30 novembre 2024
Da quando sono a Londra ho cercato di leggere libri in lingua inglese per fare quella che si definisce una full immersion e migliorare più in fretta le mie capacità linguistiche.
Mi sono iscritta alla fornitissima biblioteca pubblica e, per iniziare gradualmente, ho preso in prestito qualche libro per ragazzi e young adult (giovani adulti) sapendo che in questa categoria ci sono testi ben scritti e godibilissimi anche per noi grandi. Poi sono passata ad un paio di romanzi, fiction li chiamano qui, non troppo complessi. Quando ho terminato La ragazza con l’orecchino di perla di Tracy Chevalier potendo affermare, in modo convinto, di essermelo “gustato” oltre che di averlo capito, ho preso coraggio e sono passata alle cose impegnative.
Sapevo che i miei amici de La Cittadella dei Lettori, il gruppo di lettura che ha sede nella biblioteca comunale di Pieve di Soligo, si erano inoltrati alla scoperta di Alice Munro, ultimo premio Nobel per la letteratura, e per restare al passo ho iniziato un suo libro di racconti. Con fatica ho finito il primo servendomi ogni 3-4 parole dell’ottimo servizio di Google Traduttore. Ma è stato un esercizio faticoso che non lasciava niente al piacere della lettura.
E così ho capito che quando un libro è piacevole, non solo per la capacità della storia che racconta di prenderci e interessarci, ma anche e soprattutto per la bellezza delle parole, per la maestria di chi scrive di comporre le frasi facendo apparire paesaggi, pennellando volti e caratteri, portandoci dentro un’atmosfera o un sentimento, non puoi leggerlo con il dizionario di fianco ma devi, davvero, aver fatto “tua” quella lingua.
E ho realizzato, nello stesso momento, quanto siano bravi i traduttori, per lo più sconosciuti e mal pagati, che devono riuscire a ricreare le stesse sensazioni, la stessa magia riportandole da una lingua ad un’altra.
Ci si rende conto di quanto siano importanti le parole e della differenza tra padroneggiare un idioma e saperlo solo abbastanza bene anche quando si è in un paese non della propria lingua madre e ci si accorge di perdere per strada le sfumature, di non capire del tutto le battute, di non sapere far arrivare agli altri pienamente quello che si vorrebbe.
Auguro ai nostri ragazzi che si affacciano su un mondo globalizzato e in continua e veloce trasformazione di arrivare davvero a “possedere” le parole, prima quelle della propria lingua e poi anche in quella che è diventata ormai “obbligatoria”, l’inglese. Perché possano cogliere ed esprimere la bellezza.
Anuska Pol
Da Pieve di Soligo a London. Com'è la grande city dal punto di vista di una mamma quarantenne (quasi) e di un figlio pre-adolescente (del tutto)
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Michela Pierallini
28/05/2014 - 13:21
grazie
P.S. mi sono legittimata a darti del "tu" perchè mi è venuto spontaneo, nessuna intenzione di mancare di rispetto o educazione.
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Anuska Pol
28/05/2014 - 15:12
Grazie a te Michela. Nel
Il rispetto e l'educazione si dimostrano in altro modo.
A rileggerci.
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Michele Bastanzetti
28/05/2014 - 18:20
ESERCIZI DI STILE
ben lungi dal disconoscere la sublime proteiforme potenza del verbo (“In principio era il Verbo…” Giov. 1,18) purtuttavia non mi periterei chiosare, con sua indulgente licenza, che il mero possesso di una lingua non è certo unica e cogente condizione per “cogliere ed esprimere la bellezza”; né parimenti garantisce ipso facto, sic et simpliciter, il conseguimento di cotanta emozione.
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Anuska Pol
28/05/2014 - 20:04
????
magari fossi bilingue! Tra l'altro ho qualche difficoltà anche a comprendere la mia madre lingua se usata, in tal guisa, insieme al latino nei tuoi esercizi di stile.
Ma se ho capito bene, accetto la stoccata e concordo con la tua affermazione.
Bon, adesso depongo le armi.
Alla prossima
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francescocecchini
29/05/2014 - 20:29
Tradurre
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