DONDI LASCIA LA FEDERUGBY DOPO 16 ANNI
Il presidente uscente: «La nazionale vera locomotiva del movimento». Zatta in pole per la successione
ROMA - Ultime ore da presidente della Federugby per Giancarlo Dondi. Dopo 16 anni il dirigente parmigiano si appresta a lasciare la poltrona dello Stadio Olimpico da cui, a partire dal 21 settembre del 1996, ha gestito la palla ovale italiana.
Domani mattina, al Salone d'Onore del Coni, l'assemblea elettiva sceglierà il suo successore tra il siciliano Gianni Amore, il lombardo Alfredo Gavazzi - l'uomo che alla continuità con la gestione-Dondi ha legato la propria candidatura - ed il veneto Amerino Zatta, presidente della Benetton Treviso.
Ma, più che di elezioni Dondi, preferisce ricordare, con l' Ansa, i quasi seimila giorni al timone del rugby azzurro.
- PRESIDENTE, CHE FIR HA TROVATO E CHE FIR LASCIA?
"Otto miliardi di lire era il bilancio nel 1996, 40 milioni di euro quello di oggi. Avevamo 26mila tesserati, ora siamo a 96mila: questi sono i primi due dati su cui penso si possa valutare il lavoro svolto in 16 anni. Ho il privilegio di guardare indietro e sorprendermi per quello che siamo riusciti a fare. Me l'avessero detto quando sono stato eletto la prima volta, non ci avrei creduto. Avevamo dei sogni, li abbiamo realizzati in larga parte. Noi il 5 Nazioni lo vedevamo in tv e sembrava un mondo lontanissimo. Oggi le Nazioni sono diventate sei ed allo stadio, quando gioca l'Italia, arrivano fino ad ottantamila persone. Mi emoziona sempre l'entusiasmo intorno alla Nazionale".
- ANCHE SE QUESTA ITALIA VINCE POCO, COSA SI ASPETTA DAGLI AZZURRI DI BRUNEL?
"Non è semplice confrontarsi con i migliori al mondo, ma è l'unico modo per crescere. Gli ultimi impegni internazionali hanno permesso al Ct di conoscere tanti giovani, di ampliare la base a cui attingere, di cominciare a progettare a lungo termine, in prospettiva Mondiali 2015. La Nazionale è la locomotiva del movimento, sia in termini di immagine che economicamente: è fondamentale che continui a raccogliere consensi. La cosa che più mi rincresce è l'allontanamento tra la base ed il vertice che si è verificato nell'ultimo periodo e che andrà ricucito da chi prenderà il mio posto".
- DAL FLAMINIO DEI PRIMI SEI NAZIONI, ALL'OLIMPICO PIENO DELL'ULTIMO: COME CI SIETE RIUSCITI?
"Il rugby ed i suoi valori piacciono, il gioco moderno entusiasma ed il 6 Nazioni è un evento di portata globale che ogni anno muove milioni di persone in tutta Europa. Abbiamo lavorato molto per valorizzare il prodotto-rugby, renderlo appetibile per le grandi aziende".
- COSA RIMANE DELL'ERA DONDI?
"Lascio una Federazione in ottima salute, due squadre professionistiche in Celtic League, un campionato che non è il più bello del mondo ma sta offrendo spazio ai giovani e meno a quegli stranieri che ci hanno portato in passato ad un finto professionismo di facciata. Lascio una base ampia, che potrà crescere ancora".
- IL RICORDO PIU' BELLO DI QUESTI 16 ANNI, E IL PIU' BRUTTO?
"Era il 16 gennaio 1998, a Parigi: si votava l'ingresso dell'Italia nel 6 Nazioni. Rimasi due ore ad aspettare il verdetto, poi si aprì la porta ed entrammo, in tutti i sensi. Un anno dopo, il 19 gennaio 1999, la morte improvvisa di Ivan Francescato. Rimane uno dei giocatori più spettacolari cui abbia visto l'azzurro indosso. La nostra Accademia nazionale, a Tirrenia, porta il suo nome"
- COSA FARA' DONDI DA DOMENICA MATTINA?
