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29 marzo 2024

Vittorio Veneto

Ha lavorato per Versace, Burberry, Valentino: Massimo Casagrande di Vittorio Veneto stilista di fama internazionale

“Che mi trovi a Dubai o a Parigi, ci tengo a dire da dove vengo"

| Stefania De Bastiani |

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| Stefania De Bastiani |

Massimo Casagrande

VITTORIO VENETO - “Che mi trovi a Dubai, a Parigi, a Londra o a Santo Domingo, ci tengo a dire da dove vengo. Sono nato a Vittorio Veneto, ne vado fiero, e almeno una volta l’anno torno a trovare i miei parenti, che abitano a San Giacomo di Veglia”. Massimo Casagrande è uno stilista di fama internazionale e, appena tornato da Santo Domingo e dal Messico, da Parigi, dove ora vive, ci racconta cosa ha fatto dopo aver lasciato Vittorio Veneto. “Con la famiglia ci siamo trasferiti in Sudafrica, a Johannesburg, quando ero ancora un bambino - racconta Massimo -. Ho frequentato le scuole lì e mi sono appassionato subito alla moda, optando per uno specifico percorso di studi. Che mi ha riportato ovviamente in Italia, a Milano. Qui ho studiato Fashion Design all’Istituto Marangoni, e dopo tre mesi di apprendistato con Valentino ho lavorato come stilista per Versace, disegnando le linee Versus Menswear, Versace Sport, e Versace Jeans. Avevo 25 anni e dopo questa esperienza, nel 2004, mi sono trasferito a Londra per aprire il primo campus internazionale di Istituto Marangoni, dove sono stato stato Senior tutor di Fashion Design e poi nominato Program Leader. Durante la mia permanenza a Londra ho collaborato a progetti con aziende come English National Ballet, Laura Biagiotti, WGSN, Erdem e Burberry”. Massimo ha fondato anche un suo marchio di abbigliamento: MCG Massimo Casagrande, nel 2012. Da allora la sua carriera ha spiccato il volo.

 

“Dopo 14 anni a Londra, mi sono trasferito a Miami per aprire il primo campus Istituto Marangoni negli Stati Uniti. Ho aiutato a mettere in piedi la scuola, e da un anno vivo a Parigi, dove abbiamo un’altra sede dell'istituto”, racconta. Oltre ad occuparsi di formazione, Massimo è protagonista nell’informazione. “Mi mandano in giro per il mondo a tenere conferenze sulla sostenibilità nel campo della moda. Il nostro è il secondo settore più inquinante al mondo, e noi dobbiamo sentirci responsabili. A scuola come prima cosa facciamo capire agli studenti l’importanza di pensare subito alla sostenibilità del capo, alla seconda, terza, quarta vita che può avere, l’obbiettivo è creare designer e imprenditori responsabili. Nel mondo mandiamo avanti una campagna per spiegare come sta cambiando il settore del lusso”.

E come sta cambiando? “Intanto non si utilizzano più pelli e pellicce. Ci sono alterative ai pellami che provengono da scarti vegetali riciclati. Nessun grande marchio della moda utilizza più pelli animali. Ermes lancerà presto una nuova borsa con pelle che deriva dai funghi. Si utilizza ormai di tutto: Desserto è un’azienda messicana che crea pellami dal cactus e aloe; Vegea crea dei pellami a base vegetale, ricavata dal trattamento delle fibre e degli oli della vinaccia; Orange Fibre, altro esempio, crea delle fibre tessili artificiali di origine naturale, la prima al mondo ad essere estratta da scarti della produzione degli agrumi”.

La “nuova moda” è animalista, ma anche ambientalista. “Sui nostri capi c’è un codice QR - spiega Casagrande - che permette di vedere lo storico del prodotto: dove è nato, quale filato è stato utilizzato, dove e come è stato raccolto”. E umana. “Si può vedere dove è stato confezionato il capo, da chi, in che contesto hanno lavorato gli operai, se sono stati pagati”. “Bisogna ridurre inoltre al minimo gli sprechi - continua Casagrande -. Siamo la prima azienda di moda al mondo che ha uno spazio nel metaverso, dove poter entrare, creare prototipi e trasmettere un cartamodello sul computer: è tutto digitale, e gli studenti possono vedere l’abito finito senza doverlo creare con tessuti che altrimenti andrebbero sprecati. Di recente abbiamo fatto una sfilata a Dubai, c’erano modelle vere e modelle avatar che sfilavano nel metaverso. Il digitale nella moda sta aiutando molto anche in questo senso: a non sprecare”.

E il consumatore, che può fare per non inquinare? “Ci sono catene di abbigliamento low cost che propongono magliette a 5 euro, ma come può un capo costare così poco? Qual è stata la filiera del prodotto? Non dico che non bisogna acquistare, ma bisognerebbe comprare meno. Invece di cinque maglie, magari ne basta una, un po’ migliore. La responsabilità nostra è anche educare il consumatore a comprare meglio. E c’è ancora tanta strada da fare”.

Nelle foto: Massimo Casagrande

 


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Stefania De Bastiani

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