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28 marzo 2024

"IL NUOVO SECOLO AMERICANO"

Categoria: Istruzione - Tags: 11 settembre, Massimo Mazzucco, Neocons, Iraq

immagine dell'autore

Francesca Salvador | commenti | (22)

 

Un omaggio al mio amico Massimo Mazzucco, dedicato a tutti coloro che amano la verità.

Buona visione

 

Francesca

 

IL NUOVO SECOLO AMERICANO

 

"Storicamente accurato, narrativamente coinvolgente, "Il nuovo secolo americano" è senza dubbio uno dei migliori film sui retroscena dei fatti che hanno portato all'11 settembre" - Webster G. Tarpley

 

"Mazzucco fa sicuramente parte della categoria di Michael Moore" - Rafael Ferraz

 

"Un film stupefacente. Dovrebbe essere visto ovunque, nei cinema, nei bar, nelle discoteche, alle conferenze, e ovviamente tramite internet. Sono certo che il film continuerà ad essere fonte di dibattito e di istruzione politica per molti anni. Magari fino a quando i criminali di guerra saranno stati portati in tribunale" - Ken Loach

 

 

Il nuovo secolo americano - di Massimo Mazzucco

 

 

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Ringrazio sentitamente uno dei peggiori troll del blog, per gli agganci che riesce sempre a darmi, onde poter implementare le informazioni, per chi vuole sentire una campana diversa dalle solite farneticazioni bastanzettiane


Cit.
"PS: per la setta chavista-madursita di S. Giacomo segnalo che sull'inserto Corsera di oggi c'è un bell' approfondimento sul DISASTRO VENEZUELA
(i cui responsabili, some noto, sono i Maya)"

Bravo Basta! Per una volta concordo!
I responsabili del disastro venezuela sono i ... MAYA-LI ... NEOCONS!!

ma.. chi sono i MAYA-LI Neocons?

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Ovviamente il troll da me citato al commento di cui sopra, è il bastanzetti, non Pierodeola, che anzi ringrazio per le sue precisazioni.
☺ ☺

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Bah... porkata anti americana... sono antipatici forse..
Sono criminali? Non credo anzi.. sono arroganti.. può essere.. e lo sono ogni tanto... ma non dimentichiamoci che noi sono anni che subiamo schiaffi...dall India.. usano i maro a mo di ricatto..o x propaganda interna..

Ma questo edola mi chiedo..è uno degli irriducibibili stalinisti alla Rizzo e giùlietto chiesa... o sostiene tutti.. nazisti..terroristi islamisti .. orsi russi..basta siano anti americani?
Buonanotte gommblottismo siempre..

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Non dovete preoccuparvi, o eventuali lettori per le volgarità e le farneticazini di cui sopra. Il Pierodeola e la Signora Complottista stanno attraversando un bruttissimo momento a causa degli eventi di attualità che smentiscono quasi giornalmente le assurdità in cui credono e cui hanno dedicato tanti "studi".

Il Venezuela chavista e madurista che sprofonda nella tragedia; gli stati ex emergenti che stanno risprofondando nei guai (Argentina) nonostante la loro monetina locale, la UE che tiene, Assad che continua a sterminare il suo popolo, Putin che invade l'Ucraina, i palestinesi che continuano a sparar razzi per provocare gli israeliani, l'ONU che vaccina i poveri bambini siriani, le scie aviochimiche che è stato appurato essere normalissimi gas di scarico...

Mah..ne avessero azzeccate una che fosse una...

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Cara Sig.ra Francesca,
ho visto tutto il film. C'è da rimanere assai colpiti dalla violenza delle immagini, soprattutto quelle dei soldati - spesso mercenari - che sparano liberamente sui civili iracheni.
Mi creda i contractors sono un grande problema, perchè sono difficilmente controllabili e soprattutto hanno un grande potere che copre le loro azioni.
Molti dei punti sollevati nel film erano di mia conoscenza, ma sono stati spiegati in maniera molto attenta e seria dal regista.
Mi dispiace che non si sia parlato di un grande soldato come il Gen. Powell che fu usato nella maniera più sporca dal ministro della difesa e che perse la faccia mentendo sulle armi nucleari irachene. Credo che quell'uomo stia ancora soffrendo le sue colpe.
Ma la cosa più sconvolgente è come sia stato possibile che una nazione di uomini potenzialmente liberi e colti come sono gli Stati Uniti abbia potuto accettare una serie di bugie così evidenti ai miei occhi, senza una critica o una condanna non appena la bugia era stata scoperta. E ancora come sia stato possibile una rielezione di Bush dopo tutto quello che aveva combinato.
Se fossi iracheno coverei un odio profondo che nulla potrebbe colmare. Ecco perchè dico che una politica dissennata come quella messa in atto dalle amministrazioni statunitensi porterà più danni che vantaggi al popolo americano. Io non so se il prossimo sarà o meno il secolo americano, so solo che, se lo sarà, sarà l'ultimo.
Grazie per la possibilità di espandere la mia conoscenza.
Suo Felix

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Mio caro Comandante,
è un piacere sentirla.

Mi creda in parola, non affronto certi argomenti per sadismo, vorrei solo che tutte le persone fossero a conoscenza di ciò che avviene nel mondo, e soprattutto che fossero informate in modo corretto. Solo in questo modo, prima che sia troppo tardi (lo spero molto) l’umanità si può liberare da questa schiavitù ed evitare l’autodistruzione.

Lei ha toccato un punto dolente… non è il popolo statunitense a volere tutto questo, ma viene sistematicamente imbrogliato da coloro che tirano i fili.
Dopo l’11 settembre, la popolazione americana ha perso una parte importante delle proprie libertà.
Qualche anno fa, lessi una testimonianza sconvolgente, profondamente umiliante e da allora spero che i cittadini di quella nazione abbiano la forza di ribellarsi.

Lei sa che con la scusa del terrorismo, negli aeroporti le persone subiscono intrusioni inconcepibili… una anziana donna, malata di cancro, fu costretta a togliersi il pannolone per le opportune verifiche, umiliazione che, solo al leggere l’accaduto ho sentito sulla mia pelle.

Purtroppo, come ci riferì il regista nostro ospite a Vittorio Veneto il 13 dicembre scorso, il dibattito sull’11 settembre, per assurdo che sia, è più fervente in Italia che negli USA.

Qualcosa sta cambiando ora, dopo l’uscita dello straordinario lavoro di Massimo “11 settembre la nuova Pearl Harbor”

E’ mia intenzione, entro un paio di settimane, affrontare un argomento che ci sarà utile per capire il perché l’umanità sia ancora ostaggio di una manciata di individui senza scrupoli. Non sarà facile da affrontare, ma conto sulla sua sete di conoscenza e soprattutto sulla sua onestà intellettuale.

Mi dispiace che per la sua sincerità debba anche lei subire disonorevoli attacchi da quel losco individuo che gira con la bava alla bocca per i blog, è una condizione permanente che mi genera tristezza, ma nello stesso tempo, sono serenamente consapevole che, nulla può contro la volontà di sapere delle persone, e lei, insieme a molte altre persone, che pur non hanno il coraggio di commentare per la violenza dei suoi attacchi, ne è la dimostrazione lampante.

Non si sposti di un millimetro, comandante, mantenga l’anonimato, non è firmandosi in chiaro che una persona si rivela corretta ed onesta (veda la disonestà continua del sopraccitato) ma con il rispetto e le argomentazioni.

“Onesto è colui che cambia il proprio pensiero per accordarlo alla verità
Disonesto è colui che cambia la verità per accordarla al proprio pensiero”

Lei, Comandante si è rivelato per ciò che è, una persona onesta.

