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19 aprile 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

A Istanbul, i giovani protestano e raccontano

Otto ragazzi tengono un filo diretto con Sernaglia della Battaglia

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A Istanbul, i giovani protestano e raccontano

SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA - Un anno fa sistemavano i sentieri delle Fontane Bianche e aiutavano nelle sagre di Sernaglia, oggi protestano sotto i lacrimogeni e le manganellate della polizia, a Istanbul. E uno strano filo di solidarietà, di giorno in giorno più solido, collega il Quartier del Piave alle proteste in Turchia. Merito di otto ragazzi e ragazze di Istanbul che, prima dello scoppio della rivolta nel loro Paese, erano venuti a Sernaglia con i campi dei volontari di Legambiente dal 2008 al 2012: Yamac Usta, Dilan Bolluk, Deniz Erkanol, Tolga Batu Marangoz, Fusun Eskioglu, Yagmur Turkoglu, Sibel Yildiz e Rukiye Genc. E qualcuno di loro, come il 22enne Yamac Usta, si era innamorato così tanto del nostro Paese da volerci restare fino a gennaio di quest’anno. E da volerci, un giorno, ritornare.

 

Parlano tutti inglese, e via Skype e Facebook aggiornano i loro amici di Sernaglia sulla protesta. «Vogliamo che se ne parli» spiega Yamac «questa non è una protesta politica, ci sono esponenti di tutti i partiti e di tutte le fedi». Il suo blog (http://whatisgoingoninturkey.blogspot.com/) è tra i più seguiti. Lui rischia, e pubblica tutto ciò che non trova spazio nei giornali locali. Video di pestaggi, lacrimogeni sparati in stanze chiuse, manifestanti feriti.

 

Era iniziata come protesta per difendere un parco di Istanbul dalla colata di cemento di un centro commerciale. Dopo la repressione nel sangue da parte della polizia, è diventata una sommossa (allargata ad altre città turche) per chiedere le dimissioni del primo ministro Erdogan.

 

«Dall’inizio della protesta, sono stati usati più gas lacrimogeni che in un intero anno in Europa» spiega Yamac «noi vogliamo solo che se ne parli, perché qui i media sono censurati. Agli amici di Sernaglia chiediamo che non facciano silenzio. Qui ho paura di morire, un giorno voglio tornare in Italia». La sua amica Yagmur fra pochi giorni sarà medico. E non vuole scappare dalla Turchia: «Non abbiamo un altro Paese, qui siamo nati e qui vivremo. Lasciare non sarebbe la soluzione: dobbiamo resistere e combattere». Anche lei parla un ottimo inglese e ci racconta via Facebook le sue sensazioni, è contenta di poter parlare con i mezzi di comunicazione. Veste all’occidentale, viaggia, e non accetta certe restrizioni: «Protestiamo perché non vogliamo che il governo interferisca con il nostro modo di vivere, dicendoci come vestire, cosa bere, come comportarci o quanti figli avere. Abbiamo il diritto di parlare e decidere del nostro futuro, ne abbiamo abbastanza delle imposizioni politiche». «Non vogliamo più vivere sotto una tirannia, un sultanato» racconta un altro ex volontario di Sernaglia, Tolga Batu. «In piazza Taskim non facevamo nulla, restavamo fermi o al massimo marciavamo, e ci colpivano con i cannoni d’acqua, o ci bastonavano. Non so dove sarò fra dieci anni, ma se ci sarà ancora questa dittatura, sarò ancora qui, a combatterla. Certo, da un po’ di tempo per un giovane sta diventando difficile vivere in Turchia».

 

A Sernaglia li aspettano a braccia aperte. E hanno ricreato, con i disegni, un piccolo Gezi Park, per sostenere la battaglia dei loro amici turchi.

Andrea De Polo

 



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