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08 ottobre 2024

Treviso

Red Canzian: un testimone del proprio tempo

"Non c'è mai una storia uguale ad un altra"

| Federica Gabrieli |

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| Federica Gabrieli |

TREVISO - Ognuno ha il suo racconto e questo è il racconto di un Uomo che ha abbracciato con dolcezza e forza la Vita; osservandola, ascoltandola, mordendola, penetrandola e vivendola.

 

Le sue canzoni sono un tripudio di bellezza musicale, colori, emozioni e riconoscenza.

 

Sognatore, curioso, intraprendente, determinato, appassionato, coinvolgente, elegante, galante, leggero, libero, nebuloso ma nitido, penetrante, profondo, raffinato, rimbombante, sibilante, vibrante, carismatico, misterioso, versatile, unico...

 

Nato a Quinto di Treviso, a casa con una levatrice, in una splendida villa veneta del 700’ ovvero Villa Borghesan, sviluppata su tre piani e ricolma di affreschi, nella quale aveva soggiornato anche Francesco Baracca durante la guerra, adagiata ed abbracciata da un parco secolare. Non era una villa da ricchi, anzi lo era stata ma poi è stata data in concessione al Comune per ospitare le famiglie più povere del paese.

 

Caro Red che ricordi hai di quegli anni?

 

Ho abitato e sono cresciuto proprio lì con i miei genitori e la sorellina più grande di sette anni, pagando duemila lire di affitto al mese per due stanze senza riscaldamento e servizi; queste ultime si affacciavano in uno dei tre saloni (uno per ogni piano) così maestosi, affrescati, dipinti con Sangiorgi che infilzavano il dragone, cavalieri, mantelli, abituandomi con semplicità e facilità all’arte e al bello fin da piccolo, trascorrendo ore ed ore a guardare quei dipinti meravigliosi che c’erano in quei saloni.

 

Aleggiava e fluttuava un amore vero, pieno di valori e tradizioni, non mancava nulla per me; sai da piccolo non dai valore al denaro. A casa tutti cantavano, mio padre andava a vedere i cori delle opere e mia madre intonava le canzoni che sentiva nelle prime radio che giravano per le case. Ricordo che con lei andavamo a comprare i libricini con i testi delle canzoni di Sanremo, che una volta uscivano nelle edicole e poi le cantavamo assieme. Il big bang avvenne nel 63’, all’età di dodici anni, a Jesolo nel bar vicino alla spiaggia dove avevano portato il primo jukebox che ha cambiato radicalmente la mia vita. Fino a quel momento ero abituato a sentire il suono della radio completamente diverso, cosa che invece il jukebox aveva le basse e con la canzone “Love me tender…” di Elvis e un “Please please me…” dei Beatles, sono impazzito, un turbinio dirompente di emozioni, difatti in quel momento mi sono promesso che sarei andato anch’io nel jukebox un giorno.

 

L’anno dopo mi sono fatto comprare una chitarra che tra molteplici e coraggiose strimpellate in autonomia ho cominciato a imparare i primi accordi e già nell’estate del 64’ ho cominciato a capire che mi piaceva proprio tanto cantare davanti alla gente, per la gente e con la gente. Sorridendo “….sapevo tre accordi un MI un LA e un RE” che mi consentivano di fare “è una bambolina che fa no no no no no…..” e vedere la gente che mi seguiva con la voce era meraviglioso ma soprattutto e ancor di più quando sotto l’ombrellone in spiaggia mi trovavo avvolto da quella nuvola di fanciulle stupende che mi hanno concesso di fare quel passaggio indolore ed eroico tra l’epoca dei soldatini e l’epoca che si giocava ai dottori, un passaggio devo dire molto piacevole. Da lì non mi sono più fermato quando scoprii la profondità della musica e quanto è bello giocare al dottore.

 

Che bambino sei stato durante gli anni di scuola?

