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28 marzo 2024

Treviso

“Al primo test ero negativo, ma non ci hanno mai separati”

Nuova testimonianza di un ragazzo che vive nell’ex caserma Serena

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Migrante

FOTO immagine di repertorio

 

TREVISO Mario di Casier ci ha già fatto conoscere un ragazzo nigeriano che vive nell'ex Serena, di cui vi abbiamo raccontato lo scorso 20 agosto, ed ora si è fatto nuovamente da tramite con i residenti della struttura per richiedenti asilo, intervistando un altro giovane di cui ci spiega: “M. S. mi è stato presentato da un altro ragazzo del Burkina, diventato per noi uno di famiglia, che ho conosciuto in un centro della Caritas a Preganziol dove andavo una volta alla settimana per aiutare, chi voleva, a fare i compiti che assegnavano a scuola. Aveva bisogno di impratichirsi con l’italiano e così fino al lock down è venuto a casa mia per far lezione. L’orario di lavoro nella ditta di spedizioni dalle 4/5 alle 10 e dalle 16 alle 20, perciò se il lavoro non si protraeva oltre, arrivava verso le 10 del mattino, rinunciando a qualche ora di sonno per esercitarsi un po’”.

Ricordiamo che Mario a titolo volontario pur di capire e conoscere meglio questa realtà sociale, sconosciuta ai più, si è adoperato dando una mano a questi ragazzi, insegnando loro la lingua italiana me ecco il racconto del giovane di cui ha raccolto la testimonianza: “Ho 24 anni e vengo dal Burkina Faso. La mia richiesta di asilo deve essere ancora definita. La commissione dopo un primo parere negativo ha riaperto la mia pratica per ulteriori approfondimenti. Sono mussulmano e al mio paese ho frequentato la Scuola coranica. Sono arrivato a Treviso dalla Sicilia il 17 aprile 2017 e sistemato in un centro gestito dalla Caritas in Via verdi, dove eravamo 28 persone. Quando stavo lì frequentavo la scuola e ho conseguito il livello A1. Il 30 aprile 2019, il centro è stato chiuso (Decreti sicurezza) e così sono stato trasferito con altri alla Serena.

In caserma niente scuola (taglio dei fondi per l’istruzione) e una vita molto diversa da quella che facevamo in Via Verdi. Ho faticato ad inserirmi, poi un mio amico, originario del Burkina come me ma che non vive in caserma, vedendomi sempre giù di morale mi ha incoraggiato a cercare di partecipare alla vita sociale e unirmi agli altri per esempio per giocare al calcio. Questo mi ha aiutato ad essere meno triste e chiuso. Prima che mi arrivasse il codice fiscale ho lavorato per sei mesi circa con un contratto di tirocinio.

Da circa un anno lavoro come facchino in un’azienda di spedizioni con contratti a tempo determinato che mi rinnovano ogni 3 mesi. L’ultimo scade proprio questo mese. Lavorando ho anche capito quanto è importante imparare bene l’italiano, perché se lo avessi saputo un po’ meglio la ditta dove lavoro mi voleva dare mansioni diverse e avrei migliorato la mia posizione. Prima non mi sembrava così importante, adesso vorrei riprendere a studiare. Mi aspettavo a breve un contratto a tempo indeterminato ma adesso, con questa situazione ho paura che non me lo rinnovino più. Al primo test ero negativo, ma non ci hanno mai separati tra di noi e all’ultimo tampone sono risultato anche io positivo insieme a tantissimi altri.

Chi ha il lavoro ha sempre accettato di fare il tampone senza creare problemi, mentre quelli che non lavorano pensano di non avere nessun motivo per farlo. Mi sento sempre più a disagio a stare qua dentro. Se chiediamo informazioni agli operatori non ce ne danno, ci dicono solo di aspettare, non sappiamo cosa succederà e quanto potrà durare questa situazione, non ci sono nemmeno mascherine a sufficienza. La paura di perdere il lavoro, l’attesa per l’esito della mia richiesta di asilo e questa incertezza generale mi rende molto ansioso”.


 

 


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Ingrid Feltrin Jefwa

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