"Sono membro del Comitato Esecutivo dell'International Board, Presidente della Commissione Antidoping. Non resterò a casa in poltrona, mi dedicherò molto di più ai miei ruoli internazionali".
- TRA LE SCELTE CE N'E' UNA CHE NON RIFAREBBE, E UNA CHE INVECE RIFAREBBE SENZA PENSARCI?
"Il passato non si può cambiare, quindi non mi chiedo mai cosa cambierei. Sui cosa rifarei di sicuro, dico che mi dedicherei di nuovo al rugby italiano con la stessa passione con cui ho fatto il Presidente in questi 16 anni. Alla fine, sono volati".quando gioca l'Italia, arrivano fino ad ottantamila persone. Mi
emoziona sempre l'entusiasmo intorno alla Nazionale".
- ANCHE SE QUESTA ITALIA VINCE POCO, COSA SI ASPETTA DAGLI AZZURRI DI BRUNEL?
"Non è semplice confrontarsi con i migliori al mondo, ma è l'unico modo per crescere. Gli ultimi impegni internazionali hanno permesso al Ct di conoscere tanti giovani, di ampliare la base a cui attingere, di cominciare a progettare a lungo termine, in prospettiva Mondiali 2015. La Nazionale è la locomotiva del movimento, sia in termini di immagine che
economicamente: è fondamentale che continui a raccogliere consensi. La cosa che più mi rincresce è l'allontanamento tra la base ed il vertice che si è verificato nell'ultimo periodo e che andrà ricucito da chi prenderà il mio posto".
- DAL FLAMINIO DEI PRIMI SEI NAZIONI, ALL'OLIMPICO PIENO DELL'ULTIMO: COME CI SIETE RIUSCITI?
"Il rugby ed i suoi valori piacciono, il gioco moderno entusiasma ed il 6 Nazioni è un evento di portata globale che ogni anno muove milioni di persone in tutta Europa. Abbiamo lavorato molto per valorizzare il prodotto-rugby, renderlo appetibile per le grandi aziende".
- COSA RIMANE DELL'ERA DONDI?
"Lascio una Federazione in ottima salute, due squadre professionistiche in Celtic League, un campionato che non è il più bello del mondo ma sta offrendo spazio ai giovani e meno a quegli stranieri che ci hanno portato in passato ad un finto professionismo di facciata. Lascio una base ampia, che potrà crescere ancora".
- IL RICORDO PIU' BELLO DI QUESTI 16 ANNI, E IL PIU' BRUTTO?
"Era il 16 gennaio 1998, a Parigi: si votava l'ingresso dell'Italia nel 6 Nazioni. Rimasi due ore ad aspettare il verdetto, poi si aprì la porta ed entrammo, in tutti i sensi. Un anno dopo, il 19 gennaio 1999, la morte improvvisa di Ivan Francescato. Rimane uno dei giocatori più spettacolari cui abbia visto l'azzurro indosso. La nostra Accademia nazionale, a Tirrenia, porta il suo nome"
- COSA FARA' DONDI DA DOMENICA MATTINA?
"Sono membro del Comitato Esecutivo dell'International Board, Presidente della Commissione Antidoping. Non resterò a casa in poltrona, mi dedicherò molto di più ai miei ruoli internazionali".
- TRA LE SCELTE CE N'E' UNA CHE NON RIFAREBBE, E UNA CHE INVECE RIFAREBBE SENZA PENSARCI?
"Il passato non si può cambiare, quindi non mi chiedo mai cosa cambierei. Sui cosa rifarei di sicuro, dico che mi dedicherei di nuovo al rugby italiano con la stessa passione con cui ho fatto il Presidente in questi 16 anni. Alla fine, sono volati".