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19 aprile 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

FACCIO IL MEDICO. IN AFGHANISTAN

Salvatore Cauchi volontario. Tra bisturi e prima linea

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PIEVE DI SOLIGO - Salvatore Cauchi (in foto), medico e assessore allo sport e associazionismo del Comune di Pieve di Soligo, è partito per l’Afghanistan. Ci voleva andare da sempre. Non da turista, ma da medico, per dare una mano alla popolazione civile, martoriata da 11 anni di guerra.

C’è bisogno di qualcuno con il suo curriculum: siciliano di Gela, diploma di liceo scientifico e laurea in otorinolaringoiatria. Da 25 anni vive a Farra di Soligo, fino a poco tempo fa era medico di base a Barbisano. Rivedrà i due figli il 30 settembre. La sua famiglia, peraltro, dev’esserci abituata: anni fa, andò in Kosovo a portare assistenza ai bambini dell’ex Jugoslavia. Oggi, 40 di loro sono ricoverati in cliniche specializzate italiane, e godranno di cure di cui non avrebbero beneficiato nel loro Paese. La speranza è di riuscire a fare lo stesso con i bambini afghani. Cauchi sarà a Kabul, la grande capitale, e ad Herat, vicino all’Iran. Incontrerà le truppe di soldati italiani.

Cauchi si sente uno di loro, e di fatto, lo è, dopo il periodo di addestramento col IX Reggimento Alpini della brigata Taurinense dell’Aquila. Comunica con la famiglia tramite Skype. E con lo stesso mezzo ci ha fatto conoscere le sue prime impressioni su questa avventura: «Sono all'inizio di un’esperienza fuori dal comune, in tutti i sensi. Sto operando in una base in pieno deserto afgano, c’è molto lavoro sia con i militari della base che con i civili, che presentano patologie che da noi sono scomparse da decenni. Si lavora 24 ore al giorno; e nonostante le varie difficoltà della lingua e le differenze culturali, cerchiamo di dare sollievo e un po' di conforto a questa gente martoriata da decenni di guerra».

Già, perché per molti afghani la guerra non è iniziata con la Nato nel 2001. Prima c’è la sanguinosa guerra civile del 1996. E i trentenni hanno vissuto anche l’invasione sovietica del 1978. Eppure Salvatore Cauchi aveva sempre confidato di voler visitare Kabul, la città di cui «Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti / né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri».

 


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