Caso Almasri: il giallo della scarcerazione che imbarazza l'Italia
Un ricercato per omicidi, torture, stupri anche verso bimbi di 5 anni rimesso in libertà nonostante il mandato della Corte Penale Internazionale. Perchè?

La vicenda della scarcerazione di Njeem Osama Almasri, comandante della polizia giudiziaria libica ricercato per crimini contro l’umanità, continua a sollevare interrogativi sulla correttezza delle procedure giudiziarie italiane e sulle relazioni con la Libia. L’uomo, arrestato il 19 gennaio a Torino su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI), è stato rilasciato il 21 gennaio e rimpatriato con un volo di Stato.
Il contesto dell’arresto "irrituale"
Il 18 gennaio 2025, la CPI ha emesso un mandato d’arresto internazionale per Almasri, accusato di torture, stupri (anche su minori) e omicidi commessi nella prigione di Mitiga a Tripoli. L’indomani, le autorità italiane hanno eseguito il fermo durante la partita Juventus-Milan. Tuttavia, la Corte d’Appello di Roma ha dichiarato l’arresto «irrituale» per mancata «interlocuzione preventiva tra il ministro della Giustizia e la procura generale».
La legge 237/2012 attribuisce infatti al ministro della Giustizia il compito esclusivo di gestire i rapporti con la CPI, richiedendo una stretta collaborazione tra esecutivo e autorità giudiziarie. Secondo i giudici romani, Nordio avrebbe dovuto autorizzare formalmente il proseguimento della detenzione dopo la segnalazione della procura, ma non ha risposto alle richieste.
Il silenzio di Nordio e il volo di Stato
Il ministro della Giustizia non ha mai chiarito le ragioni della sua inazione, nonostante la procura generale avesse evidenziato l’irregolarità procedurale il 20 gennaio. Intanto, il Ministero dell’Interno ha organizzato un volo speciale per rimpatriare Almasri, definito da Chiara Appendino (M5S) «un criminale protetto per convenienza politica».
Amnesty International ricorda che l’uomo faceva parte dell’Apparato di deterrenza libico, milizia nota per «terribili violazioni con totale impunità». La CPI ha smentito la versione del governo italiano, affermando che Roma era a conoscenza del mandato e aveva l’obbligo di cooperare.
Le reazioni della comunità internazionale
Con un comunicato del 22 gennaio, la Corte Penale Internazionale ha chiesto ufficialmente spiegazioni all’Italia, ribadendo che «tutti gli Stati membri devono cooperare pienamente». L’episodio rischia di minare la credibilità internazionale del paese, già sotto scrutinio per gli accordi con la Libia su immigrazione e sicurezza. «Si intersecano esigenze di realpolitik ed espedienti per salvare l’apparenza del diritto», commenta Lavinia Parsi di *Giustizia Insieme*, sottolineando come il rimpatrio possa legarsi a negoziati energetici o di contrasto all’immigrazione.
Lo scontro politico in Parlamento. Le opposizioni hanno chiesto un’audizione urgente della premier Giorgia Meloni e del ministro Nordio. «O è stato un errore gravissimo, o c’è volontà di proteggere criminali», ha dichiarato Appendino alla Camera. Intanto, il procuratore generale della CPI ha avviato una revisione formale delle procedure italiane, lasciando aperta la possibilità di sanzioni.
La palla passa ora al Parlamento, chiamato a fare luce su uno dei più controversi casi giudiziari degli ultimi anni.