Una chiacchierata con Francesco Cuzzolin, preparatore fisico di fama mondiale.
E' stato il primo europeo a diventare Head Strength and Conditioning Coach in NBA con i Toronto Raptors
Lo sport è coinvolgimento, conoscenza, confronto, sostegno, un miscuglio ed intrecci di gioie e soddisfazioni, tensioni e sollievo, sconfitte e vittorie un collante perfetto che unisce e lega le persone. Tanta predilezione, determinazione, impegno e fatica, sfide e sogni da realizzare, molteplici prove in allenamento e in gara, tante persone dietro gli atleti, esperienze, condivisioni che fanno crescere. La passione è ossigeno per l’anima, una forza interiore, la spinta più potente che dà vita al desiderio di crescere e nutrirsi. Dobbiamo essere curiosi esploratori e arditi investigatori della realtà che si cela dietro lo scontato e il non conosciuto; vivere da insaziabili amanti tutte le esperienze che la vita offre. Ma se la passione, la costanza e la determinazione sono le vele che il vento può sospingere, avere una meta precisa e una strategia per raggiungerla saranno il timone della nostra navigazione ovvero ciò che ci aiuterà a non perderci d’animo e per strada, non dispendendo energie su percorsi non nostri. La progettualità è il timone di una carriera, di una crescita, il ponte tra desiderio e mission. Abbiamo deciso di farci raccontare da chi ha fatto di questi tre ingredienti – ovvero una inebriante passione, una ammirevole determinazione e una penetrante progettualità - una filosofia di vita per realizzare i propri sogni.
Sono nato a San Donà di Piave (VE) in una famiglia semplicissima di commercianti; mio nonno aveva una piccola impresa edile e la sua lungimiranza gli ha permesso di investire in una periferia veneziana che stava crescendo e da buon imprenditore aprì varie attività commerciali nei d’intorni dell’ospedale di San Donà, punto di socializzazione molto importante. Cresco un po' in campagna con i nonni e un po' al fianco delle attività dei miei genitori. Ho un bellissimo ricordo della mia giovinezza ossia dell’oratorio Don Bosco difatti è stato per me uno sfogo alla mia esuberanza, ero un bambino molto vivace che aveva bisogno di fare, smontare, costruire, distruggere…. La mia famiglia è sempre stato il mio punto di riferimento, tuttavia una infanzia sulle montagne russe ma che ricordo con grandissimo affetto perché mi ha reso una persona più forte. Sin dalle scuole medie ho praticato judo per moltissimi anni anche a livello agonistico, ero un piccolo samurai. Essendo sempre stato un bambino che aveva necessità di sfogarsi fisicamente, avevo trovato uno sport che dava delle regole ma che permetteva anche di giocare ed esprimermi con la mia fisicità difatti questo mi ha aiutato molto nel “costruirmi” non solo fisicamente ma anche mentalmente.
Il tuo trampolino di lancio ovvero l’apripista che Ti ha portato ad una crescita continua e veloce nel tuo percorso lavorativo, quando ebbe inizio?
