Conegliano, Filippo e le sue creazioni uniche: “Non ho mai smesso di sognare”
Intervista a “Phil”, artista e creativo con un sogno nel cassetto
CONEGLIANO - Quella di Filippo Perin è una vita in bilico tra sogno e realtà, tra le esigenze materiali della vita e la grande passione che nutre per l’arte. Ha realizzato le sue prime opere a 17 anni, ma non è mai riuscito a trasformare il suo hobby in un lavoro. Tutta la sua storia si è svolta all’interno di abiti che gli vanno decisamente stretti: la scuola “sbagliata”, un lavoro molto lontano dalla sua sensibilità, alcuni episodi che hanno trasformato il suo sogno in una specie di miraggio lontano.
Eppure “Phil” non si è arreso. Oggi, nonostante i 40 anni compiuti, è tornato alla carica con delle creazioni completamente nuove, figlie del lockdown e di alcune profonde riflessioni sul senso dei rapporti umani. “Dopo la pandemia dovevo esprimermi in qualche modo – spiega il designer coneglianese -. Ho scelto il tema delle maschere perché le vedo continuamente quando lavoro come commerciale. Ho ricevuto molti feedback e la gente mi sta spingendo a continuare con questo trend”.
Come ti definiresti?
Sono un commerciale che ha sempre fatto il creativo.
Com’è iniziata la tua avventura nel mondo dell’arte?
Intorno ai 17 anni ho subito un brutto incidente e sono stato costretto a rimanere in ospedale per qualche mese. Ho iniziato realizzando dei paper toys, piccole sculture di carta (simili agli origami, ndr). Poi con il tempo sono riuscito ad accumulare un po’ di lavori e mi sono proposto sulla piazza, diciamo. Ho iniziato a collaborare con creativi e illustratori, mi sono avvicinato allo staff del Treviso Comic Book Festival. 10 anni fa ho anche fatto una mostra in un locale di Conegliano, un bellissimo evento.
Poi il tuo percorso si è un po’ fermato…
Purtroppo mio papà e mancato, ho dovuto cambiare lavoro per necessità e mi sono concentrato su quello.
La pandemia e il lockdown però ti hanno fatto scattare qualcosa dentro…
In quel periodo ho ricominciato a realizzare le mie opere. Ho scelto il motto “one of a kind”, che in italiano significa “unico nel suo genere”. Le mie opere sono infatti uniche, ogni maschera ha la sua anima. Anche i quadri e gli altri oggetti d’arte sono pezzi unici. Tutto ruota intorno ai concetti di personalità e di autenticità.
Vendi le tue opere?
Certo, ho ricevuto le prime richieste nel giro di qualche mese. Ora addirittura me le commissionano.
Chi compra le tue opere?
Soprattutto adulti appassionati di questo filone.
Come realizzi le tue maschere?
Sono tutte in carta riciclata o cartone. Ho iniziato con le scatole delle sneakers, perché in passato le collezionavo. In passato per i toys facevo anche degli schizzi, ora invece non li faccio più: inizio direttamente con la realizzazione della maschera.
Quanto tempo richiede?
Ci vogliono anche 15 giorni, perché il lavoro occupa praticamente tutta la mia giornata. Riesco a dedicare circa 2-3 ore al giorno all’arte. Se lavorassi senza interruzioni, mi basterebbero 3 o 4 giorni.
Ultimamente hai realizzato una specie di robot con le scatole delle scarpe…
L’ho costruito durante le ferie estive. Quell’opera ha richiesto circa 200 ore di lavoro.
Realizzi anche altre opere?
Sì, non riesco a rimanere fermo su un unico oggetto artistico. Faccio anche quadri che raffigurano totem astratti, figure ispirate alle sensazioni che provo in quel momento. Il mio medium preferito rimane comunque la carta. Hai abbandonato i paper toys? Sinceramente ero un po’ stufo di progettarli, hanno fatto il loro tempo. Tra l’altro sono opere fatte con la carta, durano poco e poi si sfaldano.
Che cosa rappresenta per te l’arte?
È una cosa che mi permette di essere trasparente. Io sono sempre stato un autodidatta su tutto: ci ho sempre provato e ci ho sbattuto il naso. Ora sono a cavallo tra il mondo della vendita e quello dell’arte, due mondi che secondo me stanno agli antipodi. Vorrei non essere un numero all’interno di un sistema, vorrei lasciare un’impronta con le mie opere.
È difficile sfondare in un territorio come il nostro?
Abbastanza, anche se ci sono delle associazioni che si impegnano. Le aziende, però, dovrebbero credere di più nell’arte. Vorrei trasformare questo hobby in un lavoro, e sarebbe molto più semplice se il territorio fosse un po’ più aperto.
Hai le idee chiare anche sugli elementi che definiscono un artista…
È tutto molto semplice: se sei un’artista, devi sporcarti le mani. Ormai tutto viaggia nell’etere, ma per fare l’artista devi essere in grado di realizzare le tue opere con le tue stesse mani. Non vale farsi “aiutare” dalla tecnologia e da tutto il resto.
Progetti per il futuro?
Ora voglio realizzare un’opera al neon. E poi voglio allargare i miei orizzonti: sto cercando di capire come “arrivare” all’estero. Qui non abbiamo un grande bacino, mentre in Europa e negli Stati Uniti queste cose sono molto più apprezzate.