L’individuo di cui sopra, la sintesi della disonestà, e pure correlata da cognome e nome. ☺ ☺

Sua Francesca

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Cara Signora, purtroppo ha ragione.
Riguardo alle perquisizioni, ricordo nel 2002 ho partecipato a un mega convegno sul terrorismo a Norfolk, insieme a molti ufficiali europei della NATO. Tra questi il numero due della NATO in Europa, un generale tedesco, il quale fu umiliato da un operatrice non militare e fu costretto a controlli di tipo invasivo. La rabbia di alcuni ufficiali tedeschi che erano con lui era palpabile al punto che quando arrivarono a Fiumicino (questi erano di stanza a Verona e Napoli) si lasciarono scappare queste parole: "Finalmente siamo in Europa" seguito da una serie di epiteti contro gli Stati Uniti.
Ecco perchè dico che gli USA stanno facendo il loro male con atteggiamenti di questo tipo, ecco perchè dico che il mancato controllo sui contractors è di estrema gravità, ecco perchè ragionare sempre e solo con la forza e l'inganno non porta a nulla se non all'odio da parte di tutti gli altri popoli del mondo.
Per mia fortuna vedo che negli Stati Uniti quelli che più di tutti hanno capito e hanno contribuito in maniera determinante a far fuori i colpevoli di quelle azioni sono proprio i militari. Il problema è che dietro ai vari ministri ci sono gruppi che hanno interessi smisurati e chiunque si metta loro di traverso rischia la vita.
Un mio collega, assegnato quale osservatore dell'OSCE, ha sperimentato sulla sua pelle cosa significhi lavorare in certi ambienti, ne ha tratto un bell'articolo pubblicato su Limes qualche anno fa con lo pseudonimo di Ulisse, peraltro già usato da un nostro ufficiale di marina capo dei nostri servizi segreti.
Che il Dr. Bastanzetti ci creda o no, ha poca importanza, ciò che conta è che io vorrei morire da italiano e da uomo libero e con questa gente in giro non mi sento tranquillo.
Grazie quindi Sig.ra Francesca per affrontare questi temi scottanti. La situazione è migliore di 10 anni fa, ma sarebbe opportuno che i colpevoli pagassero per le loro colpe e che la verità venisse a galla. Lo chiedono i morti, la giustizia e la sicurezza del nostro piccolo mondo.
Suo Felix

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Immagino, Sig. Pierodeola, che "la verità" cui allude sia quella dei negazionisti da lei e dalla Signora tanto apprezzati (vedi l'osannato Moffa)..

Capisco la Complottista ma lei come fa a collezionare così tante figuracce senza sentire la necessità di un minimo di autocritica?

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...."so (dal Libro del Profeta Felix) che, se lo sarà, sarà l'ultimo"..

Chi pronuncia delle profezie così categoriche ed impegnative, ( tanto né lui né noi ci saremo per verificarle) dovrebbe avere il coraggio di firmarsi con nome e cognome. Così che, quando lo incrociamo per strada, magari possiamo farci leggere la mano o chiedergli i numeri del superenalotto... ma forse non si firma perché soffre della Sindrome di Peter Pan.

PS: pare che il popolo americano sappia prendere le sue decisioni anche senza l' approvazione dello sconvolto (qualifica da lui qui usata) Sig. Tabarly...

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Io non discuto le sue conoscenze e mi guardo bene dal giudicarla.
Mi dispiace che non sappia comprendere quanto ho scritto. Ma la ringrazio ugualmente di avermi letto. Spero in un seme che possa sbocciare in futuro.
Suo Felix

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Sono riuscito a vedere tutto il film. Premetto che è stata dura ma avendo visto tutti i film di Moore non potevo esimermi dal farlo.
Il Sig. Ferraz dice che fa parte della categoria di film come quelli di Moore. Io direi molto lontanamente: questo film(ma sarebbe meglio chiamarlo documentario) è basato solo su filmati e immagini d'archivio e neanche una scena è stata girata dal regista come nei film di Moore. Sicuramente i film di Moore ,proprio perché il regista ci mette la faccia e va di persona a intervistare eventuali testimoni o persone, appartengono a una categoria molto superiore a questa.
Nulla toglie che sia un documentario interessante e abbastanza scorrevole. L'opinione del mio amico Loach è meglio non prenderla neppure in considerazione in quanto sappiamo tutti come sia un socialista della prima ora.
Per il resto nulla di nuovo sotto il sole. ! Si sa Che gli USA hanno sempre bisogno di una guerra per muovere la loro economia visto che sono i maggiori produttori di armi. E tutti hanno il bisogno di trovare un pretesto a volte anche falso per dare inizio a una guerra.
Voto al film (o documentario che dir si voglia). 6 e 1/2

P.S. Farei anche fare una recensione del film alla Sig.ra Albrizio così da sentire un suo parere.

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Venezuela, la rivoluzione borghese che passa da Twitter

di La Redazione
Di Carlo Lodolini e Marta Serafini 

«Scusa non ti posso rispondere adesso. Stanno lanciando i lacrimogeni e devo andarmene, ci sentiamo dopo». Sono le 00.45 ora italiana quando arriva questo messaggio su WhatsApp. Mentre il mondo disquisisce dell’idea di Zuckerberg di comprare un’applicazione di messaggistica per 19 miliardi di dollari, Rodolfo, che ha 25 anni e fa il giornalista per un portale indipendente di news a Caracas, proprio grazie a quel software scrive sul suo smartphone.

Intorno a lui ci sono i materassi in fiamme, la Guardia Nacional di Maduro pesta a sangue gli studenti e li lascia lì agonizzanti per terra. È infatti più di un mese che il Venezuela è attraversato da proteste e rivolte contro le mancate riforme del successore di Chávez, accusato di non aver saputo combattere la criminalità e di non aver fermato l’inflazione. Prima sono scesi in piazza i giovani nello Stato di Tachira. Poi le manifestazioni si sono estese a tutto il Paese e sono arrivati gli oppositori. I fascisti, come li chiamano i governativi che affermano di difendere il popolo dall’assalto imperialista.


Dopo qualche ora Rodolfo si riconnette, gli scontri danno tregua. «Qua è un incubo. Lanciano i lacrimogeni dentro le case», racconta. Le sue parole illuminano lo schermo del telefono. E rimangono lì, quasi a galleggiare nell’etere. Intanto su Twitter Alfredo Romero, avvocato e attivista per i diritti umani, nonché direttore della Ong Foro Penal Venezolano, denuncia come ci siano stati 500 arresti, molte denunce di maltrattamenti, quattro casi accertati di tortura e uno di stupro.

Passano tre giorni. Le manifestazioni non si fermano. Rodolfo continua a scrivere. «Ma ti prego non citare il mio cognome, ho paura che mi ammazzino o che facciano del male a mia moglie». Scendono in strada anche le “damas en blanco” capitanate dalla moglie di Leopoldo Lopez, Lilian Tintori. Il suo volto, giovane, sorridente, i capelli biondi al sole e con il pugno chiuso che le fa ombra, ha già fatto il giro del mondo. «I coniugi Lopez sono al soldo degli americani», sibilano i fedelissimi di Maduro. «Sono la speranza per il nostro Paese», dice, «la classe media che non ce la fa più».

Secondo Silvia Auña, 64 anni, «il problema più grande che abbiamo è che non possiamo uscire di casa. Qui sono capaci di ucciderti per un telefonino», spiega via mail. Poi aggiunge: «Io non sono più giovane come prima ma voglio darmi da fare per cambiare le cose. Ho aderito a un movimento di donne, ci incontriamo e organizziamo le riunioni su WhatsApp. L’altro giorno ci siamo attivate per recuperare dei materiali per fare delle barricate e delle protezioni di gomma piuma».

Così mentre Silvia taglia la gomma per proteggersi dai manganelli, gli analisti di Washington rispolverano le loro analisi sul peso geopolitico delle risorse petrolifere venezuelane (l’Opec stima che il potenziale sia di 296,5 miliardi di barili). Sempre dagli Stati Uniti, su Twitter rimbalzano gli hashtag #prayforVenezuela, #SosVenezuela, #ResistenciaVzla e #LasCallesSonDelPueblo.

Anche i vip come Madonna e Ricky Martin si mobilitano e si schierano coi manifestanti. Perfino i red carpet diventano una buona occasione per promuovere la propria causa. In piena notte degli Oscar, mentre Sorrentino ritirava la sua statuetta e Ellen DeGeneres faceva impazzire il social network di Jack Dorsey con l’autoscatto degli attori, su Instagram sono girati i fotomontaggi degli Oscar con la maschera antigas e i colori della bandiera venezuelana. Roba da propaganda? Forse. Ma anche per chi non fa politica far sentire la propria voce dal Venezuela in queste ore sta diventando sempre più pericoloso. Meglio allora sfruttare ogni palcoscenico. Se poi è quello del nemico imperialista di Maduro che censura la cerimonia di Hollywood, ancora meglio.

Non va meglio alla stampa tradizionale. Molti reporter stranieri sono stati espulsi o arrestati (è successo anche alla fotografa italiana Francesca Commissari). Le informazioni faticano ad arrivare attraverso i canali ufficiali e le agenzie fotografiche come Reuters e Ap riescono a inviare poche immagini al giorno. Segno che, evidentemente, le denunce degli oppositori non sono tutte invenzioni. Così, chi dissente si organizza, apre profili, chatta su Skype, usa Facebook anche navigando in modo protetto.