A me successe questo: mi sono laureato presso l’ISEF di Padova tra l’altro in pochissimo tempo e con il massimo dei voti proprio perchè mi piaceva studiare la metodologia dell’allenamento acquisendo con lo studio l’evidenza scientifica. Questo percorso universitario mi ha dato l’opportunità di entrare nel mondo della scuola, difatti iniziai ad insegnare presso il Collegio Brandolini di Oderzo e adoperarmi in varie supplenze. Nel contempo aprii una palestra assieme al mio maestro di judo, divenendo nella zona di San Donà un punto di riferimento per gli sportivi. Per aprire quella struttura facemmo un discreto investimento economico in Technogym, un’azienda leader del settore in provincia di Cesena, dove abbiamo comprato tutta l’attrezzatura ci ha offerto dei corsi di formazione per ottimizzare l’utilizzo dei loro attrezzi. Iniziai i corsi ma non riuscendo a star zitto durante le lezioni mi adoperavo simpaticamente in molteplici interventi. Un giorno accadde che uno dei docenti mentre sosteneva il corso mi disse:”guardi le chiedo un favore ovvero di ridurre la quantità di domande perché ne sta facendo un po' troppe ed è anche imbarazzante che stiamo parlando solo io e lei; le faccio una richiesta ovvero perché non viene a sostenere il corso la prossima volta come relatore?”. Io faccia tosta colsi la provocazione e risposi subito di sì con molto piacere. Da lì iniziai a fare formazione per Technogym, apprezzarono sin da subito le mie capacità comunicative e le mie conoscenze tant’è che qualche anno dopo mi fecero l’offerta di andare a lavorare per loro e così fu; nel contempo chiesi un part time con la scuola e vendetti la palestra. Girai molto l’Italia adoperandomi nel fare formazione quando c’erano dei clienti importanti ovvero mi capitava di andare a casa di diverse personalità come Alessandro Benetton, appassionatissimo di sci che voleva avere a casa sua una palestra per allenarsi e durante una chiacchierata gli spiegai di cosa mi occupassi, alchè mi disse che la Serie A della Benetton stava cercando un allenatore. La fortuna volle che il fratello di un mio amico lavorava in Benetton, mi fissò nell’immediato un colloquio e mi diedero la posizione come preparatore della Serie A; già nel secondo anno (siamo nel 1998) vincemmo lo Scudetto. Dopo 5 anni di Benetton ho la possibilità di andare a lavorare per la Virtus Bologna e durante la mia permanenza abbiamo fatto il triplete vincendo la Coppa Italia, lo Scudetto e l’Eurolega; una stagione da ricordare.
E’ cambiato il mondo sportivo da quando hai iniziato ad oggi?
Ovvero ci sono allenamenti e preparazioni atletiche che sono mutate negli anni? La richiesta agonistica è cambiata, la quantità di partite giocate all’anno è enorme, quindi in relazione a questa necessità è cambiato il mondo della preparazione e la cura del dettaglio. Mentre una volta l’allenamento e la preparazione venivano fatte in quelle ore trascorse in palestra adesso non basta difatti si riscontra che il controllo dell’atleta deve essere a trecentosessanta gradi, quindi un professionista con una qualità della vita che deve essere inserita in un contesto di performance ossia stare bene a casa, dormire e mangiare bene e non solo quando si è controllati dagli allenatori e nell’attività collegiale ma avere degli obiettivi di prestazione anche quando si è da soli. Gli atleti ad alto livello sono delle aziende quindi si ha a che fare anche con tutto il mondo che sta alle loro spalle ossia la famiglia, gli amici, i trainer personali… quindi ci deve essere massima trasparenza, un altissimo livello di obiettività e le scelte che fai per allenare non devono essere solo esperenziali ovvero dettate dalla tua esperienza, ma devono essere oggettivate quindi l’allenamento ha sicuramente una caratteristica più scientifica di una volta Per preservare la tua professionalità devi essere molto procedurato ed io in questo mondo mi trovo benissimo, difatti uno dei miei soprannomi è Franz chiara origine germanica, perché sono sempre quello che mette i puntini e se mi chiedi qualcosa sono sempre quello che ti fa vedere lo storico interpretando l’obiettività. Chi non ha questo tipo di approccio fa fatica a sopravvivere nello sport professionistico, una delle cose che dico sempre ai giovani nelle mie formazioni è quello di costruirsi un sistema logico e procedurato d’approccio al lavoro .
I ragazzi hanno subito negli anni sul piano mentale/psicologico dei cambiamenti?
