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29 marzo 2024

Vittorio Veneto

SOTTO IL CIUFFO (DA EMO)... UNA LACRIMA

I ragazzi parlano dei ragazzi. Cioè delle loro mode. Cioè del perché vogliono differenziarsi omologandosi. Cioè perché è necessario riconoscersi in un gruppo. Cioè…

| Emanuela Da Ros |

immagine dell'autore

| Emanuela Da Ros |

Vittorio Veneto - Non chiamateli Emo. Non in pubblico, per lo meno. Non davanti a tanta gente. Anche se poi, sotto voce, usando tutti gli avverbi indefiniti che conoscono…circa, quasi, pressappoco…, loro stessi ammetteranno che sì, essere (appena appena un po’) emo è una moda mica tanto brutta. Qualunque cosa dicano gli altri.
Chi usa skype sa che tra gli emoticons c’è anche la faccina di un emo. Una faccina giallina con un ciuffo nero che la copre per metà.
Chi ha a che fare con degli adolescenti, sa che la maggior parte di loro non mostra mai entrambi gli occhi. Che i ciuffi di capelli che scendono asimmetrici e lunghi su una guancia coprono almeno un terzo del viso.
Chi ha visto High School Musical (il film cult dei teenagers) sa che Zac Efron quella ciocca che gli arriva al naso non la solleverebbe nemmeno per baciare Vanessa Hudgens.
Ma basta un ciuffo sul naso a fare di un ragazzo un emo? e poi: chi non è emo (appena appena un po’), che cos’altro è, nella tassonomia delle mode giovanili?

Massimiliamo Biasotto, 16 anni, (nella foto a destra con l'amica Chiara) ci guida nel ginepraio dei look più esibiti dai ragazzi tra i 13 e i 17 anni. Lui ama i braccialetti borchiati, le t-shirt nere con la stampa delle band preferite e ha un ciuffone nero/rosa che gli scende sul viso. Eppure non si definisce un emo.
“Gli emo – spiega – sono un fenomeno che nasce negli anni Ottanta, nei paesi anglosassoni. La parola che li caratterizza deriva da emotion, da emozione, perché gli emo si vantano di avere una sensibilità accentuata, di saper esprimere dolore. E si dice che in origine portassero un ciuffo sopra l’occhio, che tendeva a lacrimare per primo, per nascondere agli altri la reazione al dolore. In realtà gli emo della prima ondata (quella del  1985-1994) erano dei depressi, degli autodistruttivi: si tagliavano le vene e mortificavano il corpo. E non è escluso che emo, per loro, derivasse dalla radice greca “emo” che significa sangue…”

Ma non mi pare che oggi gli emo siano spiriti carichi di dolore…
No – continua Massimiliano. – Oggi essere Emo significa solo adottare un certo abbigliamento: la frangia asimmetrica, gli occhi truccati di nero, le cinture con borchie colorate, le scarpe da skater o nere di marca Converse o Vans. E significa ascoltare un determinato tipo di musica, che si rifà al post punk, al deathcore, al grindcore....
La frangiotta sugli occhi non dà fastidio?
Per nulla. E poi fa rimorchiare alla grande. Le ragazze impazziscono per ‘sta cosa. E inoltre il ciuffo serve a distinguersi.

Da chi?
Da quelli che hanno i capelli corti. E che non rimorchiano…

Chi non è emo, oggi, cos’è?
Oltre agli emo ci sono i centrinazzi, i figli di papà, che escono con le griffe, i vestiti firmati, i marchi di fabbrica in mostra; poi ci sono i truzzi, che ascoltano musica house; i poser, che sono finti-emo; i metallari, vestiti di pelle nera e borchiati dalla testa alla lingua; i fucking alternative, i punk, con la crestina e gli anfibi e i brudal, che hanno una frangetta tagliata alla pari e sono troppo scarsi.

E le ragazze? Adottano lo stesso abbigliamento dei maschi?
Più o meno sì. Ma tra loro ci sono le scin queen (che hanno uno stile emo più colorato, con le extension arcobaleno); le gothic lolita, che imitano le bambole di porcellana, hanno le maniche a sbuffo, le gonne di pizzo e i cerchielli tra i capelli e le bimbe-minchia, che usano espressioni come “trottolino amoroso” e abusano di cuoricini e scrivono sms pazzeschi alternando le lettere maiuscole alle minuscole.

Lara De Marchi, 15 anni,
(in foto) originaria di Cison di Valmarino, frequenta un istituto superiore vittoriese che conta circa 800 allievi. Tra tutti (rapida indagine) lei è l’unica a dichiararsi una “quasi emo” dato che – precisa – ascolta anche il punk (categoria musicale che la estrometterebbe dagli emo-doc).
Il look di Lara (che ha un viso molto carino) ne fa una bamboletta grintosa, solo-apparentemente arrabbiata:  il viso dagli occhi (verdi) truccatissimi di nero è coperto dal megaciuffo biondo, sui jeans (neri o viola), Lara indossa la cintura dalle borchie colorate e ai piedi calza scarpe Vans o All Star.
La cosa che più le piace del suo look? “Abusare – dice – di collane e bracciali”.

Oltre a guardarsi, abbracciarsi (i teen agers sono dichiaratamente amanti delle coccole), catalogarsi, i ragazzi si cercano in una community “tarata” sulla loro età: Netlog. Un sito belga di social networking che ha fortuna soprattutto tra gli adolescenti. I membri di Netlog possono creare una loro pagina web, estendere la propria rete sociale, pubblicare playlist musicali, condividere video, postare, unirsi a gruppi chiamati ‘clan’, lanciare un Urlo, ovvero un disclaimer, in homepage. Ogni utente, all’atto della registrazione al sito, dichiara di seguire determinate norme contro il razzismo, i comportamenti offensivi e/o indisciplinati e la pornografia, per garantire a tutti (anche ai minorenni) una sicura navigazione. Su Netlog, digitando il nome Vittorio Veneto o Conegliano, risultano 500 profili; 388 ne ha Pieve di Soligo.
Qui i ragazzi si presentano con biografie reali o fantastiche (“sono figlio di un senzatetto dello SryLanka”) con massime semplici ma d’effetto, “non sono nessuno ma nessuno sarà MAI come me”, con nickname lunghi quanto una dichiarazione “ho perso il cervello”, con post che sono un crogiuolo di abbreviativi ed emoticons.
Leggendo i profili dei Netlogati si scopre che gli adolescenti fumano (mooolto), soprattutto Marlboro, che bevono (ma dai!) preferibilmente Coca Cola; che considerano il Natale la festa per antonomasia; che stimano il top del romanticismo baciarsi distesi sopra la neve o la sabbia; che (maschi o femmine che siano) adorano Johnny Depp e i Simpson; che possiedono tutti il patentino e che guardano Mtv. Parecchi di loro vivono con un solo genitore e sono alla ricerca di amici pur avendone (in rete) circa 500!
Be’, che non si dica che i giovani non si fanno scoprire. Basta scorrere le loro pagine piene di foto taggate e auto-interviste fatte col cuore in mano (e sulla tastiera), per capire chi come dove vanno… i ragazzi che si bloggano.

Emanuela Da Ros

(ha collaborato Elisa Campardo)

 

 


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