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28 marzo 2024

Vittorio Veneto

Vajont da non dimenticare

Iniziative, commemorazioni e una maratona di lettura di 24ore per ricordare le duemila vittime del 9 ottobre 1963

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Vajont da non dimenticare

Ricorre oggi il 52° anniversario del Vajont. Della catastrofe del Vajont, di quell’olocausto (la definizione è di Tina Merlin) che gli scienziati, invitati dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel 2008 - anno internazionale del Pianeta Terra - definirono “un caso da manuale educativo per descrivere un disastro evitabile, causato dalla insufficiente comprensione delle scienze della terra e dall’incapacità di ingegneri e geologi di comprendere la natura del problema che stavano cercando i affrontare.”

I fatti. Il 9 ottobre 1963, alle ore 22 e 39 minuti, dietro la grande diga del Vajont che chiude, come un imponente cuneo di cemento, la stretta valle in cui un tempo scorreva il torrente Vajont, trasformato in un gigantesco bacino d’acqua, il monte Toc si rompe. Affonda. 270 milioni di metri cubi di roccia, sassi, pascoli, stalle, casere e alberi crollano nel lago artificiale.

La frana ha un volume superiore di tre volte alla quantità d’acqua dell’invaso e viaggia alla velocità di 90 chilometri l’ora. A contatto col bacino provoca un’onda di 50 milioni di metri cubi d’acqua, che si innalza di cento metri sopra il parapetto della diga (alta oltre 200 metri) e si riversa nella valle del Piave spazzando via tutto ciò che trova, con una furia distruttrice pari a quella della bomba di Hiroshima: è stato calcolato che l’onda d’urto dovuto allo spostamento d’aria abbia avuto un’intensità superiore a quella della bomba atomica.

I villaggi di Le Spesse, Pineda, Ceva, Frasego, San Martino, Marzana, Faè, Fortogna, la parte bassa di Erto e i paesi di Longarone, Pirago, Maè, Rivalta, Villanova e Vajont scompaiono.

Al posto di case, strade, negozi, chiese, cimiteri. Al posto della stazione e del suo tronco ferroviario, al posto del tratto della strada d’Alemagna che corre parallela al ridente comune di Longarone c’è solo fango, melma, detriti, distruzione e morte.

Le vittime del Vajont sono 1917: 158 di Erto e Casso, 109 di Codissago e Castellavazzo, 200 di altre frazioni.

487 delle vittime sono bambini. 763 corpi non verranno mai ritrovati.

Responsabilità. Dopo quel tragico evento, per molti anni, i media - soprattutto quelli controllati da organismi di potere che hanno voluto tacere o sottacere la verità delle responsabilità umane attribuendole ai capricci della natura o a una “tragica fatalità” - ci hanno detto che la tragedia non si poteva prevedere e, quindi, non si poteva evitare. Oggi, a 52 anni di distanza, sappiamo che non è così. Che le cause della catastrofe furono anche “naturali” certo, ma furono soprattutto umane. Sappiamo che la tragedia si poteva prevedere (ed era prevista), si poteva evitare (e non è stata evitata). Sappiamo che i responsabili non hanno pagato che in minima parte le proprie colpe.

Eloquente è la foto che riportiamo qui sotto: un telegramma che l’ingegner Biadene della Sade invia al collega Pancini (successivamente morto suicida) all’indomani della tragedia, in cui scrive che una grossa frana si è staccata dal monte Toc. Stop. Ma la diga ha resistito bene.



Sappiamo che no, non è stata fatta giustizia. Anche perché qualunque “risarcimento” non avrebbe potuto ridare vita a duemila persone, ridare vita a intere famiglie scomparse in una atroce notte di luna piena. Sappiamo che l’unica voce che aveva ascoltato le preoccupazioni della gente aveva pagato con una denuncia e un processo l’allarme che aveva lanciato dalle pagine dell’Unità. Sappiamo che Tina Merlin da sola non ce l’ha fatta a combattere i mostri. E che per molti anni fu accusata di sciaccallaggio anche da alcuni illustri colleghi giornalisti.

Le celebrazioni per la ricorrenza. Oggi pomeriggio, alle 15, la catastrofe verrà ricordata con una cerimonia civile che precederà quella religiosa al cimitero di Fortogna, prevista per le 15.30 e alle 21 avrà luogo una veglia di preghiera nella chiesa di Longarone. Per tutta la giornata saranno inoltre molteplici le occasioni per ricordare le vittime a Longarone, Erto, Nuova Erto, Casso, Vajont, e a Ponte nelle Alpi.

Per sabato e domenica della prossima settimana le pro loro di Erto e Casso, oltre al consueto simposio di scultura, organizzeranno inoltre una maratona di lettura di 24 ore in diversi luoghi simboli del disastro. Scrittori e giornalisti, in una sorta di staffetta della memoria leggeranno alcune pagine sul Vajont seguendo però lo spirito che anima le iniziative delle due pro loco: riportare e ridare vita alla valle.

I bambini del Vajont. In questi anni tra le moltissime testimonianze raccolte tra i “salvati” del Vajont molte sono state quelle dei bambini sopravvissuti. Bambini che oggi sono adulti, con una ferita nell’anima mai cicatrizzata, segnata dall’amarezza e soprattutto dal dolore.

Ai bambini del Vajont, Emanuela Da Ros ha dedicato il suo ultimo libro: La storia di Marinella. Una Bambina del Vajont, edito da Feltrinelli Kids.

La storia è basata su una bambina realmente esistita: Marinella Callegari (in foto), scomparsa a 10 anni, insieme a mamma Maria Luisa e papà Almerino. Il suo quaderno di scuola (quello che ha ispirato il libro) è custodito in una delle teche del cimitero monumentale di Fortogna. E’ riempito fino al 9 ottobre 1963. Ed è chiazzato di fango perché nel fango, poche ore dopo la tragedia, è stato trovato da Ulderico Quintabà, un vigile del fuoco di Ancona.

Su quel quaderno restano, macchiate e marchiate dal dolore, le parole dedicate alla mamma da una bambina, a cui è stato rubato il futuro.

 


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