AZIENDE CINESI: CONFARTIGIANATO CHIEDE PIÙ CONTROLLI
La Guardia di Finanza dice che le etichette sui capi cinesi sono tutte originali. Gli imprenditori sono preoccupati per la concorrenza sleale
Treviso – Gli artigiani chiedono di avere controlli continui sul territorio da parte delle autorità competenti, per favorire misure di emersione del lavoro nero e irregolare. Lo chiedono anche per poter avviare politiche di formazione dei lavoratori extracomunitari.
Sono richieste che gli artigiani della Confartigianato hanno formulato ieri, giovedì 6 maggio, durante una conferenza, alla Guardia di Finanza di Treviso. In particolare chiedono ai finanzieri di effettuare maggiori controllo sulle imprese di abbigliamento, confezioni e calzatura. Per gli artigiani trevigiani, infatti, il dilagare dell'imprenditoria cinese in diversi ambiti del manifatturiero sta facendo loro una concorrenza sleale.
Quella praticata dai colleghi imprenditori cinesi, secondo Confartigianato, è un'economia basata sullo sfruttamento dei lavoratori clandestini che per gli imprenditori è un "fenomeno di gravità e pericolosità pari se non maggiore di quella degli sbarchi di clandestini sulle nostre coste. Mentre è alta l'attenzione per il fenomeno degli sbarchi - sostengono gli artigiani - non se ne rileva altrettanta per gli effetti devastanti derivanti della sostituzione in atto dei contoterzisti italiani con quelli cinese".
Confartigianato ha riassunto il fenomeno in un sintetico Dossier, che alleghiamo, nel quale viene indicato che al 31 dicembre 2008 nella Marca si registravano 10.695 imprenditori stranieri. Alla stessa data del 2009 se ne contavano 131 in più. Di questi i titolari cinesi nel 2008 erano 803 e nel 2009 sono passati a 866.
Eri alla conferenza è anche emerso che le etichette di grandi griffe della moda sequestrate di recente in varie operazioni delle Fiamme Gialle all'interno di laboratori gestiti da personale cinese "sono tutte originali". Lo ha detto il comandante provinciale della Guardia di Finanza di Treviso, Claudio Pascucci.
La conferenza stampa di ieri era stata convocato per presentare un'iniziativa di collaborazione sistematica fra le Fiamme Gialle provinciali e l'associazione artigiana al fine di poter individuare meglio le sacche di illegalità all'interno di laboratori del tessile abbigliamento e della calzatura intestati a immigrati dell'estremo oriente.
"Se molti contoterzisti ricorrono ai laboratori cinesi - ha rilevato Pascucci - si tratta nella maggioranza di casi di piccole aziende italiane, forse anche iscritte a Confartigianato, che riescono a spuntare a minor prezzo una lavorazione da eseguire per un committente. Sarà scorretto ma é comprensibile, e noi dobbiamo operare con gli strumenti dei codici, non con quelli dell'etica".
Il comandante ha spiegato come le grandi aziende della moda si rivolgano spesso ai loro fornitori abituali chiedendo l'esecuzione di un certo numero di capi attraverso 'contratti blindati' che sollevino i committenti stessi da responsabilità connesse all’eventuale irregolarità della lavorazione per il confezionamento del prodotto finito richiesto.
I laboratori cinesi, a cui questi fornitori spesso si rivolgono per appaltare a loro volta operazioni sugli stessi capi, hanno di norma il vantaggio di essere più competitivi rispetto ad altri soggetti dello stesso settore italiani. Secondo le Fiamme Gialle, inoltre, almeno nel trevigiano, gli imprenditori orientali commettono irregolarità in termini di evasione fiscale e contributiva ma nella maggior parte dei casi operano attraverso lavoratori censiti e in possesso di permesso di soggiorno, i quali si accontentano di retribuzioni minime per operare molte ore al giorno.
"Questi operai li abbiamo sempre trovati mansueti e grandi lavoratori - ha concluso il comandante - e a volte gli stessi titolari si vedono pure truffati da committenti italiani che non li pagano".