In attesa dello spoglio (frenate la libido: ci riferiamo alle schede per l’elezione dei candidati alle Amministrative e non a una apparizione della Minetti) sforniamo un’appetitosa curiosità. Cinquant’anni fa (il 10 giugno 1963), la prima pagina della Stampa apriva con un titolo a effetto: “Gli elettori siciliani svogliati (e scarsi): appena l’80 per cento”. Nell’editoriale, firmato da Francesco Rosso, si diceva che le amministrative erano state snobbate e che appena l’80 per cento degli aventi diritto aveva votato. Cinquant’anni dopo (nello stesso giorno, nello stesso mese, nella stessa isola), si rileva una percentuale di votanti che supera di poco il 40 per cento. Se, nel 1963, i siciliani alle urne erano “scarsi”, nel 2013 cosa sono? Una razza in estinzione? Nemmeno un elettore su due si è preso la briga di esercitare un diritto, che sembra un optional: un capriccio di cui si può fare a meno. Perché tanto, come diceva Tomasi di Lampedusa nel suo Gattopardo “a volte bisogna cambiare tutto, perché non cambi niente”.

Il fatto è che, cambiamenti o non cambiamenti, la vocazione al voto (e non parliamo di quello spirituale) è l’indicatore di una (pericolosa) impermeabilità al mondo, alla quotidianità, alla vita. Che respira anche quando rinunciamo a essere cittadini a tutto sesto. La spalla della prima pagina della Stampa del 10 giugno 1963 riporta anche la notizia di un tornado sull’Astigiano: tra i corsi e ricorsi della storia, anche il meteo ci mette lo zampino. Mezzo secolo fa (esattamente come ora) piove. Piove sulla favola bella che ieri ci illuse, che oggi ci illude (e questo è D’Annunzio).