 

Non ero assolutamente un sovversivo, tuttavia non accettavo molto le regole, nel senso che mi allietava molto imparare ma le cose che garbavano a me, non quello che mi veniva insegnato a scuola; indi per cui leggevo libri personali. Sono sempre stato promosso e mi sono diplomato geometra perché disegnavo molto bene ed ero bravo in italiano, in tutte le altre materie ero un disastro.

 

Ricordo che disegnavo delle case bellissime, molto più belle di quelle del mio professore, solo che le sue stavano in piedi, le mie quasi sicuramente, no. Nel contempo all’età di sedici anni, mi sono iscritto a tutti i Festival per giovani cantanti, vincendone anche uno molto importante a Conegliano “Lo Stroppolo d’Oro” organizzato dalle Cantine Sociali di Conegliano Veneto, presieduto e presentato da Pippo Baudo ed io cantavo “Yesterday” dei Beatles.

 

Da quella vittoria è stato un crescendo, infatti poi ho creato il primo complesso ovvero i Prototipi, che dopo un po' di aggiustamenti siamo diventati un bel gruppo riconosciuto a livello territoriale, tant’è che il direttore dell’Hotel Carlton di Treviso, dove abbiamo suonato una stagione intera tutte le domeniche pomeriggio, si è innamorato ed affezionato a noi costruendo per noi il locale New Time di Treviso conosciuto come il “Paiper” di Piazza Giustiniani e in quel luogo per due anni di seguito tutti i sabati e domeniche abbiamo suonato, raccogliendo la più bella gioventù del Veneto.

 

 

Quando entrasti a far parte dei Pooh, è stata una coincidenza ancestrale?

 

E’ strana e misteriosa la vita… perché io allora ero un chitarrista e loro cercavano un bassista, ero preparato e bravo con la chitarra. Credo che quell’accadimento non sia dovuto al destino quanto ad una coincidenza che se ti trova pronto e preparato funziona, altrimenti se non ti trova pronto è una sfortuna perché per tutta la vita ti rimarrà il rimpianto che potevi farcela; per cui il destino, quello che la gente crede che esista, può anche rovinarti la vita.

 

Io mi sono solo fatto trovare pronto, ero pronto dentro, ero pronto a prescindere dal talento; sicuramente loro hanno provato bassisti molto più bravi di me, proprio perché non suonavo il basso, e probabilmente anche gente che cantava meglio di me e forse anche più intelligente di me, nonostante quella mescolanza di entusiasmo, impeto e passione che mi contraddistinguono, il provino l’ho fatto con la chitarra e non con il basso, esibendomi con un mio pezzo e loro sono rimasti contenti ed entusiasti. Adesso è lo strumento che amo di più e sono felicissimo di essere passato al basso. E’ certo che il talento nella vita senza l’impegno non vale niente; tu puoi essere nato talentato ma se non ci lavori sopra non accade nulla. Devo dire che io ma anche i Pooh abbiamo sempre lavorato tantissimo, abbiamo fatto per anni un album all’anno ed in mezzo tournée e promozione con a seguire composizione ed incisione.

 

 

Cosa ti tiene legato al territorio Veneto, visto la tua lungimiranza lavorativa che ti porta a viaggiare spessissimo?

 

Per quindici anni ho fatto lo zingaro comprando casa a Milano, Bergamo e poi ancora a Milano ma poi mi chiedevo cosa c’è che mi assomiglia, in cosa mi ritrovo, il risotto allo zafferano non è un mio piatto, io mangio “radici e fasioi” cosa ci sto a fare a Milano?

 

Sai, sto benissimo ovunque tuttavia non è la stessa cosa come sto bene in Veneto, perché mi viene molto naturale stare qui, percepisco le mie radici primordiali e mi ritrovo; respiro la nebbia, accendo il fuoco, quelle piccole abitudini che mi riportano alla mia vita di sempre, mi riconducono a quand’ero bambino alla cucina economica, faceva freddo e gli inverni avevano questo sapore, fuori vedevo il merlo che andava a cercare le briciole. Il Veneto è casa mia e mi riconosco; infatti nell’84 ho comprato questa casa a Sant’Elena di Silea.