Non me la sento di dire era meglio una volta o adesso tuttavia i ragazzi al giorno d’oggi sono estremamente intelligenti e riescono a percepire e assorbire velocemente, hanno tantissime informazioni e quindi hanno una massa critica maggiore, questo è un grande potenziale ma la cosa che sta diminuendo è la forza di reagire a situazioni emotive difficili. Lo sport è una sintesi compressa di quello che la vita ti sottopone nel bene e nel male, successi, insuccessi, infortuni, rialzarsi quando una cosa non va, imparare dalle sconfitte quindi è un processo estremamente accelerato e se sei debole diventa più complesso. All’inizio del mio percorso professionale ho notato che allenavo persone che davanti a difficoltà non facevano neanche un passo indietro, erano molto più forti nell’affrontare le cose che non riuscivano; adesso da un punto di vista emotivo le nuove generazioni sono un po' più deboli quindi sta a noi come allenatori, come famiglia, aiutarli a capire qual’è lo scenario più grande, ovvero vinci la partita o la perdi (noi lo chiamiamo essere dispiaciuti per 24 ore) ma poi si va avanti quindi si analizza il momento e poi si procede. Sei stato il primo europeo nel diventare Head Strength and Conditioning Coach in NBA con i Toronto Raptors dal 2009 al 2011.
Com’è stata quella esperienza?
E’ stata una bellissima esperienza professionale e di vita. Per chi lavora nella pallacanestro in NBA è la cosa più bella che possa capitare e sono stato il primo europeo; tutti me lo ricordano però che noia e che barba nel senso che il mio livello di incidenza in un contesto professionale di quel tipo era minore rispetto a quelle che erano le mie aspettative e le mie pretese professionali. Quindi quando ho avuto la possibilità di uscire l’ho fatto e alla prima occasione di tornare in Europa l’ho abbracciata.
Il Tuo percorso professionale è stato una crescita continua. RaccontaTi
Da Bologna sono tornato a Treviso alla Benetton; nell’estate 2006 ho avuto un’offerta di lavoro per la Nazionale Russa con l’allenatore americano David Blatt, abbracciai subito la proposta che è stata estremamente importante e curiosa perché un allenatore americano ed un preparatore italiano che allenano i Russi, sembrava una barzelletta. Esperienza gratificante perché nel 2007 vincemmo il Campionato europeo come nazionale in Spagna contro gli spagnoli. Nel 2008 ci qualificammo per le Olimpiadi di Pechino. Quindi la mia professionalità e visibilità continuava a crescere, nel frattempo andai a fare dei training camp negli Stati Uniti cosicchè il mio mondo professionale e quello americano si avvicinarono e dal momento che si liberò una posizione nel Toronto Raptors iniziai a collaborare con loro e partii per il Canada (dal 2009 al 2011) mio malgrado lasciando Treviso. Mentre stavo in Canada mi offrirono la possibilità di allenare la Nazionale Italiana e per me era un sogno vestire la maglia azzurra. Avevo fatto le Olimpiadi da russo e quando mi hanno proposto di allenare la Nazionale Italiana ho detto subito di sì, sebbene è stato molto complesso gestirmi d’inverno in Canada e d’estate in Italia. Ho fatto due anni di andirivieni e poi la Federazione Italiana mi offrì di seguire tutte le Nazionali ovvero mi diede la possibilità di diventare il responsabile della preparazione fisica di tutta la pallacanestro, allenando la Nazionale A e B e tutte le altre seguivano il mio metodo così per sei anni ho fatto questo.
Ad oggi in quale squadra e con quale ruolo sei presente?
Sono responsabile performance dell’Olimpia Armani Milano. Spiegati meglio. E’ un coordinatore con competenze tecniche che aiuta tutte le componenti che lavorano per una squadra, ovvero tutti i preparatori, per quanto riguarda l’allenamento fisico, collabora con i medici nella parte terapeutica e lavora con lo staff tecnico; tutte le informazioni necessarie vengono raccolte da chi lavora con me ed io sono l’ultima parte di questo imbuto che deve controllare che tutto sia messo in maniera chiara e definita facendo dei report da offrire a chi deve allenare la squadra in campo; sostanzialmente è un manager fuori dal campo responsabile del lavoro di tutti gli altri. Ho una grande responsabilità tuttavia mi piace moltissimo. Essendo un preparatore fisico lavori su equilibri funzionali, muscolatura...Ma quanto la mente può influenzare in maniera positiva o negativa sulle prestazioni di un atleta? La parte mentale e cognitiva è assolutamente importante con un rilievo determinante; considera che la nostra performance ha tre caratteristiche: fisica, emotiva e cognitiva. La parte mentale è sicuramente importante ecco perché all’interno di un gruppo allargato che siamo noi ci deve essere uno specialista che si occupa di questo.