Tanto know-how tecnologico non stupisce per un continente che ha 75 milioni iscritti ai social network e per un Paese che è il quinto mercato Twitter con il 21 per cento di penetrazione. All’occorrenza si impara ad aggirare la censura e a navigare in modalità protetta. «I governativi stanno cercando di bloccare anche Twitter», denunciano quasi tutte le persone che abbiamo contattato.

Ma l’account di Noticias sin censura non si ferma e lancia rete migliaia di foto e video al giorno. Anche gli Anonymous scendono in campo. Gli hacktivist venezuelani chiamano a raccolta i loro compagni in tutto il mondo. La chat #Iberoamerica si fa caldissima.

«In pochi giorni abbiamo tirato giù centinaia di siti governativi, ormai ho perso il conto», racconta Iggy in uno dei canali Irc, le chat anonime. È il loro modo di protestare contro la censura e la repressione. In qualunque parte del mondo sia. «Io non mi trovo in Venezuela in questo momento ma sto dando una mano, insegno ai manifestanti come navigare in Vpn, in modalità protetta», spiega. Anche in Italia gli hacker si mobilitano. «Ma l’operazione di sostegno alle manifestazioni sono state contestate. Qui sono tutti convinti che Maduro sia di sinistra e dunque buono e che i dissidenti siano tutti fascisti», racconta un esponente italiano del movimento di Guy Fawkes. La percezione insomma non è sempre lineare sia che i mezzi di informazione siano mainstream, sia che ci si rivolga ai circuiti indipendenti.

Dal quartiere generale di San Francisco analizzano il flusso di cinguettii delle rivolte in Ucraina. In quelle stesse ore dall’altra parte del mondo sta cadendo il regime di Yanukovich. «Possiamo avere i numeri sul Venezuela?», chiediamo. Niente, il mondo sta andando a fuoco tutto insieme. Per quei dati ci vuole tempo, anche qualche mese. Ma chi sta in mezzo al caos non ha tempo di aspettare.



Venezuela está en la calle from Nacho Spínola on Vimeo.

Nacho Espinola, giovane videomaker spagnolo che vive a Maracaibo, realizza un filmato. Con l’aiuto di un amico programmatore e con il computer del suo ufficio monta pochi minuti di immagini, la musica è coinvolgente, all’inizio del video i manifestanti sono di spalle poi si girano e mostrano il loro volto. In poche ore la clip diventa virale su Youtube e Vimeo. «L’ho fatto perché qui in tre mesi la situazione è precipitata», scrive in chat su Facebook. Nacho ha molti amici:

«Io ho 28 anni sono un art director, non mi interessa la politica», racconta  Renée Velásquez. «Abbiamo gli smartphone ma ci manca la carta igienica. A cosa ci serve la libertà se poi non abbiamo un tenore di vita decente?».

Un Paese o una prigione? Tra i giovani venezuelani c’è anche chi, come Enrique ha studiato in Italia e poi ha trovato lavoro all’estero. E ora si preoccupa per i familiari che sono rimasti a casa. «In genere parlo con mio fratello su Zello (un’altra applicazione di messaggistica molto usata in Venezuela, ndr). Per qualche giorno però non sono riuscito a contattarlo. Solo dopo mi ha spiegato che il governo aveva bloccato anche quella e che i programmatori del software hanno lanciato un aggiornamento per imbrogliare la censura e permettere agli utenti di continuare a dialogare», dice.

Nel mirino del governo ci sono finiti anche i media tradizionali, la programmazione del canale colombiano allnews Ntn24 è stata fatta sparire dal palinsesto. Ma per aggirare il blocco si usa Youtube o Fb. A volte funziona, a volte no. Anche i meno giovani si sono attivati.

Alle 14 ora locale (in Italia sono le sette di sera) Carlos Aguirre, pensionato si collega a Skype. Carlos era dentro il comitato di controllo elettorale. Lo hanno licenziato. Mentre racconta cosa sta succedendo in strada sotto casa sua, ha le lacrime agli occhi: «Io sono un genitore, i miei figli sono andati a lavorare all’estero. Ma vorrei che potessero tornare a casa un giorno con i nipoti. E invece no, questo Paese è una prigione che non fa entrare più nessuno», si sfoga. Il lavoro, già. È sempre quello il problema, sebbene il tasso di disoccupazione si sia abbassato negli ultimi due anni. Héctor Alonso è un grafico freelance. Si sfoga via mail: «Con tutto il rispetto per i giornalisti, il problema non è che ci censurino Twitter. Il problema è che non c’è lavoro e che tutte le grosse multinazionali che ci davano da mangiare sono scappate perché la situazione è troppo instabile».

E mentre le madri del Venezuela seppelliscono gli studenti uccisi e si lanciano contro la polizia gridando «lasciate stare i nostri figli, sono anche vostri», pure gli uomini di Maduro si attrezzano per dire la loro su Twitter. Le foto delle manifestazioni pro-governo sono ritoccate in modo da far sembrare più grande la folla. Si ricorda al popolo che Leopoldo Lopez, incarcerato con l’accusa di terrorismo, ha studiato ad Harvard e dunque è venduto all’imperialismo. In rete vengono postate le foto di Lopez con i figli e la moglie, tutti felici la mattina di Natale, per dimostrare che sono ricchi mentre il governo lotta per i poveri. E non solo. Il sito Kaos en la Red (che appartiene a un’associazione culturale anti-capitalista) raccoglie esempi di immagini diventate virali tra gli oppositori, ma risalgono in realtà ad altri contesti. Sull’altro fronte, intanto, per gli oppositori la foto simbolo delle proteste diventa l’immagine di una poliziotta che massacra il volto di una manifestante con un casco e se ne vanta online. Ma basta poco e quell’icona, terribile, viene rielaborata graficamente e trasformata nella bandiera degli oppressi. Non importa più se sia vera o meno.

Risultato, come sottolineano sia The Atlantic sia il giornalista esperto di rete Matthew Ingram, quello che si dice online diventa ancora più importante della realtà stessa, soprattutto in contesti dove aumenta la tensione sociale come il Venezuela o l’Ucraina. I social network rappresentano, in alcuni casi, anche una garanzia e una tutela: «Sono stanca di avere paura, abbiamo messo le nostre radiografie su Facebook per far vedere che i poliziotti ci stanno spaccando le ossa, voglio vedere adesso cosa possono farci», denuncia la madre di un ragazzo arrestato dalla polizia.

Secondo chi studia la rete, come Nathan Kallus del Mit di Boston, il flusso di cinguettii e di post può essere utile anche per predire l’andamento delle rivolte. Kallus, a partire dagli ultimi riots al Cairo, ha elaborato un modello di sentiment analysis. Gli chiediamo se può prevedere quello che capiterà a Caracas:

 

«Al di là delle previsioni che mostrano un coinvolgimento sempre maggiore e lasciano pensare a un inasprirsi delle proteste, è interessante notare come i manifestanti venezuelani cambino linguaggio. Per esempio, non usano più la parola manifestazione ma incontro e questo stratagemma permette di evitare la censura. Ma rende più difficile analizzare il flusso con gli algoritmi», sottolinea. La rete, insomma, è al servizio di tutti. Manifestanti, oppositori, governativi e analisti.

Ma c’è un altro dato interessante: «Quello che sta accadendo in Venezuela ricorda quanto successo a Cuba», spiega ancora Kallus. Dargli ragione è molto facile, soprattutto se si pensa che Castro ha inviato i suoi agenti a Caracas per dare man forte a Maduro e si è palesato a Caracas per l’anniversario della morte di Chávez. Ma tra i due Paesi c’è un enorme fondamentale differenza. A Cuba ha accesso alla rete il 25 per cento della popolazione, in Venezuela il 44. Un dato di fatto, che non ha a che fare solo con i selfie e con i meme. Ma anche con l’obbligo per i governi di rispettare i diritti umani.

  @carlolodolini e @martaserafini

 

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Ottimo lavoro, Granzotto, ma temo che sia inutile per far ragionare, sul Venezuela come sulla tragedia siriana o sull'incubo ucraino ed altro..., i Complottisti De Noantri.
Prima di fornir loro dati su cui ragionare bisognerebbe convincere i Complottisti De Noantri che le fette di prosciutto che continuano a tenersi sugli occhi andrebbero invece usate per fare i toast.