 

Avete in progetto per quest’anno un tour che cavalcherà e sosterà anche in Veneto, dove inizierà e slitterà?

 

Sarà un vero e proprio viaggio nella grande ed incantevole bellezza italiana attraverso la musica, esibendoci in location uniche, suggestive, speciali, importanti e storiche della Nazione. Partiremo l’11 di giugno dalle Terme di Caracalla, per poi proseguire in Piazza San Marco a Venezia, all’Arena dei Templi a Paestum, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi a Nichelino, al Teatro al Castello a Roccella Ionica, lungo le mura di Barletta, nella Piazza Ariostea a Ferrara, a Marostica nella Piazza degli scacchi, a Villa Erba a Cernobbio e così via fino a fine agosto.

 

Oltre alla musica hai altre passioni?

 

La pittura da sempre, sebbene non ho uno stile ben preciso; dipingo le mie emozioni e le coloro, attraversato da mutamenti continui che lascio fluttuare dentro di me e che riproduco con il pennello.

 

Come ti definisci oggi?

 

Amo esserci e servire a qualcosa e che lo faccia come cantante, come scrittore o pittore, mi interessa avere un ruolo che aggiunga vita alla vita degli altri; ecco con questo concetto nutro i miei rapporti, relazioni, lavoro.

 

Mi considero tuttalpiù un appassionato, mi piace e sono molto incuriosito dalla gente.

 

Rifacendomi ad un paio di canzoni dei Pooh… si può essere AMICI PER SEMPRE?

 

Credo di si, ma è un percorso lungo, tortuoso, non facile e non avviene al primo colpo.

 

Siamo passati attraverso ad una “costruzione” della nostra amicizia basata innanzi tutto sul rispetto che è importantissimo, sull’amore per il lavoro, su un progetto ed un sogno comune.

 

Tante cose ci hanno legato e ha contribuito molto il fatto che siamo di quattro città diverse e quando tornavamo a casa dalla tournée ognuno era il re nel proprio territorio, non dovendo condividere con gli altri i propri successi, amici, luoghi, e questo è stato molto importante, ognuno di noi si è gestito la propria vita; è stato un bel percorso il nostro, irripetibile.

 

IL 15 febbraio scorso ho compiuto i miei 51 anni con i Pooh, e sono stati 51 anni dove la parola IO ha lasciato il posto alla parola NOI, tant’è che tutt’ora parlo sempre al plurale anche quando parlo di cose mie talmente è radicato in me il noi.

 

CHI FERMERA’ LA MUSICA?

 

Non potrà accadere perché se noi ascoltiamo la vita, non potrà mai succedere; la musica è una componente della vita, è l’unica cosa che quando ti colpisce non ti fa male, non sappiamo di cosa è fatta perché è l’unica arte immateriale e se pensi che tutta la musica del mondo si muove in sette note e cinque bemolli o diesis, in tutto dodici note, ti chiedi che magia ci possa essere.

 

Non è tanto la nota che fa la musica bensì la distanza tra una nota e l’altra, cambiando la melodia, le attese, la lunghezza della nota stessa… diviene un qualcosa di talmente inspiegabile che ogni volta che la spieghi la rovini.

 

E’ un po' come pretendere di spiegare l’anima, rischi di fare dei danni incredibili e di entrare nel grande libro della retorica.

 

L’anima non si spiega così come non si spiega la musica, verosimilmente dobbiamo considerarci fortunati sia di avere un’anima che la musica.

 

Che anima pensi di avere?

 

Se Stefano fosse qui con noi, risponderebbe “l’anima de li mortacci tua”, noi ridevamo molto insieme.

 

Ho un’anima curiosa che spero non smetta mai di avere questa attenzione e meraviglia verso la vita.

 

Mi incuriosisco, stupisco di tutto ciò che mi circonda; la vita ha un senso e quel senso profondo è che la realtà è trasformabile dai nostri pensieri, desideri e sogni.

 

 


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