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24 aprile 2024

Vittorio Veneto

SCAPPATI, PER SALVARSI LA VITA

Sono 65 i profughi accolti dai comuni e dalla caritas diocesana

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SCAPPATI, PER SALVARSI LA VITA

VITTORIO VENETO - Sono scappati dalla guerra in Libia, ma non sono libici: sono africani (tranne un afgano) venuti in Libia per lavorare. E, in qualche caso, per fuggire dalla guerra del loro paese.

Sono scappati per salvarsi la vita: nella guerra civile libica come stranieri, e neri, erano fortemente a rischio. Sono scappati e hanno dovuto abbandonare tutto. Sono arrivati a Lampedusa, dopo ore di viaggio con centinaia di disperati, e da lì in Italia, nella Marca.

Dove sono accolti dai Comuni e dalla Caritas diocesana, che ricevono per questo servizio un contributo dallo Stato. Si occuperanno di loro almeno fino al 31 dicembre. Ma ci vorrà senz'altro più tempo perché riceva risposta la loro domanda di asilo politico in Italia. Nel frattempo, Limbo. Non sono clandestini, ma non possono lavorare in Italia. Non sono clandestini: sono profughi. Erano 65 quelli invitati lunedì 4 alla Consolata a Vittorio Veneto per un incontro con il vescovo Pizziolo.

A cui una di loro, a nome di tutti, si è rivolta leggendo una lettera. Piena di ringraziamenti all'Italia e a chi accoglie, ma con una precisa richiesta: il permesso di soggiorno. La base per poter sperare nel futuro.

In attesa, e sarà una lunga attesa, della risposta sui sospirati documenti, si è messo in moto, silenziosamente, il volontariato. Tramite la Caritas insegnanti volontari si sono messi a disposizione per insegnare ai profughi lingua e cultura italiana. Il prossimo passo sarà organizzare per i nuovi arrivati dei corsi professionali.

Nelle mappe qui sotto, la provenienza dei profughi e la struttura in cui sono alloggiati. Clicca su ogni cartellino blu per avere maggiori informazioni.

MAPPA: DOVE SONO I PROFUGHI


Visualizza I profughi in Sinistra Piave in una mappa di dimensioni maggiori

MAPPA: DA DOVE VENGONO I PROFUGHI


Visualizza Da dove arrivano i profughi in una mappa di dimensioni maggiori

GALLERY: LE FOTO DELL'INCONTRO ALLA CONSOLATA

Nel corso dell'incontro con il vescovo Pizziolo alcuni profughi hanno raccontato frammenti della loro vita. Eccoli qui di seguito.

Blessing, nigeriana, racconta di sette giorni di mare tra la Libia e Lampedusa, con marito, figlia e altri 210 in una barca precaria, senza carburante né direzione. “Solo Dio era la nostra speranza – ricorda Blessing - così tutti ci siamo messi a pregare”. Non è venuto Gesù camminando sulle acque come quella volta, ma sono arrivati i pescatori... di uomini, sono arrivati i soccorsi.

Alla fine di un racconto che turba chi ascolta figuriamoci chi l'ha vissuto, lei con il volto e forse anche il cuore stanco, in mezzo a una comunità semisconosciuta...

d'improvviso Blessing ha uno scatto. “Ora ringrazio Dio di essere in Italia e per questo vorrei cantare..”... ed è un'esplosione:

“Praaaaaaaaaaaaaaaaaise the Lord!

Praaaaaaaaaaaaaaaaise the Lord!”

Lodate il Signore, Lodate il Signore! Cantato a squarciagola, accompagnandosi con le braccia, invitando tutti a cantare insieme a lei.

Issaka, ghanese, in Libia era insegnante. E parla come se parlasse ad una classe quando è in piedi al microfono. Inglese chiaro e parole scandite. Sembra racconti i viaggi dei libri di storia, degli emigranti poveri e disperati del passato, quando spiega che sulla sua barca erano in 700, ed erano senza bussola, telefono, mappe. E senza soldi: fuggendo dalla guerra aveva perso tutto. E senza scelta: nemmeno sapeva dove lo stava portando, quella barca su cui gratis era potuto salire. Tutto andava bene, pur di fuggire. Perché in Libia, c'è una guerra civile. Tutti contro tutti. E in particolare contro gli immigrati d'Africa. “They slaughter them”, dice Issaka. Li massacrano.

Ngallè nel suo Camerun era contro. E lo rivendica in orgoglioso francese. “Ho lasciato il mio paese per ragioni politiche: ero un oppositore, perseguitato, e quindi sono dovuto scappare. Ero in Libia da 2 anni e mezzo, avevo iniziato una piccola attività. Ho perso tutto”.

Warsama, dalla Somalia. Sguardo fierissimo, malgrado quel che ha dovuto vedere. “La guerra la conosco - racconta asciutto. - il mio paese è in guerra da vent'anni” . Facilmente l'ha riconosciuta quando è arrivata anche in Libia. Lascia la villa di cui era custode, sali con altri 200 su una barca. “Se tu vedessi quella barca, non ci saliresti”, dice, ancora più asciutto.

Tommaso Bisagno

 

 


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