subito invitato a tenere distinto il piano delle vicende giudiziarie personali di Berlusconi da quello del governo. "E' una sentenza che era attesa, da' ragione a una parte e torto all'altra. Non vedo il rapporto con questa sentenza e il quadro politico". "Per quanto riguarda il Pd -aggiunge il segretario- le sentenze si applicano e si rispettano. Non ho motivo di ritenere che possa avere effetto sul governo che è un governo di servizio per i cittadini in una fase drammatica per la vita nazionale e dei cittadini". Il renziano Andrea Marcucci ribadisce la 'linea' del sindaco di Firenze: il Cavaliere va mandato in pensione e non in galera, ripete sempre Renzi. "La giustizia faccia il suo corso, ma l'obiettivo di ogni democratico deve essere quello di battere Berlusconi alle elezioni", dice Marcucci e invita i colleghi di partito a non evocare maggioranze alternative, quelle di un governo di cambiamento come fatto da Pier Luigi Bersani nei giorni scorsi. "Abbiamo dato la fiducia al governo su un programma concreto di cose da fare per il Paese su quello il Parlamento giudicherà, non certo sui problemi giudiziari del leader del Pdl. Ipotesi, che pure sono state ventilate, di nuove maggioranze di governi del cambiamento sono fuori dalla realtà".

(Adnkronos/Ign)

 



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