04 ottobre 2024
Categoria: Persone - Tags: autoinganni, credenze, realtà, psicologia, psicoterapia, terapia strategica
Vittoria Canuto | commenti |
Nessuno di noi gira per strada chiedendosi se ciò che vede esiste veramente. Infatti, che una realtà oggettiva, uguale per tutti, sussista indipendentemente dall’osservatore, lo si ritiene un dato assodato, talmente scontato da non essere neppure preso in considerazione. Eppure, gli scienziati di oggi confermano quello che sostenevano i grandi pensatori di ieri ovvero che, per dirla con le parole di H. von Foerster, “la realtà non è che la costruzione di coloro che credono di averla scoperta e analizzata. Ciò che viene ipoteticamente scoperto è un’invenzione, il cui inventore è inconsapevole del proprio inventare e considera la realtà come qualcosa che esiste indipendentemente da sé”.
Detto in altre parole, non esiste una realtà unica e inequivocabilmente uguale per tutti ma esistono tante realtà quanti sono i punti di osservazione.
Al di là di Ghor, si estendeva una città i cui abitanti erano tutti ciechi. Un giorno, arrivò da quelle parti un re con il suo esercito e un possente elefante. Il popolo, non sapendo come fosse fatto un elefante, mandò alcuni suoi abitanti a scoprirlo. Non conoscendo ne la forma ne i contorni dell'elefante, cominciarono a tastarlo alla cieca e a raccogliere informazioni toccando alcune sue parti. Alla fine, ognuno di loro credette di sapere com’era fatto un elefante per averne toccato una parte.
Quando tornarono dai loro concittadini, furono presto circondati da gruppi così ansiosi di conoscere la verità che iniziarono a porre loro domande sulla forma e l'apparenza dell'elefante. Colui che ne aveva toccato l'orecchio rispose: "L’elefante è un animale grande, ruvido e largo. Assomiglia a un tappeto". Colui che ne aveva toccato la proboscide disse: "So io di che si tratta: somiglia a un tubo dritto e vuoto". “Non è vero” esclamò colui che ne aveva toccato una zampa. "È possente e stabile come un pilastro".
Ognuno di loro aveva toccato una delle tante parti dell'elefante. Ognuno di loro, dello stesso animale, aveva una percezione completamente differente.
Questo racconto sufi, esemplifica molto bene come la percezione non sia altro che un’interpretazione dovuta a una complessa interazione tra sensi, mente ed esperienze (ovvero la relazione con gli altri, con sé stessi e con il mondo), un prodotto dell’elaborazione cognitiva che si serve di meccanismi complessi come quello della selezione, della categorizzazione e dell’attribuzione di significato. Con ogni probabilità, una popolazione cieca appartenente ad un’altra estrazione culturale o vissuta in un contesto storico differente avrebbe avuto una percezione diversa dell’animale e lo avrebbe paragonato a qualcosa a loro conosciuto.
La realtà percepita quindi, è un prodotto del legame imprescindibile tra osservatore e osservato e in quanto tale, è continuamente alterata sulla base di quelli che possiamo definire “autoinganni”.
Che cos’è l’autoinganno?
L’autoinganno è una sorta di imbroglio, di trappola involontaria che la mente ci tende per trarne dei vantaggi. “L’amore è il più sublime degli autoinganni”, scriveva Marcel Proust. Durante l’innamoramento, la persona amata viene trasfigurata, idealizzata e ciò che l’innamorato vede nell’amato non è ciò che c’è, ma quello che ha bisogno di vedere. Passiamo continuamente da un autoinganno all’altro senza accorgercene tanto che, per usare le parole di Paul Watzlawick “non c’è alcuna illusione perché c’è solo illusione”. Tutti noi infatti, cerchiamo di vedere nella realtà quello che conferma le nostre idee, le nostre sensazioni, le nostre opinioni con l’inconsapevole obiettivo di trovare dimostrazioni, stabilità e sicurezza. Il cambiamento infatti spaventa, destabilizza, turba. Per questo siamo disposti a tutto e, parafrasando Nietzsche, preferiamo addirittura una spiegazione falsa piuttosto che nessuna spiegazione.
Nessuno può fare a meno di autoingannarsi poiché l’autoinganno è una dotazione naturale, utile a proteggerci dalle cose che non vanno bene o che potrebbero farci del male, del tutto assimilabile a un meccanismo di difesa. Così, si può essere ciechi di fronte al tradimento del partner che è sotto gli occhi di tutti. O ancora, di fronte alla cancellazione improvvisa di un proprio post scritto su un blog altrui, si può pensare ad un errore, a un’ingiustizia, o a un gesto fatto appositamente per squalificare e ferire. Gli eventi che si susseguono in una giornata si possono percepire piacevolmente, ma se ci si è alzati con la luna storta, tutto sembra remare contro. Viceversa, svegliarsi riposati e in pace col mondo, può far percepire come più gestibili situazioni complicate.
Il grande Paul Watzlawick divideva la realtà in due ordini ben distintiti: quella di primo ordine, inerente le proprietà fisiche degli oggetti e delle situazioni, e quella di secondo ordine riferendosi al significato loro attribuito. Per esempio, le strisce pedonali sono percepite allo stesso modo sia da un uomo che da un bambino ma il significato attribuito può essere completamente differente. Questo è un aspetto molto importante da tenere in considerazione in quanto la maggior parte dei problemi della vita quotidiana, come vedremo in seguito, deriva proprio dagli autoinganni correlati alla realtà di secondo ordine, quella relativa ai significati, alle attribuzioni di senso e alle spiegazioni che ognuno di noi da alle cose e alle situazioni.