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Il “golpe suave” in Venezuela ha già un mese
alessandra_riccio marzo 12, 2014

venezuela31Un mese fa cominciavano in Venezuela manifestazioni studentesche che sono diventate ben presto manifestazioni politiche di un cartello di partiti che aveva presentato, Enrique Capriles (già perdente contro Chávez) alle elezioni presidenziali del 2013, poco tempo dopo la morte del Presidente, in una sfida contro Maduro che immaginavano facile ma che lo ha visto di nuovo perdente. In quei primi momenti di febbraio in cui si chiedeva con manifestazioni violente l’uscita di scena del presidente eletto, Capriles si è mostrato incerto e debole. Ne ha preso il posto Leopoldo López, sindaco dell’importante distretto di Caracas, Chacao, e leader del partito Voluntad Popular, che si è a tal punto distinto nei disturbi di piazza da essere incriminato dalla giustizia alla quale si è consegnato dopo qualche giorno di latitanza, mentre i disturbi continuano ancora oggi in quel paese che si è misurato con un importante esperimento politico sia in campo nazionale che regionale e che per questo non ha mai avuto vita facile nonostante le diciotto vittorie elettorali su diciannove convocazioni. E’ indubbiamente vero che nelle presidenziali del 2013, Maduro ha vinto con un margine molto piccolo (1), ma le elezioni territoriali di dicembre hanno ampliato quel margine. E’ vero anche che il paese attraversa un momento di difficoltà ma la rivolta degli “studenti” ha avuto fin dall’inizio lo scopo dichiarato di cacciare Nicolás Maduro nonostante il fatto che, visto che la costituzione venezuelana prevede la revoca del mandato a metà nell’incarico, la società civile avrebbe potuto far ricorso a questo strumento per ottenere il suo scopo.
In Italia la grande stampa, da sempre per niente appassionata dell’ esperimento “chavista”, ha sostenuto le ragioni dei manifestanti, ha criminalizzato il governo ma, presa dall’urgenza delle vicende ucraine, a noi molto più vicine, non ha infierito più di tanto. Chi invece si è distinto per faziosità è stato il grande quotidiano di Madrid e uno dei più grandi d’Europa, El País, che, nella sua edizione digitale America, negli ultimi giorni ha schierato veri e propri pezzi da novanta della destra latinoamericana per dare addosso al governo del Presidente Maduro; il 9 marzo scorso, oltre a un articolo di Paulina Games, Patria, socialismo o muerte, hanno scritto Moisés Naim, ex ministro dello Sviluppo nel Governo di Carlos Andrés Pérez e attualmente dirigente della NED (National Endowment for Democracy (2)). E come se non bastasse, c’è anche l’editoriale di Mario Vargas Llosa la cui militanza politica nella grande destra americana è nota. Nei giorni precedenti avevano espresso la propria opinione anti chavista il politologo neoliberista messicano Enrique Krause e il salvadoreño Joaquín Villalobos, ex alto dirigente guerrigliero dell’ERP (Esercito Rivoluzionario del Popolo) che ha poi cambiato radicalmente le sue idee politiche. Insieme a questi opinionisti di prima classe, El Paìs schiera contro il governo del Venezuela i suoi corrispondenti in America Latina che sparano a zero. Per loro Leonardo López è un combattente della società civile, dimenticando la sua partecipazione durante il golpe contro Chávez del 2002, quando aveva fatto irruzione nella casa del ministro degli Interni e della Giustizia, Ramón Rodríguez Chacín, di sua moglie e dei sui figli di sei e nove anni e li aveva esposti alla rabbia popolare, arrestando il ministro ormai ridotto in cattive condizioni, invece il Presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello viene definito come ex golpista, ricordando la sua partecipazione insieme a Chávez al fallito tentativo degli anni novanta.
La OEA cede ante Venezuela con una resolución benevolente è il titolo di un articolo di Eva Saíz in cui da per un atto benevolo, non si sa motivato da cosa, la decisione dell’OEA di non mettere sotto accusa il governo del Venezuela; naturalmente la decisione è stata presa con tre volti contrari: Stati Uniti, Panama e Canada. Lo stesso giornale che martella sulla pesante scure che si abbatterebbe sui mezzi di comunicazione del paese dando per fatto un monopolio informativo di regime, non ricorda che durante le manifestazioni una televisione di stato è stata posta sotto assedio per sei giorni, nè fa sapere ai lettori che il Venezuela, come quasi tutti i paesi latinoamericani, ha una presenza di mezzi di informazione privati assolutamente maggioritaria. Il giornale si mostra meno sensibile quando scrive : Il Messico assesta un colpo storico al Gruppo Televisa e a Carlos Slim, e la giornalista Inés Santa Eulalia racconta che quel gruppo esercita un dominio sul mercato per cui adesso gli vengono imposte misure per favorire la concorrenza. Quel che gli sembra bene per il Messico non è tollerato per il Venezuela (ma neanche per l’Ecuador o per l’Argentina) paese nel quale lo Stato non dovrebbe avere canali di informazione.
Ma il tasto su cui battono le schiere di El País è la “cubanizzazione” del Venezuela descritta come causa del malcontento sociale e come minaccia tangibile, per questo l’ambasciata è stata oggetto di atti ostili, i medici cubani minacciati e molte attrezzature distrutte.
Senza paura del ridicolo, Enrique Krauze ha scritto: “Affrontare il Governo di Maduro significa affrontare la grottesca influenza di Cuba sul Venezuela.[...] Anche se la Rivoluzione cubana ha perso la sua aura mitica, la democrazia e il liberalismo non si sono potuti radicare in modo definitivo nella cultura politica dell’America Latina [...] L’appoggio al chavismo è, in fondo, un derivato del prestigio calante, ma stranamente vivo della Rivoluzione cubana.” Quanto al leader emergente López, ecco come ce lo descrive Krauze: “In Messico la stampa di sinistra –con un grande ascendente fra i giovani – appoggia senza se e senza ma Maduro. In questi ambienti, Leopoldo López appare come l’istigatore dell’insurrezione e non ciò che è: un leader disarmato e adesso sottoposto a un processo illegale basato su accuse false e fabbricate”.
Curiosa la visione che questo analista ha della gioventù (e della sinistra) latinoamericana!
Moisés Naim, dimenticando di aver avuto le mani in pasta nel suo paese durante il governo di Carlos Andrés Pérez morto in Florida dove si era rifugiato per sfuggire a un processo per malversazione, abbozza un lugubre scenario per il mondo i cui burattinai sarebbero Putin, Erdogan, Bachar el Assad e il povero Maduro che a mille miglia dagli scenari in cui si muovono gli altri presidenti “canaglie”, cerca di portare avanti l’esperimento di una società inclusiva che pensi anche ai più diseredati.
Villalobos, dall’alto della sua esperienza guerrigliera, modera leggermente i toni e dà consigli che si possono riassumere nell’auspicio di abbandonare ogni pretesa di un socialismo del secolo XXI.
Vargas Llosa, con la sua penna magistrale, invoca La libertà nelle strade ed elogia l’eroismo e la forza dei manifestanti per combattere il pericolo che vede in quel paese: “Il Venezuela è molto più vicino a una dittatura come quella cubana di quanto lo siano, oggigiorno, paesi come il Messico, il Cile o il Perù”. Non ricordo di avergli sentito prendere le parti degli studenti cileni durante le loro prolungate proteste, nè sulla violenza che insanguina un Messico sempre più somigliante a un narcostato, né sulla miseria e sulla discriminazione di una larga fascia di abitanti del suo Perù, meno bianchi e meno acculturati di lui. Forse per una forma di pudore, il premio Nobel non ha citato la Colombia, partner di ferro della politica degli Stati Uniti in America Latina: nella tornata elettorale di domenica 9 marzo, su 32 milioni di aventi diritto al voto, sono andati alle urne solo 14 milioni. Il presidente della delegazione di monitoraggio della OEA si è mostrato preoccupato del fenomeno: “La Colombia si trova, sia nelle elezioni parlamentari che nelle presidenziali, in quel gruppo di paesi in cui l’astensione è più alta, insieme a El Salvador, il Guatemala e il Chile”. Ma per i giornalisti di El País, anche i percorsi elettorali non sono sufficienti a garantire un processo democratico. Cristina Marcano, dopo aver affermato (per chi ancora non lo avesse capito), che “il Presidente è un burattino di Cuba”, ha sentenziato che “con febbraio se ne è andato quel poco che restava di democrazia, al di là del puro esercizio elettorale” ed ha concluso, elogiando il rifiuto a dialogare dei protagonisti delle proteste, con un frase lapidaria: “le rivoluzioni [degli studenti] non dialogano, si impongono!”.





