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28 marzo 2024

Treviso

Lucia, casco bianco trevigiano in Calmucchia nel segno del volontariato

La testimonianza di una volontaria trevigiana ai confini dell'Europa.

| Davide Bellacicco |

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| Davide Bellacicco |

Lucia, casco bianco trevigiano in Calmucchia nel segno del volontariato

ELISTA - Elista è la capitale di una repubblica della Federazione Russa chiamata Calmucchia, entità autonoma culturalmente buddhista (unicum nel continente europeo), con una discreta presenza islamica sunnita. Uno di quei posti da documentario con mille bellezze e altrettante contraddizioni per cui si è portati a provare una certa riconoscenza nei confronti di Google, perché a trovarli, come si faceva da bambini, sul mappamondo bisogna essere tanto ferrati in geografia quanto fortunati.

Ecco, a Elista, come si diceva, le contraddizioni non mancano, sicché dopo le sofferenze inferte dal regime comunista, da quelle parti è toccato anche subire una trasformazione del sistema che ha lasciato indietro buona parte dei cittadini, facendo cadere la Federazione nelle mani di oligarchie che poi sono la negazione del valore dell’equità sociale. È chiaro come, in questo contesto ci sia molto da fare.

Esistono realtà con le quali giovani di buona volontà possono scegliere di investire un periodo più o meno limitato della loro vita, generalmente un anno, per provare, con umiltà, partendo dalle piccole cose di tutti i giorni, a innescare il cambiamento.

Ne parliamo con Lucia Bissoli, trevigiana, 25 anni, una laurea magistrale in filosofia conseguita all’Università Cattolica del Sacro Cuore e una tesi sul Beato Rosmini. Lucia ha scelto di aderire al “Progetto Caschi bianchi – Corpo Civile di Pace 2016”, promosso dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII che anche quest’anno, come ormai da oltre dieci anni, mira a promuovere la pace, la salvaguardia dei diritti umani, lo sviluppo e la cooperazione fra i popoli mediante invio di volontari in aree complesse del pianeta.

 

Come sei giunta a conoscenza di questa opportunità?

«Mediante un’amica, più precisamente per mezzo di un social. Generalmente è proprio il passaparola fra gli stessi giovani che consente di entrare in contatto con queste possibilità. Ho scelto di lanciarmi in questa avventura in un ambito piuttosto diverso da quello dei miei studi ma vicino ad altri interessi che coltivo. Desideravo studiare ancora, ma nello stesso tempo sentivo il desiderio forte di vivere un'esperienza prolungata e significativa».

 

Parlaci del progetto.

«La sezione del progetto alla quale ho aderito si chiama Progetto Eurasia. Coinvolge Russia, Georgia ed Albania. L’associazione si rivolge a giovani dai 18 ai 29 anni. Al momento siamo 52 volontari provenienti da tutta Italia, ai quali si aggiungono i volontari di altre associazioni come Focsiv e Caritas. Sono l’unica trevigiana ma con me sono partiti anche alcuni veronesi. Io sono a Elista, in una casa famiglia ed in un centro diurno per disabili. Il progetto in questione prevede un accompagnamento di queste persone con disabilità psichiche ma soprattutto fisiche.

La Russia è un Paese molto ostile nei confronti dei disabili: il 90% di loro non lavora e vive in casa, privo di assistenza medica e con l'ausilio di una pensione di entità contenuta che non migliora di molto la vita quotidiana: scopo che ci prefiggiamo è quello di sensibilizzare quella società affinché riconosca i diritti di questi ultimi». 

 

In concreto un giovane veneto che parte per Elista come porta avanti la mission del movimento? Cosa fa nel quotidiano in quelle strutture?