Gli autoinganni, quello che ci raccontiamo su com’è la realtà, su cos’è vero e su cosa non lo è, sono sempre funzionali?
Purtroppo no. Quando diventano altamente strutturati e rigidi dando origine a una ferrea credenza, possono impedire di cambiare punto di vista, ostacolando il processo di cambiamento.
Immaginate che un signore entri in una sala d’ aspetto disinvolto e sorridente. Appena apre la porta d’ingresso, le persone già sedute alzano lo sguardo e salutano cortesemente. Il signore, sentendosi accolto con tanta gentilezza può iniziare a pensare di essere un tipo piacente e ricambia il saluto con un gran sorriso e cortesia. Immaginate ora che quello stesso signore entri con fare sostenuto, sguardo diffidente rivolto verso il basso e volto teso. Gli altri, percependo la sua indisponibilità al contatto, gli lanciano sguardi furtivi evitando di salutarlo. L’uomo inizia a pensare che le persone ce l’abbiano con lui e convinto di questo inizia a comportarsi di conseguenza. Si siede lontano dagli altri e si chiude nella lettura di un giornale senza più alzare la testa mentre gli altri astanti, durante la lunga attesa del medico, iniziano a scambiarsi qualche parola.
Questo esempio mette in luce uno dei meccanismi in cui, a partire da un autoinganno “le persone mi guardano male” si costruisce una credenza “gli altri ce l’hanno con me”. Nell’esempio appena fatto, la credenza si struttura a partire dalla ripetizione di alcuni comportamenti, magari dovuti a timidezza o a un carattere particolarmente introverso. Altro esempio è dato dall’indottrinamento che avviene nelle sette religiose dove, il ripetersi di specifici rituali porta i nuovi adepti a confermare sempre più la credenza fino a renderla indiscutibile.
Un altro strada che porta a strutturare credenze forti, è auto-ingannarsi su qualcosa che si ritiene vero e comportarsi di conseguenza, ovvero costruire una realtà sulla base delle proprie sensazioni. All’origine dei disturbi ossessivi-compulsivi, vi è proprio questo meccanismo. Se temo che l’esame non mi vada bene, inizio a fare il rito della preghiera mattutina. Vedendo che quando prego le prove vanno alla grande, strutturo la credenza che pregare mi consente di eccellere agli esami. E non posso più fare a meno di pregare per paura di essere bocciata.
Perché è tanto importante comprendere che la realtà è una nostra costruzione fatta di autoinganni e credenze? Perché, se ci prendiamo la responsabilità di essere gli artefici della costruzione dei nostri punti di vista, allora, abbiamo anche la capacità di cambiare le cose quando la realtà che ci siamo costruiti si dimostra non essere più funzionale al nostro benessere. Credere che la persona amata si separerà presto dalla sposa per stare con noi può essere un autoinganno funzionale fino a un certo punto. Dopo un anno di sofferenza e attesa, comprendere che tale convinzione ce la siamo costruita noi può essere utile per iniziare a navigare in acque più tranquille. Essere certi che il capo ci affida gli incarichi più gravosi perché rispetto ai collaboratori abbiamo capacità più adeguate per portarle a termine, può essere funzionale alla propria gratificazione personale e autostima. Quando però il sovraccarico di compiti e responsabilità impedisce di vivere la propria vita al di fuori del lavoro, è il caso di mettere in dubbio le proprie convinzioni e chiedersi se l’atteggiamento del capo non sia un modo per approfittarsi della nostra disponibilità.
Di esempi potrebbero essercene a centinaia, reperibili sia nella vita quotidiana che nella sfera patologica. E se in alcuni casi mettere in dubbio le nostre certezze fino a cambiarle con punti di vista alternativi e più funzionali può essere relativamente semplice, in altre situazioni, incrinare il nostro sistema percettivo reattivo, ovvero la modalità ridondante con cui ognuno di noi percepisce la realtà e di conseguenza vi reagisce, può essere molto difficile. I nostri autoinganni, infatti, danno man forte al nostro modo di filtrare la realtà alterando ciò che percepiamo per conformarlo al modo usuale in cui siamo abituati a percepire e a reagire a fatti e situazioni. Modi che si sono costruiti durante la crescita e che si sono consolidati in virtù delle esperienze vissute e per questo, difficili da modificare.
Uno dei compiti fondamentali del terapeuta strategico è quello di individuare il sistema percettivo reattivo del paziente e la credenza fortemente strutturata che gli impedisce di vedere la situazione problematica da un differente punto di vista. Una volta fatto ciò, vengono prescritte delle esperienze emozionali correttive, cioè, a seconda del problema presentato, al paziente viene chiesto di fare o di pensare a qualcosa che gli trasmetta sensazioni diverse rispetto a quelle vissute fino a quel momento nei confronti del problema. Nel tempo, queste esperienze inclinano la credenza fino a consentire il formarsi di nuovi autoinganni, più adatti a vivere una condizione di benessere, che consentono di guardare alla realtà da un nuovo e più funzionale punto di vista.
Autoinganno e credenze quindi, sono potentissimi strumenti in grado sia di crearci difficoltà e problemi, ma anche di fornirci soluzioni adatte e possibilità di cambiamento. L’importante è non dimenticare che “la realtà non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con quello che ci accade” (A.Huxley).
Vittoria Canuto
Vittoria Canuto.
Psicologo-Psicoterapeuta specializzata in Terapia Breve Strategica. Vive e svolge la libera professione di Psicoterapeuta a Mogliano Veneto, in provincia di Treviso. Oltre al lavoro, ha la passione del teatro e della scrittura creativa.
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