(1) – Atilio Borón ci ricorda che nelle presidenziali degli Stati Uniti del 1960 “John F. Kennedy vinse per una differenza dello 0,1%: 49,7 contro 49,6 di Richard Nixon. E che durante quelle del 2000, George W. Bush con 47,9% ha perso contro Al Gore che aveva ottenuto un 48,4. Ma il fratello di Bush, John Ellis (a) “Jeb”, all’epoca governatore dello stato della Florida, inventò uno scandaloso arzigogolo legale che ha permesso a George W. di imporsi nello stato (dove era stato sconfitto da Gore) prendendosi così i voti elettorali della Florida, per cui ha ottenuto la maggioranza nel collegio elettorale che lo ha consacrato presidente”.

(2) – Secondo il New York Time la NED è stata creata “per portare a termine pubblicamente quello che ha fatto surrettiziamente la CIA (Central Intelligence Agency) durante decenni. Spende 30 milioni di dollari l’anno per appoggiare partiti politici, sindacati, movimenti dissidenti e mezzi d’informazione in decine di paesi” (V. alla voce NED in Wikipedia).

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I miei complimenti Roberto!

Nell'ultimo anno in Iraq sono morte 1950 persone (dati di ieri) comprese molte donne e bambini, se tu pensi che questa NON sia una cosa seria, credo che non ci siano parole!

Tutto questo, come dice Politicamente Scorretto, non è nulla di nuovo sotto il sole...

... non hanno ancora finito in Iraq che sono passati a Libia, Siria, Ucraina, Venezuela ecc...


E' assolutamente inutile che parliate delle fette di prosciutto sugli occhi degli altri, quando voi avete i maiali completi che non vi permettono di vedere al di là del vostro naso.

Comunque... contenti voi, io no, grazie.

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Questa notizia fa da corollario a quanto finora descritto e documentato da Mazzucco, questa volta non è la voce de "noantri" usata da chi vuole sminuire la serie di testimonianze e fatti ma di un capitano , ex Pilota della CIA (!) il quale da testimonianza giurata di quanto asserisce; da leggere :

http://informatitalia.blogspot.it/2014/03/ex-pilota-della-cia-da-testimonianza.html

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Testimonianza determinante! Questo Della Cia (ex pilota in quanto espulso dal serviziio per ubriachezza molesta ed abuso di cannabinoidi) dev'essere parente di quel Della Cia (noto come "el Necio imbriagòn") che, a Zeneda, va sostenendo sulla base di prove inconfutabili ma mai esibite che "Nostro Signòr l'é mort da 'l fredo".

Ma per piacere, Denisio, quand'è che da bravo ometto si firma con nome e cognome assumendosi così piena responsabilità delle CORBELLERIE MEGAGALATTICHE che, plagiato dalla Complottista, va scrivendo?

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cit:
"(ex pilota in quanto espulso dal serviziio per ubriachezza molesta ed abuso di cannabinoidi)"

Mi dispiace Dottore, immagino che lei sia rimasto male leggendo una simile dichiarazione, ma adesso ci dia un Link attendibile di quanto ha riportato sopra,

sempre per uno scambio di idee

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Ottima segnalazioni. Meritevole la diffusione.
Venezuela. Qui sotto c' è una mia lettera aa Circolo Arci di Messina.
Lettera aperta al Circolo Arci Thomas Sankara di Messina,

Cari amici ed amiche, compagni e compagne,
conosciamo il vostro impegno culturale sociale che onora il nome di Thomas Sankara.



Il Circolo organizza il prossimo sabato 22 marzo un evento / dibattito sul Venezuela con la seguente premessa:
Il Circolo Arci Thomas Sankara riapre le proprie finestre sul mondo, dopo il racconto sulla mobilitazione popolare in Mali è la volta della mobilitazione studentesca in Venezuela.
Iniziata il 4 febbraio, dopo che una denuncia di tentato stupro da parte di una studentessa universitaria di San Cristobal ha scatenato un'ondata di proteste contro l'insicurezza e la situazione economica che si è estesa a tutto il paese. Proteste che il governo di Maduro ha liquidato come parte di un complotto "golpista" e "fascista", censurando i media e i social network. Gli studenti denunciano stupri, torture e sequestri. Riappare la parola desaparecidos. Mostreremo video realizzati dagli studenti e immagini di media indipendenti. Interviengono la dott.ssa MATILDE ELIZABETH RAMIREZ BRICENO, socia venezuelana del circolo, il prof. DANIELE POMPEJANO docente di storia dell'America Latina (Università di Messina). E' previsto un collegamento Skype con il Venezuela.
In Venezuela, l’inflazione è al 56,2%. C'è una penuria di generi di prima necessità che nel caso della carta ha esiti grotteschi (la scomparsa di quella igienica) e inquietanti (il rischio di chiusura dei giornali, soprattutto quelli di opposizione).
L’insicurezza è indicata dai 23.763 omicidi commessi nel 2013: uno ogni 20 minuti, per un totale di 200 mila nei 15 anni di governo prima di Hugo Chávez e adesso di Nicolás Maduro, con un tasso - il 5° al mondo - passato dai 19 omicidi ogni 100 mila abitanti del 1998 ai 79 attuali.
Il deterioramento del pluralismo informativo, dopo che le minacce di azioni penali e multe draconiane hanno intimidito i media non allineati al punto che i proprietari della tv critica Globovisión hanno deciso - per disperazione - di vendere a un imprenditore filo-chavista, è testimoniato da quanto successo il 13 febbraio: mentre la violenza nelle manifestazioni dilagava, c’è stato un black-out informativo interrotto solo da reti sociali e dalla tv colombiana Ntn 24. Questa a un certo punto è stata bruscamente oscurata e poco dopo è stato bloccato anche Twitter…. (da LIMES, rivista italiana di geopolitica).
La lettura di quanto ha scritto Ignacio Ramonet sull’ultimo numero del mensile Le Monde Diplomatique può essere utile per una riflessione sullo spirito dell’evento.
Ignacio Ramonet è direttore dell’edizione spagnola di Diplo ed profondo conoscitore dell’America Latina, compreso il Venezuela.

