Addio "Quota cento": in pensione finora quattromila trevigiani
Il Governo Draghi sta per annullare il provvedimento, bocciato anche dall'Ocse. Per Massimiliano Paglini (Cisl Treviso e Belluno) "nella Marca l'appeal è stato scarso, come a livello nazionale"
TREVISO - Andare in pensione con "quota cento" non sarà più possibile. Il Governo Draghi non intende reiterare il provvedimento dell'Esecutivo Conte. Anche perché l'Ocse quella riforma l'ha sonoramente bocciata. Ma anche per la Corte dei Conti quell'approdo alla quiescenza è da considerarsi sconveniente. "Quota cento" non s'ha da fare. Nella Marca quanti ne hanno potuto sinora beneficiare? Facciamo il punto con il segretario della Cisl di Belluno e Treviso, Massimiliano Paglini.
Quota 100 sta per essere archiviata: perché non ha funzionato?
Il provvedimento avrebbe dovuto agevolare il ricambio generazionale ipotizzando, secondo i promotori, tre nuovi lavoratori assunti a fronte di ogni neopensionato. Alla prova dei fatti, però, il rapporto è risultato esattamente l'inverso: tre neopensionati per ogni nuovo assunto. Cosicché Quota 100, anziché favorire il ricambio generazionale, lo ha bloccato. Dovevano poi beneficiarne donne e soggetti più deboli, a partire da chi svolge lavori usuranti e a reddito medio-basso, ma ad aver maggiormente usufruito dell’agevolazione sono stati gli uomini e i dipendenti pubblici (37% del totale)”.
Qual è il reddito medio di chi ha usufruito dell’agevolazione?
36.600 euro, cioè decisamente al di sopra degli stipendi medi degli italiani: il 70% dei lavoratori guadagna di meno. Di sicuro ha pesato il fatto che chi sceglieva Quota 100 abbandonava totalmente il calcolo con metodo retributivo, ancorché residuale, ma con una non indifferente incidenza per le fasce di lavoratori con redditi medio-bassi, che probabilmente hanno preferito fare un "sacrifico" e attendere i requisiti della Fornero per evitare penalizzazioni sull’assegno pensionistico calcolato con Quota 100.
Si dovrebbe dunque tornare alla Fornero: ci spiega in parole semplici come si andrà in pensione?
La Legge Fornero non è stata sospesa: Quota 100 consente un’uscita anticipata in base alla somma di età anagrafica minima di 62 anni e dei contributi versati: Dal 1° gennaio del prossimo anno, se non vi saranno correzioni e/o modifiche, si andrà in pensione esclusivamente con il requisito anagrafico di 67 anni, ovvero in base ai contributi versati: almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Chi non possiede il requisito contributivo, non può che aspettare l’età anagrafica, che è centrale per stabilire l’uscita. Essa viene aggiornata ogni biennio in base alle aspettative di vita, che per il 2021 e 2022 sono pari a 67 anni. Nella prima fase della riforma Fornero anche il requisito contributivo veniva aggiornato in base alle aspettative di vita. La norma è stata sospesa fino al 31 dicembre 2026, nel frattempo è sopraggiunta la pandemia che ha ridotto l’aspettativa di vita di 1,2 anni, pertanto nell’aggiornamento per il biennio 2023-2024 vi dovrebbe essere una riduzione del limite anagrafico.
C’è bisogno di una riforma del sistema pensionistico?
Se non verrà posto rimedio, con il 1° gennaio 2022 ci troveremo con uno scalone di 5 anni per chi deve andare in pensione. C’è pertanto bisogno di mettere ordine e di ridurre gli squilibri evidenti, anche reinvestendo una parte dei consistenti risparmi di spesa che il susseguirsi di molte riforme ha generato. Al netto di circa 30 miliardi di spesa per Quota 100, le lavoratrici e i lavoratori italiani con le diverse riforme pensionistiche hanno fatto risparmiare alle Casse dello Stato circa 80 miliardi di euro. Vorremmo che una parte di questi risparmi venissero indirizzati a rafforzare alcuni istituti già esistenti e non dispersi per provvedimenti come Quota 100 che alla fine non hanno generato valore aggiunto, ma solo maggior debito pubblico”.
Che cosa propone il sindacato?
Ciò che serve davvero al nostro Paese è che la si smetta di mettere in campo interventi spot: il sistema previdenziale va stabilizzato attraverso una maggiore flessibilità in uscita, correggendo le iniquità evidenti ben prima di Quota 100, e sulla quali quel provvedimento non ha per nulla inciso. In particolare, un’età pensionistica di 62 anni ci sembra possa essere un limite sufficiente se si raggiungono i 41 anni di contributi. Servono poi correzioni vere e fruibili per tutelare chi svolge lavori usuranti, lavori di cura, ma anche per i lavoratori fragili. Serve quindi l’estensione e il rafforzamento dell’APE sociale, una misura che, se potenziata, va sicuramente nella direzione auspicata; va ripristinata la rivalutazione soprattutto per tutelare i redditi medio-bassi, anche attraverso l’introduzione della quattordicesima mensilità. Per finire, va introdotta la pensione di garanzia per quelle fasce di lavoratori più giovani che rischiano di avere una situazione contributiva frammentata per i lavori intermittenti e discontinui nel corso della vita lavorativa”.
Al vaglio del Governo c’è anche la riforma del trattamento tributario dei Fondi pensione. Cosa ne pensa?
Nei Paesi europei più avanzati è stato costruito il quarto pilastro della previdenza, da noi è ancora un’utopia se si pensa che al secondo pilastro, quello della previdenza integrativa attraverso i Fondi pensione collettivi e negoziali, aderisce solo un lavoratore su quattro e corre il rischio di diventare meno appetibile se la futura tassazione dovesse essere peggiorativa. Evocare una penalizzazione della tassazione all’ottenimento della prestazione finale, rendita o riscatto che sia, potrebbe produrre ulteriore disincentivazione alle adesioni. Vero che le ipotesi al vaglio dovrebbero abbattere il peso della tassazione per la fase di accumulo, ma lo spettro di perdere il trattamento fiscale agevolato in uscita rischia di essere un boomerang pesantissimo. Potremo esprimere un giudizio più puntuale quando verrà licenziato il provvedimento, ma crediamo sia necessaria una condivisione preventiva con le parti sociali prima di modificare il regime fiscale attuale perché qualunque provvedimento si introdurrà dovrà incentivare le adesioni, e non frenarle.
Qual è il quadro dei pensionamenti con Quota 100 nella Marca trevigiana?
Anche nella Marca si conferma lo scarso appeal del provvedimento, in linea con i risultati nazionali. In provincia di Treviso dal 2019 alla metà di settembre sono andati in pensione con Quota 100 4.038 lavoratori, di cui 2.484 (61,52%) del settore privato, 1.104 (27,34%) del settore pubblico e 450 (11,14%) posizioni miste, afferenti quindi a diverse casse previdenziali. In particolare, nel 2019 fino ad oggi, hanno usufruito di "Quota" 100 1.069 lavoratori, nel 2020 1.528 e nel 2021 1.441. Complessivamente in provincia le pensioni vigenti (incluse quelle assistenziali) sono 286.171, un numero che cresce di circa l’1% all’anno.