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28 marzo 2024

Castelfranco

Dalla Danimarca Baldin sulla fuga dei cervelli: “L’Italia pagherà un caro prezzo”

Baldin è stato premiato da Mattarella per le sue ricerche accademiche

| Ingrid Feltrin Jefwa |

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| Ingrid Feltrin Jefwa |

Dalla Danimarca Baldin sulla fuga dei cervelli: “L’Italia pagherà un caro prezzo”

ALTIVOLE - Nei giorni scorsi vi abbiamo dato la notizia che il giovane accademico trevigiano, Andrea Baldin, è stato premiato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per le sue ricerche. Originario di Altivole da qualche anno lavora in Danimarca come assistente professore di Economia della cultura alla Business School di Copenaghen e OggiTreviso l’ha intervistato per conoscere meglio questo personaggio che ha saputo mettersi in luce per i suoi studi e che certo farà ancora parlare di sé, viste le lusinghiere premesse. Il Capo dello Stato è giunto in Danimarca per una visita ufficiale e la cerimonia di premiazione si è tenuta al “Det Italienske Kulturinstitut i København”, l’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen.

Il tuo status è quello di un “cervello in fuga” ma secondo te perché l’Italia si sta facendo scappare tanti giovani di valore che potrebbero dare un contributo concreto al futuro del paese?

“Premetto che secondo me un'esperienza di lavoro all'estero è, al giorno d'oggi, una tappa fondamentale e per certi versi necessaria nella formazione di un ricercatore. Il punto è che questo dovrebbe rappresentare una scelta personale e non, come spesso appare, un obbligo derivante dall'assenza di opportunità in Italia. L'Università italiana offre una formazione eccellente, di questo ne sono testimone all'Università Ca' Foscari di Venezia, ma rischia di disperdere questo patrimonio formativo a favore di altre nazioni che investono di più sulla ricerca. Il problema principale è proprio la mancanza di investimenti in ricerca: l'Italia investe solo l'1.3% del PIL, la media europea è del 2%, in Danimarca, dove vivo, è addirittura del 3%. Sul perché l'investimento sia così basso, da un lato pesa sicuramente il nostro debito pubblico e la spesa per gli interessi sul debito. Dall'altro lato la mia opinione è che sono investimenti che danno poca visibilità e dunque non sono "popolari". Viviamo in un periodo dove la politica sembra più attenta ai sondaggi e ad acquisire un consenso immediato, portando ad un'assenza di una visione a lungo termine. L'investimento in ricerca, invece, non dà risultati immediati ma porta grandi benefici allo sviluppo economico nel lungo periodo. Dovesse continuare questa mancanza di visione a lungo termine, il nostro Paese pagherà un caro prezzo in termini di competitività rispetto agli altri paesi. Poi c'è da considerare un altro problema generale che riguarda non solo il mio ambito professionale: la precarietà del lavoro. Basti pensare che in Italia il 56% dei ricercatori e docenti universitari sono precari, e questo riguarda specialmente la mia generazione. Comprensibilmente questo porta molti giovani ricercatori a cercare un futuro fuori dal nostro Paese”.

Come è stato incontrare il presidente e soprattutto che sensazione ti ha dato essere premiato da Mattarella pur se è stata la Danimarca a darti una meritata opportunità di mettere a frutto i tuoi studi?

“Incontrare il Presidente Mattarella è sicuramente stata una grande emozione e un grande onore. Considero il Presidente un punto di riferimento ed un garante della nostra Costituzione, dimostrando in questi anni autorevolezza sia istituzionale che morale. Spero che da questo incontro sia emersa la consapevolezza che io e i miei colleghi italiani all'estero vogliamo e soprattutto possiamo mettere a frutto la nostra esperienza all'estero nel nostro Paese. E questo vale anche pensando, ad esempio, alla nuova efficientissima metropolitana inaugurata a Copenaghen la settimana scorsa, visitata dal Presidente, che è stata realizzata da un'impresa italiana”.

L’Italia ha il patrimonio artistico più importante del mondo (così si dice…) ma perché a tuo avviso l’italiano medio (ma anche chi amministra la cosa pubblica) non sa dare rilevanza a questo tesoro che in altre nazioni sarebbe considerato con maggiori riguardi?

“Sì, è vero, l'Italia è il Paese al mondo con il maggior numero di siti culturali inclusi nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Proprio per questo la classe politica dovrebbe considerare la cultura come una priorità e non relegarla come un settore marginale dell'azione politica. Diversi studi hanno mostrato come il settore culturale ha un'incidenza significativa sull'economia: per fare un esempio che riguarda la realtà veneta, ovvero il Teatro La Fenice di Venezia, uno studio ha mostrato come ogni euro di contributo pubblico generi 2,9€ di ricchezza per la città. Il potenziale della cultura è enorme, ma ci vogliono adeguati investimenti. Ma anche in questo caso, gli investimenti in cultura dell'Italia come percentuale del PIL è tra i più bassi in Europa. È come se l'Italia si limitasse passivamente ad ospitare tutto questo patrimonio culturale, non tutelandolo e valorizzandolo a dovere. Fortunatamente ci sono anche esempi positivi dove si scommette su istituzioni faro di cultura, come mi viene in mentre il Teatro Comunale di Treviso che è entrato a far parte dello Stabile del Veneto riscattandolo da una potenziale chiusura. Un altro errore che si compie, secondo me, è che la cultura viene considerata solo in funzione del turismo, che è sì importante ma non deve limitarsi a questo. Non vanno sottovalutate invece tutte le esternalità immateriali che la cultura produce in termini di qualità di vita delle persone, benessere, coesione sociale, educazione, sviluppo dell'identità locale/nazionale (tra l'altro questo è il tema della ricerca che sto affrontando ora in Danimarca, ovvero l'impatto della cultura nella società in un'ottica welfare). E questo è strettamente legato all'educazione: molti studi hanno dimostrato come l'interesse per la cultura sia strettamente legato all'educazione che si ha ricevuto da piccoli. Spiace constatare come, anche per quanto riguarda la spesa in educazione, l'Italia sia tra i fanalini di coda; oltre al fatto che la storia dell'arte e la storia della musica, come materie di studio nelle scuole, siano sempre più sottovalutate e marginalizzate”.
 

 



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Ingrid Feltrin Jefwa

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