VENZUELA, E’ A RISCHIO LA DEMOCRAZIA.
Nei mesi scorsi, in Vene¬zuela, ci sono state quat¬tro ele¬zioni deci¬sive: due pre¬si¬den¬ziali, il voto per i gover¬na¬tori e infine le muni¬ci¬pali. Tutte vinte dal blocco della rivo¬lu¬zione boli¬va¬riana. Nes¬sun risul¬tato è stato impu¬gnato dalle mis¬sioni degli osser¬va¬tori inter¬na¬zio¬nali. La vota-zione più recente ha avuto luogo appena due mesi fa… E si è con-clusa con una netta vit¬to¬ria –11,5% di dif¬fe¬renza – dei cha¬vi¬sti. Da quando Hugo Chá¬vez ha assunto la pre¬si¬denza nel 1999, tutte le tor-nate elet¬to¬rali mostrano che, socio¬lo¬gi¬ca¬mente, l’appoggio alla rivo¬lu-zione boli¬va¬riana è maggioritario.
In Ame¬rica latina, Chá¬vez è stato il primo lea¬der pro¬gres¬si¬sta – dai tempi di Sal¬va¬dor Allende – che ha scelto la via demo¬cra¬tica per arri-vare al potere. Non si può capire il cha¬vi¬smo se non si con¬si¬dera il suo carat¬tere pro¬fon¬da¬mente democratico.
La scom¬messa di Chá¬vez ieri, e di Nico¬lás Maduro oggi, è il socia¬li-smo demo¬cra¬tico. Una demo¬cra¬zia non solo elet¬to¬rale. Anche eco¬no-mica, sociale, cul¬tu¬rale… In 15 anni il cha¬vi¬smo ha con¬sen¬tito a milioni di per¬sone – che in quanto poveri non ave¬vano carta d’identità – lo sta¬tuto di cit¬ta¬dini e ha con¬sen¬tito loro di votare. Ha devo¬luto oltre il 42% del bilan¬cio dello Stato agli inve¬sti¬menti sociali. Ha tolto dalla povertà 5 milioni di per¬sone. Ha ridotto la mor¬ta¬lità infan-tile. Ha sra¬di¬cato l’analfabetismo. Ha mol¬ti¬pli¬cato per cin¬que il numero di mae¬stri nella scuola pub¬blica (da 65.000 a 350.000). Ha creato 11 nuove uni¬ver¬sità. Ha con¬cesso pen¬sioni d’anzianità a tutti i lavo¬ra¬tori (incluso quelli del set¬tore infor¬male)… Que¬sto spiega l’appoggio popo¬lare che ha sem¬pre avuto Chá¬vez, e le recenti vit¬to¬rie elet¬to¬rali di Nico¬lás Maduro.
Per¬ché allora le pro¬te¬ste? Non dimen¬ti¬chiamo che il Vene¬zuela cha¬vi-sta – che custo¬di¬sce le prin¬ci¬pali riserve di idro¬car¬buri del pia¬neta – è stato (e sarà) sem¬pre oggetto di ten¬ta¬tivi di desta¬bi¬liz¬za¬zione e di cam¬pa¬gne media¬ti¬che siste¬ma¬ti¬ca¬mente ostili.
Nono¬stante si sia unita sotto la lea¬der¬ship di Hen¬ri¬que Capri¬les, l’opposizione ha perso quat¬tro ele¬zioni in suc¬ces¬sione. Di fronte a que¬sto fal¬li¬mento, la sua fra¬zione più di destra, legata agli Stati uniti e diretta dal gol¬pi¬sta Leo¬poldo López, punta ora su un colpo di stato a lenta com¬bu¬stione. E applica le tec¬ni¬che del manuale di Gene Sharp.
In una prima fase: creare lo scon¬tento mediante l’accaparramento mas¬sic¬cio dei pro¬dotti di prima neces¬sità; far cre¬dere nell’incom¬pe-tenza del governo; fomen¬tare mani¬fe¬sta¬zioni di scon¬tento; e inten¬si¬fi-care la per¬se¬cu¬zione mediatica.
Dal 12 feb¬braio, gli oltran¬zi¬sti sono pas¬sati alla seconda fare, pro¬pria-mente insur¬re¬zio¬nale: uti¬liz¬zare lo scon¬tento di un gruppo sociale (una mino¬ranza di stu¬denti) per pro¬vo¬care pro¬te¬ste vio¬lente, e arre¬sti; orga¬niz¬zare mani¬fe¬sta¬zioni di soli¬da¬rietà con i dete¬nuti; intro¬durre tra i mani¬fe¬stanti pisto¬leri con il com¬pito di pro¬vo¬care vit¬time da ambe¬due i lati (la peri¬zia bali¬stica ha sta¬bi¬lito che gli spari che hanno ucciso a Cara¬cas, il 12 feb¬braio, lo stu¬dente Bas¬sil Ale¬jan¬dro Daco¬sta e il cha¬vi¬sta Juan Mon¬toya pro¬ve¬ni¬vano dalla stessa pistola, una Glock cali¬bro 9 mm); incre¬men¬tare le pro¬te¬ste e il loro livello di vio¬lenza; rad-dop¬piare l’attacco media¬tico, con l’appoggio delle reti sociali, con¬tro la repres¬sione del governo; farer in modo che le grandi isti¬tu¬zioni uma¬ni¬ta¬rie con¬dan¬nino il governo per l’uso smi¬su¬rato della vio¬lenza; otte¬nere che i governi amici lan¬cino avver¬ti¬menti alle auto¬rità locali.…
Siamo in que¬sta tappa. E dun¬que: è a rischio la demo¬cra¬zia in Vene-zuela? Sì, per¬ché è minac¬ciata, una volta di più, dal gol¬pi¬smo di sem-pre.



Certamente è importante analizzare e capire anche quali cambi sono necessari. Nello stesso numero della rivista citata, in un articolo dal titolo NUOVI STRUMENTI PER GLI OBIETTIVI RIVOLUZIONARI, Jaques Sapir afferma che contro la destabilizzazione tentata dalla destra e dall’ élite, si impongono, in campo monetario e di bilancio, nuove misure economiche di breve e lungo periodo.
Ma è prioritaria la difesa ed il sostegno della rivoluzione bolivariana, per uello che significa per Venezuela, America Latina ed il mondo intero, contro il golpismo interno e l’imperialismo degli Stati Uniti.
Grazie per l’ attenzione.
Un caro saluto e buoin lavoro,
Francesco Cecchini

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LA LISTA TSIPRAS:
LA NUOVA POLITICA SENZA CLASSE DELLA “SINISTRA” ITALIANA

di Michele Terra

Una volta c'era il Partito della Rifondazione comunista - più o meno unitario - poi ci furono
i governi dei Prodi, poi le scissioni, poi venne l'Arcobaleno e di seguito nacque Sel di Nichi
e i suoi amici, e ci fu l'ora della lista Rivoluzione Civile con il suo vate Ingroia.
Dopo anni sconfitte arrivarono gli intellettuali ed i professori, non portarono
doni alla sinistra e ai comunisti ma..... la lista Tsipras per le europee.
Questo potrebbe essere l'incipit che i nostri nipotini leggeranno - forse - tra qualche
decennio nel libro delle favole della sinistra. Perché la c.d. Lista Tspiras è la nuova favola dove andranno a recitare il ceto politico post e neo rifondarolo ed intellighenzia sinistroide ma rigorosamente anticomunista.
Questa sinistra italiana, litigiosa e divisa, per mille motivi che qui non andremo ad elencare, per ritrovare un momento di unità che le faccia sperare di superare lo sbarramento del 4% è dovuta ricorrere al papa straniero. Perché per unirsi a questa tornata di elezioni europee, senza far ricordare al proprio elettorato il recente passato e le proprie responsabilità, è necessario parlare di Europa e solo di quello.

Inizialmente è stato Paolo Ferrero con i resti del Prc a proporre Tsipras come candidato alla presidenza della Commissione Europea come espressione del Partito della Sinistra Europea, aggregazione che unisce, in realtà in forma di coordinamento, partiti quali la Linke tedesca, il Pcf e il Parti de Gauche francesi, Izquierda Unida spagnola, oltre ovviamente il Prc e Syryza più altre formazioni minori. Ma la cosa è presto sfuggita di mano agli eterni rifondatori con l'entrata in campo di un gruppo di intellettuali e professori, fondamentalmente legati alla rivista Micromega, diretta da Paolo Flores D'Arcais ed edita dal gruppo Repubblica-Espresso, di fatto il lato sinistro del fronte politico-editoriale di Carlo De Bendetti. Questa lobby si è immediatamente autonominata comitato promotore della lista Tsipras, emarginando Rifondazione e tutti i soggetti collettivi potenzialmente interessati, ponendosi come unico ponte di comando dell'intera operazione con potere di scelta assoluto su candidature e composizione delle liste.

I garanti della lista

Cerchiamo di vedere meglio chi sono alcuni dei promotori di questa lista che pare vogliano gestire dalla A- Z questa operazione politica e poi mascherarsi dietro ad una finta democrazia para-assembleare per militanti e simpatizzanti di sinistra, ormai talmente disperati da credere a tutto, anche a 'sti quattro professori.

Paolo Flores D'Arcais - Un quarantennio fa - quando i mulini erano bianchi - è stato comunista, poi è stato uno dei grandi sostenitori della svolta di Achille Occhetto (personaggio che probabilmente non passerà alla storia per il suo acume politico); in particolare Flores D'Arcais teorizzava l'esistenza di una "sinistra dei club" che avrebbe dovuto affiancare e intersecare il PDS. Peccato che la sinistra dei club esistesse solo nella testa del nostro intellettuale, mentre il PDS è sopravvissuto ai propri fondatori e teorici solo poche sfortunate stagioni (sono invece sopravvissute le abitudini salottiere di D'Arcais). Non pago di queste brillanti operazioni, tramite la rivista Micromega, Flores D'Aircais è stato uno dei più accaniti promotori di una sinistra giustizialista vicina a di Di Pietro e al suo partito di ladroni e voltagabbana.
Marco Revelli - Dalla seconda metà degli anni '90 fino alla caduta è stato uno dei grandi
ispiratori di Fausto Bertinotti, uno degli intellettuali indipendenti dal Prc ma organici al
bertinottismo, tanto da venire eletto consigliere comunale a Torino nelle liste Prc. Il suo saggio Oltre il novecento venne definito da Luigi Pintor (che non era esattamente un bolscevico leninista) come «il libro più organicamente anticomunista che io abbia letto». Nel 2011 Marco Revelli
disegnò il governo Monti come l'arrivo dei salvatori della patria: “(...) politicamente, mi rendo conto che al suo governo non ci sono alternative. Che il suo ingresso a Palazzo Chigi ha il senso di un'ultima chiamata, oltre la quale non c'è un'altra soluzione politica possibile, ma solo il vuoto in cui tutti, nessuno escluso, finirebbero per schiantarsi (l'insolvenza dello Stato, la sospensione del pagamento degli stipendi ai dipendenti pubblici, il blocco del credito bancario, la paralisi del sistema produttivo, da cui una astrattamente desiderabile campagna elettorale non ci avrebbe messo al sicuro, anzi...). Non so se la nascita del suo governo sarà sufficiente a metterci al riparo, almeno temporaneamente, dalla tempesta che ci infuria intorno. Ma so che ne è - anche sul piano dello stile - la condizione necessaria.(...)”[Il Manifesto 17 novembre 2011]. Le stesse posizioni sono state poi ribadite da Revelli anche nei mesi successivi.
Barbara Spinelli – E' stata tra le più determinate promotrici della lista, le sue posizioni politiche c'entrano abbastanza poco con la sinistra: è un'europeista convinta (nel senso di Unione Europea con le due maiuscole), editorialista de La Repubblica, giornale che non ha certo brillato per la sua linea di sinistra negli ultimi trent'anni. Dopo le elezioni politiche del 2013 la radicalità della Spinelli si è tramutata in un appello a Beppe Grillo affinché il Movimento 5 Stelle formasse un governo con il Pd di Bersani. Durante la recente crisi Ucraina Spinelli si è schierata dalla parte di rivoltosi invocando un intervento più deciso dell'Unione Europea.
Luciano Gallino – E' uno dei più importanti sociologi italiani; saggista molto prolifico, tra i suoi ultimi lavori si segnala La lotta di classe dopo la lotta di classe. Viene da chiedersi come mai sostenga un progetto politico dichiaratamente aclassista come la lista Tsipras. Ricorda un po' un altro famoso intellettuale come Mario Tronti che, dopo aver ripubblicato un classico dell'operaismo come Operai e Capitale ed aver sostenuto anche nei suoi scritti più recenti la necessità del partito di classe, ora fa il senatore per il Pd.

