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25 aprile 2024

Nord-Est

14mila profughi fantasma. In Veneto

I migranti scappano, l'Italia chiude gli occhi. Zaia rilancia: "Aitiamoli a casa loro"

| Stefania De Bastiani |

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| Stefania De Bastiani |

14mila profughi fantasma. In Veneto

VENEZIA - “A chi vi dice di aiutarli a casa loro, dategli un calcio in culo”. Torna utile il consiglio che Marco Travaglio, direttore del Fatto Quotidiano, ha dato alla platea del teatro Da Ponte di Vittorio Veneto sabato scorso.

Oggi, a meritarsi il trattamento, è Luca Zaia, presidente della Regione Veneto che, fornendo dati su arrivi e scomparse dei migranti, propone proprio questa “soluzione”: ”L’unica vera risposta umanitaria da dare – riferisce Zaia - è il blocco dei traffici di carne umana che produce un business miliardario e planetario; la creazione di centri di accoglienza sulle coste del Nordafrica dove curare i bisognosi, identificare tutti e respingere chi non è un vero profugo; la conseguente attivazione di corridoi umanitari che portino in salvo chi fugge davvero da fame, guerre e persecuzioni etniche o politiche; l’utilizzo dei miliardi di euro che ora si buttano in un’accoglienza che non è tale per creare le occasioni di sviluppo, case, scuole, ospedali, lavoro, nei Paesi da cui i flussi originano”.

 

Insomma, secondo Luca Zaia, dopo centinaia di anni di sfruttamento, colonizzazione, violenza, guerre asimmetriche e risucchio delle risorse, potremmo costruire qualche casa, qualche scuola, creare lavoro e impedire, così, che quei flussi ad oggi inarrestabili si arrestino.

Il governatore del Veneto si dice preoccupato del sistema con cui l’Italia (non) sta gestendo l’immigrazione. E, in effetti, chi non è preoccupato? Se la Germania - per fare un esempio- ha accolto nell’ultimo anno e mezzo un milione e mezzo di profughi (10 volti di quanti ne sbarcano ogni anno in Italia) e stanziato miliardi per formarli e integrarli, facendoli diventare una risorsa, l’Italia spende miliardi per identificarli e farli bighellonare. O - meglio ancora - non identificarli e farli fuggire (facendo finta di non vedere).

 

I numeri su chi arriva, chi resta, chi scappa e chi - che resti o scappi - sparisce ce li fornisce per il Veneto il governatore Zaia: “Secondo i dati in nostro possesso - riporta il presidente in un comunicato - gli immigrati arrivati in Veneto a tutto il 23 giugno scorso sono stati 23.422, quelli presenti nelle strutture temporanee 9.386. Il 59,92% di queste persone, cioè 14.036, sono di fatto fantasmi: nessuno si sa chi siano, dove siano, cosa facciano”.

“Chiamare questa situazione emergenza è poco – incalza Zaia, riferendosi a una situazione che dura da anni, che per anni durerà, e che di emergenziale non ha proprio nulla – perché siamo di fronte a un fenomeno che l’inerzia europea e italiana non sono capaci né di disciplinare, né di arginare”.

 

Zaia, dando i numeri e proponendo non-soluzioni non spiega perché i profughi non si fanno identificare. Alla base di un sistema che vede, da una parte, i migranti restii a rilasciare le impronte digitale e, dall’altra, i controllori che chiudono volutamente gli occhi di fronte a (semplici) fughe di massa c’è il trattato di Dublino. Quello che impone all’immigrato di fare domanda di asilo nel primo paese in cui sbarca. Quello che lo inchioda dove non vuole stare: in Italia. Lontano, magari, da altri familiari che hanno già raggiunto l’Austria, o la Germania.

E se per i migranti che vogliono andare altrove eludere il sistema è vantaggioso, non idenftificarli e far finta di non vedere è un modus operandi molto in auge in Italia, paese che non riesce a gestire il fenomeno e che per aver chiuso troppo gli occhi e essersi platealmente girata dall’altra parte è anche stata ripresa dalla Commissione europea.

 

Zaia non pensa che sarebbe opportuni cambiare il regolamento di Dublino, o mettere le mani su una legge che regola l’immigrazione trattando chi viene in Italia perché  ha fame come un delinquente (la Bossi-Fini). No: il governatore del Veneto si ostina a proporre di "aiutarli a casa loro" e a voler suddividere i profughi dai non-profughi.

Additando come un male da respingere il cosiddetto "migrante economico": qualcuno, cioè, che attraverserebbe l’Africa, il Mediterraneo, deserti e mari su mezzi di fortuna, che investirebbe ohnisuo bene in un viaggio in cui potrebbe trovare la morte e metterebbe la propria vita in mano ai trafficanti, facendosi spesso incarcerare, torturate, sfruttare non perché, questa, è l’unica possibilità che ha di vivere degnamente ma così, per sport.

Per rompere la palle a noi.

 



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Stefania De Bastiani

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