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11 dicembre 2024

Lavoro

Opportunità o minaccia?

Il cliente deve conoscere le diverse opzioni per decidere liberamente

| Roberto Silvestrin |

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| Roberto Silvestrin |

Opportunità o minaccia?

La Corte di Cassazione, sezione terza civile, con ordinanza Numero 14387 del 2019 fa chiarezza nel rapporto consulenziale tra cliente e professionista. Ma perché è importante questa sentenza? Dipende da quale ottica si guarda. Quella del cliente è ovviamente diversa da quella del professionista ma, assieme possono essere utili ad entrami. Vediamo come si è arrivati alla sentenza. Il sig. S.M. si rivolge al commercialista dott. D.A. per avere un parere sulla maniera fiscalmente più conveniente per uscire da una società di cui era socio lavoratore.

 

Il consiglio del commercialista fu di recedere dalla società facendosi liquidare la quota, anziché cederla ad altri soci, e, che, così facendo, su un realizzo di 775 mila euro, avrebbe pagato tasse per circa 85 mila euro. Il sig. S.M. ha seguito il consiglio, recedendo dalla società, ma poco dopo la definizione dell'operazione ha appreso dal commercialista che l'imposizione fiscale avrebbe dovuto essere di 117 mila euro, e solo pochi mesi dopo ancora, ha ricevuto un accertamento da parte del Fisco che conteneva una pretesa tributaria di circa 191 mila euro. Così che, anziché la somma di 83 mila euro indicata dal commercialista inizialmente, il costo fiscale della operazione è stato per il ricorrente molto più alto. Il sig. S.M. ha convenuto in giudizio il professionista imputandogli di avergli dato un parere sbagliato sulla convenienza fiscale del recesso e dunque di avergli provocato un danno pari alla somma che ha dovuto versare al Fisco.

 

In primo grado la domanda, previo espletamento di una consulenza tecnica, è stata accolta, mentre il giudice di appello, in riforma della decisione di primo grado, ha ritenuto non ravvisabili estremi di responsabilità professionale nella condotta del commercialista. Contro la decisione del giudice di appello, il sig. S.M. ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte, in sintesi, dice che il commercialista, qualunque sia l'oggetto specifico della sua prestazione, ha l'obbligo di completa informazione del cliente, e dunque ha l'obbligo di prospettargli sia le soluzioni praticabili che, tra quelle dal cliente eventualmente desiderate, anche quelle non praticabili o non convenienti, così da porlo nelle condizioni di scegliere in base al suo migliore interesse.

 

Questa sentenza è importante perché, in un periodo come questo di covid-19, le aziende dovranno valutare se e come attingere a fonti di finanziamento garantiti o meno dallo stato, se chiedere o meno contributi a fondo perduto, se l’impresa è sostenibile nel tempo, se e come proseguire l’attività, insomma quanto già esposto in questo mio articolo. Per questo tipo di valutazioni, non tutte le aziende sono pronte o hanno al loro interno le competenze per farlo. La maggior parte delle micro e piccole aziende si rivolgeranno ai propri consulenti per essere informati sulle varie soluzioni possibili. Questo non è un lavoro da poco e, come visto nella sentenza della suprema Corte, i professionisti dovranno fare un lavoro accurato e preciso per informare il cliente e metterlo nelle condizioni di prendere una decisione liberamente secondo il suo interesse.

 

Anche il cliente, deve capire che questo lavoro di consulenza, elaborazione di dati e di informazioni, che il professionista deve fare per fornirgli le soluzioni praticabili o meno, o quelle desiderate, richiede tempo, competenze e quindi maggiori costi per lui. Spesso i rapporti tra il cliente e il professionista non sono chiari e vengono sottintesi o travisati da entrambe le parti. Il professionista dà per scontato che il cliente sappia che certe prestazioni non sono comprese nel rapporto continuo di routine quando, ad esempio, con commercialisti o consulenti del lavoro siamo in presenza di servizi consulenziali di carattere fiscale o del lavoro, collegati alla elaborazione della contabilità o dei cedolini paghe.

 

Il cliente invece, da spesso per scontato che certe prestazioni, come ad esempio quella consulenziale per avere simulazioni o informazioni e dati su possibili soluzioni, siano comprese nei servizi di routine. Per questo è indispensabile che entrambe le parti chiariscano bene i termini delle prestazioni comprese nei servizi di routine. Il cliente dovrà essere chiaro nei requisiti della prestazione professionale attesa, e il professionista nel definire i requisiti espliciti del cliente ed evidenziare anche quelli impliciti, non detti, che lui sa essere nelle aspettative del cliente. Se torniamo all’ottica iniziale, questa sentenza può essere vista dal professionista, non una minaccia ma una opportunità per migliorare e specializzare settorialmente il suo lavoro per metterlo a disposizione del cliente, affinché possa prendere decisioni liberamente e consapevolmente. Proprio in periodi di crisi come questo c’è bisogno di competenza, trasparenza e chiarezza.

 

di Claudio Bottos, consulente del lavoro e di direzione strategica aziendale

 



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Roberto Silvestrin

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