L'abdicazione di Sel e del Prc

Sono questi i principali personaggi a cui la sinistra politica si è affidata, a dir il vero, come vedremo, con poco entusiasmo. Ma se si parla di Europa, di Euro e di politiche economiche per Sel e Prc la lista Tsipras diventa un passaggio obbligato per la rimozione delle proprie responsabilità (in qualche caso un'operazione forse neanche consapevole, ma vera e propria rimozione psicologica dei propri reati politici).
Se nei primi anni '90 la neonata Rifondazione Comunista denunciava – giustamente – i guasti che avrebbero prodotto i cosiddetti “parametri di Maastricht” per l'accesso all'euro, pochi anni dopo tutti i parlamentari del Prc – Vendola compreso – votavano le politiche economiche del primo governo Prodi necessarie per l’entrata nell’eurozona: privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, ovvero alla scuola, alla sanità, al salario dei dipendenti pubblici, ecc.. Tutte queste scelte “europeiste” sono state reiterate nel corso degli anni da Prc e Sel ogni volta che hanno fatto parte di maggioranze e governi locali e nazionali.
Ma le scelte dei garanti emarginano sia Sel che il Prc al ruolo di sostenitori della lista senza voce in capitolo: sono solo i garanti nazionali ed i loro proconsoli locali a determinare ogni passaggio.
La stessa adesione di Sel alla lista Tsipras, se confermata fino alla fine del percorso, non è stata lineare ma nasce dalla sconfitta della linea Vendola al congresso nazionale del partito. Il presidente pugliese avrebbe preferito sostenere direttamente il socialdemocratico tedesco Schulz, con l’obiettivo dichiarato di entrare a breve nel Partito Socialista Europeo. La parziale sconfessione di tale linea da parte del congresso lo ha portato ad elaborazioni linguistiche senza costrutto politico: “(…) vogliamo occupare quella terra di mezzo tra Schulz e Tsipras, (…) siamo con Tsipras ma non contro Schulz (…)”, in definitiva Vendola tenta di essere milanista ed interista in contemporanea, rischiando di fare – in termini milanesi – la parte del pirla. Tra l’altro Tsipras in Grecia è il principale oppositore del governo di cui fa parte il Pasok, il vecchio e corrotto partito socialista ellenico espressione di quel Pse di cui Vendola vorrebbe entrare a far parte.

Lo stesso Prc, che della Sinistra Europea di cui Tsipras è esponente, si trova talmente in difficoltà da aver costretto la segreteria nazionale a scrivere una lettera ai propri iscritti per spronarli nell'impresa rilevandone alcuni dolentissimi punti: “(....) la nostra richiesta di costruire un percorso democratico nella definizione dei simboli e della composizione della lista è stata completamente disattesa dai promotori. Nonostante le nostre ripetute richieste (...) i garanti della lista non hanno accettato di costruire un percorso democratico che potesse determinare un effettivo spazio pubblico di sinistra.(...) Ci troviamo piuttosto di fronte ad una lista civica, di cui condividiamo la sostanza delle posizioni politiche senza che ne condividiamo i modi di costruzione e larga parte della cultura politica che viene proposta dai promotori. Il risultato concreto è una lista civica antiliberista(...)”
Di certo il rifiuto dei garanti di inserire la parola Sinistra nel simbolo ha creato ulteriori malumori nel mondo di Rifondazione.
La stessa Syryza esprime posizioni molto più radicali della lista italiana, senza tener conto che almeno il 25% del partito greco si trova su posizioni nettamente più a sinistra dello Tsipras, come si è evinto dai risultati dell'ultima conferenza nazionale.

E se dovessero farcela?

Il primo sondaggio li dà ad un esagerato 7,2%, ma se dovessero davvero superare lo sbarramento ci troveremmo davanti all'ennesima svolta destra della sinistra istituzionale/movimentista italiana, senza una politica del conflitto di classe ed egemonizzata dai personaggi di cui sopra, legati più che altro alla tradizione – minoritaria – di una parte della borghesia liberaldemocratica progressista italiana.

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In Crimea referendum illegale ed illegittimo (taroccato pure nel quesito e nel sistema di identificazione al voto), sotto i mitra spianati dei soldati russi (senza mostrine, furbissimi...) . Votato da una popolazione russofona colà trapiantata dopo che Stalin aveva provveduto a bonificare la pensiola deportando ucraini e tatari. I soliti russi imperialisti-annessionisti-totalitari- guerrafondai della spartizione della Polonia , dell'Ungheria '56, della Primavera di Praga, della Cecenia, della Georgia ...così solo per accennare...

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LETTERA A UN ANTICHAVISTA VENEZUELANO DI CLASSE MEDIA O ALTA
Postato il Lunedì, 17 marzo @ 23:10:00


Stimato venezuelano. Lei sarà afflitto dalla grave situazione di violenza che colpisce il suo paese. Secondo le diverse interpretazioni, verrà presentata come la lotta di un popolo per liberarsi di un governo repressivo o come azioni terroriste da parte di gruppi che vorrebbero destabilizzare un governo legittimo.

Ma prima di entrare in questa discussione vorrei invitarla ad analizzare, indipendentemente da ogni forma di interpretazione, come la sua situazione economica e imprenditoriale si sia evoluta negli ultimi quattordici anni, dall'inizio della cosiddetta rivoluzione bolivariana.


Suppongo che, facendo parte della classe medio-alta, lei avrà un lavoro qualificato e ben retribuito, oppure sarà un imprenditore che dirige la sua attività di produzione o di servizi in Venezuela. Capisco che l'arrivo e la successiva avanzata del socialismo del secolo XXI di Ugo Chavez sia stato, per lei, motivo di preoccupazione. Le hanno detto che il Venezuela sarebbe diventato una "dittatura comunista cubana", che le avrebbero tolto la sua impresa, che le avrebbero nazionalizzato la casa e i terreni, espropriato le sue auto, e perfino sequestrato i figli per poterli mandare in un circolo bolivariano al fine di una conversione alla causa chavista.

I dirigenti dell'opposizione e i mezzi di comunicazione dell'opposizione ci stanno dicendo questo da quattordici anni senza che lei abbia potuto comprovarne la verità. Le hanno anche raccontato che venivano perseguitati assieme alle loro emittenti, ma sono senza dubbio ancora al loro posto.

Ora le chiedo di pensare alla sua situazione, separandosi da qualsiasi influenza esterna, governativa o dell’opposizione. Se lei è un medico, ingegnere, avvocato o facente parte di una qualsiasi professione liberale o ad alta retribuzione, ha verificato se i suoi redditi sono peggiorati durante il governo di Ugo Chávez prima o di Nicolas Maduro poi? Le hanno nazionalizzato l'ufficio, l’ambulatorio o gli strumenti di lavoro? Le tasse hanno reso insostenibile la sua attività? I suoi figli stanno ancora con lei o vengono educati in collegio e nel modo che lei desiderava, o lo stato venezuelano se li è portati via, contro la sua volontà, in qualche circolo bolivariano? Riveda l'evoluzione della sua contabilità negli ultimi dieci, quindici anni. Se ha uno studio di avvocati, una clinica di estetica o un ufficio da architetto, è diminuito il fatturato dopo l'arrivo della rivoluzione bolivariana? Una larga fascia dei ceti poveri, che prima non potevano permettersi un'operazione di chirurgia estetica, ristrutturare le casa o consultare un avvocato, ora hanno i soldi per farlo.

