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29 marzo 2024

Dormire, sognare. Forse

Categoria: Altro - Tags: Papi, Stefania, Umbi, appendicite

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Emanuela Da Ros | commenti |

L'amico Saverio mi dice (col suo accento siciliano che non perde neanche se è  da una vita che sta in Veneto) che quando te ne capita una, le altre vengono a ruota. Si rincorrono.

Nel mio caso, quella che "è capitata" è la veglia (non intesa come splendida poesia di Ungaretti) ma come quell'incapacità di dormire, che alla lunga ti mette proprio-ko, e quelle che si riconcorrono sono le sveglie (di soprassalto; quelle che ti fanno venire la tachicardia se non ce l'hai già).

Premesso che io ho un problema a far aderire i miei ritmi sonno-veglia al resto della mia vita (tipo: dovrei andare al lavoro alle cinque, ma non faccio il netturbino, o i turni o roba del genere; dovrei andare a letto alle otto-anche-prima ma quella è l'ora in cui tutti pensano di chiamarti perché prima magari disturbano), è da venerdì che dormo poco-pochissimo-male-malissimo.

Venerdì sono stata a una cena (intima: 350 persone) e anche se non ho mangiato troppo nè praticamente bevuto, ho faticato a dormire (e la lettura dei Duellanti di Conrad non mi ha conciliato il sonno).

Sabato sono stata a Trieste, a trovare mia figlia Stefania.

E, visto che non la vedevo da un po', dopo caffè, shopping, caffè, passeggiatina su viale XX Settembre (Hai visto mamma? questa è la casa dove è nato e vissuto Italo Svevo. Ora c'è il Mago dello Spiedo...), caffè, pizza alle verdure (una in due perché io e mia figlia siamo perennemente in dieta, ma è costata comunque 17 euro), cinema (Appuntamento con l'amore, seee), gelato (per quella cosa della dieta, vedi sopra), chiacchiere, caffè, sono andata a dormire. 

Ma visto che la soffitta in cui vive mia figlia non ha gli "scuri" e si trova in pieno centro godereccio triestino, non sono riuscita a chiudere occhio (niente di che: mi sono beata del visino di mia figlia che è troppo bello: se mi legge mi toglie il permesso di soggiorno a casa sua) sino alle due e poi mi sono alzata alle sei quando albeggiava e le lame chiare di cielo (s)tagliavano ogni residuo onirico.

Domenica poi, rientrando da Trieste e salutando mio figlio Umbi, che era rimasto a Vittorio Veneto, ho scoperto che lui aveva un mal di pancia atroce. Ti è mancata la mamma? gli ho chiesto speranzosa. Per tutta risposta, lui ha vomitato. Metto a parte i miei cinque lettori di questi curiosi dettagli per dovere civico, sia chiaro. Perché penso sia giusto condividano che, alla fine (e pure durante), fare la mamma non è un mestiere a corrente alternata (ora lo fai, ora no; ora di nuovo sì; ora meno...). Fare-la-mamma è un mestiere a tempo pieno e a controcorrente torrenziale. Di quelli che non dimentichi neppure quando sei dal parrucchiere (che stress!), quando leggi (arriverò in fondo ai Duellanti?), quando fai la fila alle poste (che palle!), quando entri in sala-operatoria con le ghette verdi per stare accanto a tuo figlio che è appena stato operato di appendicite acuta flemmonosa (c'era una ragione alla base del mal-di-pancia-atroce-di-mio-figlio).

Insomma: oggi è lunedì o martedì? non lo so. So solo che sono in stato confusionale. Che le mie veglie sono durate di più dei miei sonnellini scompigliati dagli eventi. Che  se qualcuno mi vede viaggiare con gli occhi sognanti non è perché sto fantasticando di un mondo migliore (che ne è stato di Papi ora che c'è Trani?) ma perché il sonno si è impossessato della mia veglia o perché anche da sveglia sogno di dormire (cfr. Shakespeare, Amleto o sonetti; versi a scelta).

 



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