C’è un ruolo o percorso professionale che Ti ha particolarmente penetrato?
Sono ossessionato dal mio lavoro e quando mi si dà l’opportunità l’ho sempre abbracciata, dimostrando sempre che chi mi ha dato fiducia e ha investito su di me, ha fatto bene. Ho un grande riconoscimento che tengo a condividere ovvero quando lasciavo un’esperienza lavorativa mi chiedevano chi avrebbe potuto prendere il mio posto e questo per me è il miglior riconoscimento che posso ricevere, proprio perchè volevano continuare esattamente come io ho organizzato il lavoro.
Hai un suggerimento da dare ai giovani che si approcciano al mondo sportivo?
Sembrano delle cose banali ma la prima cosa che mi viene in mente è sicuramente di non accontentarsi, di non lasciarsi abbattere se in quella specifica esperienza chi lavora con loro non riesce ad appagarli con apprezzamenti e riconoscimenti; essere molto critici con se stessi, essere loro stessi ad alzare la propria asticella e che non sia qualcun altro a farlo per loro. Questo crea una mentalità assolutamente competitiva e cura del dettaglio che prima o poi ripaga. Altresì vivere di emozioni perché lo sport è un mondo bellissimo e le emozioni che esso ti regala, belle e meno belle, sono un nobile e generoso tesoro.
Hai nuovi progetti imminenti?
Mi sto divertendo tantissimo in questa nuova figura che è quella di Direttore della performance perché mette insieme i vari momenti della mia vita e i miei vari interessi ossia da una parte l’allenamento, la metodologia, il seguire gli atleti, dall’altra questa grossa passione che ho per la tecnologia e visto che il nostro mondo sta diventando sempre più tecnologico bisogna oggettivare procedure e creare flussi lavorativi che siano efficaci. Il fatto che questa sia una nuova professione e che non sia ancora allargata a tutti i livelli, bensì ancora di nicchia per grosse organizzazioni e il fatto che sto condividendo questo lavoro con grandi colleghi in giro per il mondo dove parliamo continuamente di questa nuova necessità nello sport professionistico di avere una figura di coordinatore delle varie professionalità, è un bellissimo obiettivo; quindi mi sento al posto giusto nel momento giusto, permettendomi di dare e di ricevere molto anche dagli altri colleghi.
Ti rivedremo in Veneto?
Mi auguro di ritornare in Veneto perché è la mia terra. Sono convinto che quando hai fatto tante cose nella vita c’è un senso di riconoscimento nei confronti di dove sei nato e delle persone che ci abitano, come se ti mettesse nella condizione quasi di ripagare tutto quello che hai avuto. Ecco io in questo momento sento questa esigenza e necessità anche se sto benissimo dove lavoro e dove c’è una eccelsa professionalità. Sei stato allenatore di Andrea Dovizioso.
Com’è nata questa Vostra collaborazione?
E’ nata per caso perché quando sono stato a Cesena, un mio caro amico era il fisioterapista di Andrea e lui cercava un preparatore che gli cambiasse la metodologia e abitudini di lavoro; in quel momento non avevo l’impegno con le squadre e vivevo a Cesena, Andrea è di Forlì e quando me lo hanno presentato mi è piaciuta subito la sua spontaneità, perlopiù la MotoGP è uno sport professionistico ad un livello pazzesco dove metti insieme la tecnologia, l’allenamento e la gestione psicomotiva dell’atleta (queste persone vanno più di 300 km all’ora in moto in situazioni ambientali che non sono facilissime) per me era una sfida e c’era grandissima disponibilità da parte di Andrea nel rivoluzionare il suo approccio nell’allenamento e da lì è iniziato il nostro percorso assieme.
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