«Premettiamo che esiste un periodo di formazione variabile a seconda della realtà con cui si collabora. La mia scelta è ricaduta proprio sull’Associazione Papa Giovanni perché, a differenza di altre che prevedono una formazione di anche soli tre giorni, organizza un percorso formativo teorico-pratico articolato in un mese: credo che si tratti di scegliere ciò che, anche a costo di un maggiore impegno, ti dia i migliori strumenti per affrontare una realtà che comunque è di diversità e di disagio. Io non vivo in un alloggio separato, né in un albergo, ma nella casa famiglia. Porterò avanti il progetto vivendo a contatto diretto con questa realtà giorno dopo giorno: non faccio servizio 8 ore al giorno, ma 24 ore su 24 e quando parlo di case famiglia parlo di un uomo e una donna sposati, con figli, o di religiosi, come nel caso della struttura in cui risiedo, che vivono nella loro abitazione nella quale accolgono anche soggetti che vivono situazioni complesse e me con loro. Il mio impegno prevede, inoltre, l’instaurazione di un rapporto con le autorità locali per la realizzazione di manifestazioni sportive, eventi di sensibilizzazione etc. In passato ad esempio un utile mezzo di integrazione in quel territorio, insieme alle attività di artigianato è stato proprio lo sport, con il lancio di una campionessa di tennistavolo. È il volontario che, con le sue peculiarità, i suoi “talenti”, trova le modalità più idonee per raggiungere l’obiettivo».

 

È chiaro dalla tua descrizione che parliamo di un progetto che certamente sa soddisfare il desiderio di chi parte di trovare realizzazione in ciò che fa e conoscere anche se stesso, riscoprendo il gusto per una missionarietà che resta una chiave di lettura per la vita, anche al ritorno. Lancio volutamente una provocazione: se guardiamo a ciò che è stato fatto in passato da altri volontari come te, riusciamo oggi a scorgere se non un cambiamento sociale compiuto, realizzato, almeno una gemma promettente nei "teatri operativi" dei caschi bianchi?

«È una domanda la cui risposta varia a seconda del luogo preso in considerazione. La Russia è oggi un Paese estremamente chiuso a qualsiasi intervento esterno, anche da parte di ONG. Al momento, secondo i report di Amnesty International sono in corso diverse cause legali fra ONG e governo federale e sono molte le organizzazioni che hanno ormai rinunciato ad intervenire in quell’area. Anche solo riuscire ad entrare fisicamente in Russia è tutt’altro che facile: per restare lì sono costretta a tornare in Italia e rinnovare i visti ogni tre mesi, giacché non è consentita una permanenza che superi gli 89 giorni. Ogni volta è dall’interno, dalla Russia che deve provenire un’istanza al governo da parte di cittadini che richiedono il mio ingresso legato a determinate finalità e segnalando la mia presenza presso di loro».

 

Come ha reagito l’associazione dinnanzi a questa situazione?

«Con umiltà: non pretendendo di cercare lo scontro con l’autorità costituita ma cercando la collaborazione delle istituzioni presentandosi e offrendo un aiuto concreto, chiedendo semplicemente che le si lasci aiutare chi ha bisogno. Oggi possiamo affermare come il nostro sia uno dei rari casi in cui con le autorità si sia creato un rapporto molto positivo e questo sta favorendo alcuni risultati tangibili».

 

Il portato storico e geografico della Calmucchia consegna al 2016 un territorio culturalmente assai diverso dal nostro e non solo dal punto di vista linguistico. Di quali strumenti dispone il volontario per affrontare le difficoltà che da queste differenze possono emergere?

«Contrariamente all’immaginario collettivo, l’aspetto organizzativo non deve destare particolari preoccupazioni: un volontario come noi è molto più tutelato rispetto, ad esempio, ad uno studente Erasmus. Ho un tutor russo e un tutor in Italia - le comunicazioni telefoniche e la connessione internet sono abbastanza efficienti -. In caso di difficoltà o incomprensioni a livello locale mantengo sempre il mio riferimento con il tutor in Italia che ho già conosciuto durante il mio periodo di formazione, formazione che mira a preparare il volontario proprio in relazione alle difficoltà che può incontrare. Esiste poi, ad ulteriore supporto, anche una rete di contatti costituita da noi volontari».

 

Esiste un problema sicurezza reale per i giovani impegnati in queste attività in simili territori?

«Io credo che ormai non esista alcun contesto che si possa definire totalmente sicuro».

 

Perché un giovane, se ne ha la possibilità, dovrebbe lanciarsi in progetti di questo tipo, scegliendo di donare energie ma soprattutto del tempo per l’altro? A chi consiglieresti questa esperienza?

«È chiaro che i soli ideali non bastano per partire: occorre che vi siano le condizioni e personalmente ero nelle condizioni di poter partire: non c’era nulla che mi legasse precludendomi questa scelta. Può partire solo chi non ha nulla da perdere ma un desiderio forte di accogliere. Non è una questione di semplice entusiasmo, ma di scelta consapevole».

 


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Davide Bellacicco

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