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28 marzo 2024

Treviso

Il Covid non ferma la renga

Le tradizioni gastronomiche più forti della pandemia: non c'è scusa (o divieto) che tenga quando è ora della renga

| Emanuela Da Ros |

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| Emanuela Da Ros |

renga

VITTORIO VENETO - Che vi piaccia o no (a me non particolarmente, anzi per niente...a meno che non la prepari la Sandra), la renga è una delle pietanze a cui la nostra storia culinaria è più affezionata. D’altra parte ce la mangiamo più o meno da oltre cinque secoli e quindi - come direbbe l’amico Armando Zanotto - è finita nelle nostre papille gustative attraverso chissà quante generazioni. E allora? Allora è (quasi) giunta l’ora di assaggiare, degustare, approntare la renga. Non facile da preparare, nonostante sia un “piatto povero”, tradizione vuole che la renga si mangi soprattutto al ristorante. E qui arriva il problema (risolvibile, sia chiaro).

 

La pandemia, tra le molte categorie, ha penalizzato soprattutto la ristorazione. I ristoranti sono dovuti rimanere chiusi alla sera per moltissimi mesi e nelle scorse settimane i menù da asporto sono stati l’unica alternativa possibile ai classici pranzi o cene “fuori”. Ma i ristoratori in qualche modo hanno “tenuto botta”, cercando il modo per venire incontro alle esigenze dei clienti nel rispetto dei divietissimi che hanno congelato o modificato tante piacevoli abitudini. Anche nel caso della renga, i ristoranti, le trattorie, i locali che tradizionalmente la preparavano hanno detto sì. Sì a una tradizione che fino a qualche anno fa vedeva addirittura qualche fabbrica chiudere all’ora di pranzo per dare la possibilità a operai e impiegati di “far al giro dea renga”, di recarsi in questa o quella osteria per degustarla al posto dei consueti ciccheti.

 

Come ogni tradizione che si rispetti - la righèa, la pinza…- anche il pranzo o la cena a base di renga ha però conosciuto alti e bassi. A un certo punto - anni Settanta? - nessuno la voleva più. Nessuno la (ri)conosceva o se la ricordava. E il Quindicinale ha fatto la sua parte: l’ha rivitalizzata, coinvolgendo le osterie e ristoranti dell’Alta Marca, anche grazie a uno storico - Ido Da Ros - e a uno chef - Omar Lapecia Bis - che anche ora prepara la renga in un caleidoscopio di modi diversi (non mi stupirei se la facesse alla giapponese: una specie di sushi trevisàn). Ma quand’è - lo ricordo ai pochi digiunissimi di questo piatto - che si consuma la renga? Il primo giorno di Quaresima. Dopo le frittellose libagioni carnascialesche, la necessità di “mangiare di magro”, e in special modo pesce, ha stabilito che un’ottima pietanza “depurativa” potesse essere proprio l’aringa. “Un pesce - spiega Giampiero Rorato - che vive in branchi molto numerosi nelle acque fredde dei mari settentrionali, Atlantico settentrionale e Mare del Nord e conobbe grande fama venendo commercializzata dalla Lega Anseatica (le navi delle città di Amburgo, Brema e Lubecca) specialmente tra il Medioevo e il XVI secolo”.

 

Secondo Rorato, la renga (questo il nome dialettale dato all’aringa quando è affumicata e disseccata, dopo essere stata per qualche tempo in salamoia: da non confondere con quella senza uova e senza latte che viene conservata in barili sotto sale ed è chiamata scopetòn) era conosciuta nei territori della Serenissima Repubblica già nel XV secolo - prima cioè dello stoccafisso - dato che in un documento storico viene riferito come a Concordia, Motta e Serravalle nel 1499 la fermata dei Turchi venne festeggiata proprio dando fondo alle scorte di aringa. La “festa dea renga” si perde - e si riacciuffa grazie alla memoria e alla tradizione! - tra Medioevo e Rinascimento, e segna quindi simbolicamente una vittoria contro il nemico, contro l’invasore.

 

Anche oggi abbiamo un nemico invadente da sconfiggere, e anche se la cosa non è fatta scientificamente dimostrata, è possibile che la renga possa contribuire a dare a tutti quella speranza e serenità che ci sono tanto mancate. Alcuni locali intanto hanno voluto mantenere viva la tradizione offrendo ai clienti la possibilità di ritirare un piatto che appartiene alla nostra storia. Non deludere la tradizione è anche un modo per sostenere un settore in pesante crisi come quello della ristorazione.

 

Segnaliamo alcuni ristoranti:

Trattoria da Sabrina 0438 486235

Bar Lux 0438 551812

Bar Monaco '72 0438 561366

Trattoria da Mareva 340 6052621 0438 550640

Hotel Flora 0438 53625 0438 53142

Trattoria alla Cerva 0438 1849259

Osteria La Giraffa 0438 550269

Trattoria al Larin 0438 561102 340 2242125

Ristorante al Sole 0438 53473

Raviolo d'oro 0438 501239

Ristorante Le Macine 0438 940291

 

Pubbliredazionale

 


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Emanuela Da Ros

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