Una delle questioni che più la preoccupano è la delinquenza comune, effettivamente alta in Venezuela. Ma lei vive in un quartiere agiato, nella zona est di Caracas o a El Hatillo. Sappiamo tutti che lì non ci sono grossi problemi di delinquenza. In ogni caso, la sua casa ha a disposizione guardie private e recinzioni in filo spinato, forse elettrificato. Anche prima dell’arrivo di Ugo Chávez al potere. Ê vero che nei quartieri umili e sovrappopolati delle grandi città venezuelane ci sono crimini tutti i giorni. Lei sa che l'80% degli omicidi avviene nei quartieri popolari, ma lei non frequenta Petare, La Vega, o il 23 de enero, né mai ci è andato, perché sono sempre stati pericolosi.

In fondo non c'è ragione perchè si preoccupi più adesso rispetto a quindici anni fa. Per quanto riguarda il centro, consideriamo piazza Venezuela o Sabana Grande, le sembra davvero più pericoloso ora rispetto a dieci anni fa, prima che venissero sloggiati i venditori ambulanti e dell’installazione dei parchi gioco per l’infanzia e della nuova illuminazione? Forse lei non è un professionista, ma un imprenditore. Padrone di una catena di ristoranti, di concessionarie d'auto, o fabbricante di mobili. Oppure proprietario di un negozio di cellulari o di elettronica, o di vestiti in un centro commerciale. Avrà comprovato che, dopo quindici anni, questo comunismo in arrivo non le ha rovinato gli affari. Il presidente Nicolas Maduro ha perfino detto che impedirà gli abusi nei costi di affitto dei locali. Non le hanno nemmeno aumentato le tasse, e di fatto in Venezuela, in questi ultimi anni, non ci sono state chiusure di attività commerciali come è successo in Spagna.

È vero che, in quest'ultimo anno, ha dovuto affrontare un grave problema economico: la scarsità di liquidi che le impedisce di acquistare materiale d'importazione per la sua attività. La responsabilità può essere in parte del governo, non le sto chiedendo di non segnalarne gli errori, e lo stesso Maduro lo sta riconoscendo. Ma è un problema che dovrà essere risolto senza violenza e destabilizzazione, come invece qualcuno sta cercando di fare.

D'altra parte avrà notato che mulatti e poveri, che non avevano mai avuto uno smartphone, una macchina nuova, dei vestiti cari, e neppure cenavano in un buon ristorante, ora sono suoi clienti. Può darsi che qualcuno di voi, classe bianca, ammiratori degli Stati Uniti e orgogliosi delle proprie origini europee, non voglia incontrare, nei centri commerciali, nel proprio quartiere, questi mulatti, afrodiscendenti, asiatici, magrebini o indigeni, con un'auto o un cellulare simile al suo, quando fino a poco tempo fa erano sporchi e analfabeti. Le disturba perfino che siano suoi clienti. Non le vorrei ricordare che questo è razzismo, ma solo che, a differenza sua, questi europei e statunitensi, che lei tanto ammira, frequentano con piacere gli afrodiscendenti, gli asiatici e i magrebini se hanno soldi. Gli imprenditori di Marbella sono contentissimi quando arrivano gli arabi con le loro carte di credito, e l'ex presidente Bush non ebbe dubbi ad affidare il posto di segretaria di stato a un’afrodiscendente. E le grandi multinazionali statunitensi non hanno problemi con un presidente anche lui afrodiscendente.

Ci pensi bene, i soldi di questi scuri di pelle dai quartieri periferici fanno davvero comodo ai suoi affari, e prima dell’avvento bolivariano questi soldi non le arrivavano. Il governo viene accusato di dividere i venezuelani, ma la divisione che denunciano è artificiale, intrisa di pregiudizi. La vera divisione di una società è tra chi possiede tutto e chi niente. Riuscire a limitare queste differenze, che lei può comprovare nella sua clientela, è un qualcosa che ha fatto progredire il Venezuela.

Non le chiedo neppure di negare il problema dei rifornimenti. Ma tutti sappiamo che le principali linee distributive sono private. In Venezuela sia i cittadini sia il governo dispongono di mezzi per acquistare i beni di prima necessità, ed è evidente che il problema principale, la mancanza di soldi, non esiste. Nessun governo può desiderare che scarseggino questi prodotti, e ne consegue che chi è più interessato alla soluzione del problema sia proprio il Governo, intervenendo sugli speculatori, sugli accaparratori, sui monopolisti e i distributori che sabotano gli approvvigionamenti. Le iniziative violente, quelle che bruciano i camion dello Stato, le possono dimostrare che questi soggetti non sono interessati ai rifornimenti per la popolazione.

Ho comprovato che in Spagna, nelle inchieste del Centro per le Indagini Sociologiche, alla domanda "Quali crede siano i principali problemi del paese?" i cittadini rispondono in un modo e alla domanda "Quali crede siano i problemi che toccano lei e la sua famiglia?" rispondono in un altro. Per la prima è il terrorismo a occupare un ruolo rilevante, mentre per la seconda è la disoccupazione. Questo avviene perchè la psicosi che gli è stata trasmessa da alcuni politici e dai mezzi di comunicazione li rende ansiosi di un qualcosa che, osservando la propria situazione personale, non è di primaria importanza. Già Michael Moore ha ricordato agli statunitensi che ci sono più morti per suicidio che per terrorismo, o detto altrimenti, è più facile che si venga uccisi da sé stessi che da un terrorista. Nonostante questo, tutti gli statunitensi sono preoccupati per il terrorismo.

Le racconto questo perchè forse, amico venezuelano, le sta succedendo qualcosa di simile riguardo l'ansia che le trasmette il governo di Nicolás Maduro.

Non pretendo di convincerla ad appoggiare l'attuale governo venezuelano, o che lo voti alle prossime elezioni. Rispetto a me, lei avrà molti più elementi per osservare l'evoluzione del suo paese e per valutare quali problemi siano causati dagli errori del governo o da elementi a lui estranei. Nel mio paese, in Spagna, molti cittadini sono contrari alla politica del governo. Critichiamo le sue decisioni, cerchiamo una via d’uscita e il giorno delle elezioni votiamo per un altro partito. Facciamo anche manifestazioni, ma pensiamo che un presidente, un deputato, un sindaco, debbano rimanere in carica fino alle successive elezioni. Non diamo fuoco ai camion statali per i rifornimenti, e neppure facciamo barricate nelle strade per far collassare le città, e i politici dell'opposizione non istigano migliaia di cittadini ad assaltare un ministero, non permettiamo che i cittadini in contrasto con il governo installino del filo spinato in un viale per sgozzare qualche motociclista. Tutto questo per far dimettere il presidente eletto con elezioni democratiche. Ma lei, venezuelano di classe media o alta, imprenditore, legittimo e rispettabile oppositore del Governo, crede davvero che questo scenario possa aiutare a migliorare la sua situazione personale, famigliare ed economica?

In Venezuela esistono meccanismi democratici per destituire un Governo, anche più che in Europa, dove non ci sono referendum che consentano di togliere la carica a un politico prima della fine del suo mandato. Coloro che stanno scatenando la violenza non sono preoccupati per la loro economia o gli affari, vogliono destabilizzare un determinato sistema politico democratico e legittimo a danno della convivenza perchè sanno che non arriveranno al potere in modo democratico.

Molti lo stanno riconoscendo. Dia rapidamente un’occhiata ai paesi dove le masse di rivoltosi hanno abbattuto i governi grazie agli appoggi esterni che avrebbero dovuto riportare la democrazia: Irak, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina... Davvero crede che i professionisti d'alto livello o gli imprenditori come lei ci abbiano guadagnato e che ora stiano meglio? Un ultimo particolare, prima che qualcuno di voi insinui su quanto mi paga il governo venezuelano per scrivere questo. Non sono mai stato pagato per i miei articoli o per i testi che ho scritto sul Venezuela, e la cosa non mi piace perchè il lavoro (non il sostegno incondizionato) va pagato. Per questa ragione viene pubblicato in un mezzo di comunicazione spagnolo.
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PASCUAL SERRANO
Publico.es

Link: Carta a un antichavista venezolano de clase medio o alta

12.03.2014

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