L’Italia ha un inno. Dopo 71 anni di precariato
| Emanuela Da Ros |
Fratelli d’Italia siam pronti alla morte. Dopo 71 anni di ‘provvisorietà’ l’inno di Goffredo Mameli (che ne scrisse il testo) e di Michele Novaro (che lo musicò) diventa definitivo. Il canto ‘Fratelli d’Italia’ - che ricordiamo soprattutto (o soltanto) quando la Nazionale gioca a calcio - ora rappresenta la nazione. La commissione Affari Istituzionali del Senato ha approvato il provvedimento che lo istituzionalizza.
E la delibera mette fine al precariato canoro. E alle polemiche: qualche tempo fa infatti la Lega (Nord) aveva mugugnato contro l’inno di Mameli. Aveva detto che era preferibile adottare il ‘Va pensiero’ del Nabucco di Verdi come inno nazionale. Poi si è defilata. Perché i deputati e i senatori leghisti non erano presenti né alla Camera, né al Senato al momento della votazione.
Comunque sia, ora Fratelli d’Italia è il nostro inno. E - in teoria (nel 2012 sembrava che dovesse essere insegnato nelle scuole) - dovremmo conoscerne a memoria tutte le sei strofe. Quelle che il ventenne Goffredo Mameli (repubblicano e giacobino) scrisse di getto a Genova e che inviò al coetaneo Michele Novaro (che si trovava a Torino) nel 1847 precisando di aver trovato ‘Il canto degli Italiani’, una canzone patriottica che richiamava un po’ la Marsigliese.
Mameli morì l’anno seguente per una ferita infettata, in povertà. Come Novaro. Erano due ragazzi mossi da un ideale di fratellanza, libertà, eguaglianza quelli che hanno scritto il nostro inno. Su cui - vista la definitività - è inutile farci le pulci. Anche se quel ‘stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte’, suona strano; anche se quel ‘noi siamo da secoli/ calpesti (e non capestati) suona monco; anche se la parola ‘speme’ non verrà compresa dai post Millennials; anche se i ragazzi si chiederanno chi sia quel Ferruccio, di cui ogni uomo ‘ha il cuore’; anche se il fatto che ‘i bimbi d’Italia si chiaman Balilla’ può sembrare un refuso.
Balilla o Barilla? Dall’Alpi alla Sicilia, le ‘penne’ citate nell’inno forse oggi richiamano un primo piatto, piuttosto che un afrore risorgimentale.