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20 aprile 2024

Vittorio Veneto

Profughi si incatenano al Municipio: "Siamo senza un tetto"

Sei ragazzi ottengono la protezione sussidiaria e vengono lasciati in strada. Chiedono (invano) di parlare subito col sindaco

| Stefania De Bastiani |

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| Stefania De Bastiani |

VITTORIO VENETO - Famakan Keita, la scorsa notte, ha dormito in stazione dei treni. Dormito si fa per dire: la panchina presente nella sala d'aspetto della piccola struttura non è proprio il più comodo degli alloggi. Ma questo è tutto quello che Keita si può permettere dopo aver ottenuto ciò che desiderava: la protezione sussidiaria.

Il 22enne del Mali, richiedente asilo al Ceis fino a due giorni fa, ha ora il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria: uno status pari a quello di rifugiato che viene rilasciato dalla commissione territoriale qualora si ritenga che la persona rischi di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) nel caso di rientro nel proprio paese.

Keita è fuggito dal Mali, dove gli attacchi da parte dei separatisti tuareg e dei fondamentalisti islamici contro i civili gli rendevano impossibile vivere, difficile sopravvivere. Il ragazzo è scappato un anno fa, completamente solo, ha attraversato il Mali, il Niger, la Libia, si è imbarcato su un mezzo di fortuna, ha attraversato il Mediterraneo, è arrivato in Sicilia, a Treviso, a Vittorio Veneto. Ha chiesto lo status di rifugiato. Ha atteso. E, quando ha ottenuto quel documento necessario a rimanere in Europa, si è ritrovato a dormire su una panchina: niente tetto, niente soldi, niente cibo né appoggi. Niente.

 

Una condizione che oggi Keita condivide con Yacuba, con Abdoulie, con Mamabou, con Sulayman e con Isaac. Sono sei i profughi - profughi con tutti i crismi sì, quelli che anche Salvini ha dichiarato “vanno ospitati” - che dopo aver ottenuto la protezione sussidiaria sono stati costretti a lasciare il Ceis. Ragazzi tra i 20 e i 30 anni che non avendo più diritto all’accoglienza passano in carico all’assistenza sociale al pari degli altri cittadini. In carico al Comune.

Ed è per questo che oggi Keita, Yacuba, Abdoulie, Mamadou, Sulyman, Isaac e una trentina di amici richiedenti asilo si sono presentati in Municipio, arrivando a dover incatenarsi per attirare l’attenzione di quel sindaco che si sarebbe reso disponibile solo “tra qualche giorno, dopo una formale richiesta di incontro”.

“Nei giorni scorsi abbiamo fatto richiesta di alloggio agli interventi sociali - spiega Pier Lorenzo Parrinello (in foto), del Gallo Rosso, che sta aiutando i ragazzi - ci hanno detto che dovevamo aspettare. Questa mattina ho chiesto di parlare con il sindaco, ma era impegnato. Ci ha mandato a dire che per avere un appuntamento dobbiamo fare richiesta e aspettare tre, quattro giorni. Ma è possibile che un sindaco che sa che sei ragazzi, sei giovani cittadini, sono costretti a dormire al freddo si fa attendere giorni? Questa è un’emergenza: cos’ha di così importante da fare?”

 

Il sindaco del Pd Roberto Tonon non ha incontrato i richiedenti asilo, ma ci hanno pensato il comandante dei vigili e il maresciallo dei carabinieri che, dopo aver parlato con Abdoulie, giovane che si era incatenato alla porta del municipio, hanno acconsentito a muoversi per far sì che i ragazzi rimangano al Ceis ancora qualche giorno.

“Hanno ottenuto qualcosa - commenta Parrinello - ma dobbiamo far capire al sindaco che in città c’è bisogno di un dormitorio pubblico, per i profughi ma anche per gli italiani. Non è possibile che Vittorio Veneto non abbia un posto per ospitare i senzatetto”.

Una piccola ma grande vittoria per i sei ragazzi a cui è stato concesso, almeno per qualche notte, un letto. Dove poter dormire al caldo, stringendo tra le mani quel documento che li ha resi dei senza tetto ma, al contempo, dei cittadini: con il diritto di rimanere, di crescere, di dare e ricevere. Con il diritto di avere un futuro.

Abdoulei incatenato al Municipio

 


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Stefania De Bastiani

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