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04 ottobre 2024

Conegliano

"Meglio lavorare in Francia, dove c’è rispetto per la libertà di stampa"

Intervista al documentarista coneglianese, ma parigino d’adozione, Gianni Collot. Il suo lavoro l’ha portato in tutto il mondo. Attualmente si sta occupando per FranceTV del conflitto tra Russia e Ucraina

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Gianni Collot

Ha un cognome nostranissimo (il papà era di Godega), ma la sua vita e la sua attività di documentarista e regista l’ha svolta soprattutto a Parigi.

Gianni Collot – che ha vissuto per diversi anni a Conegliano, dove tuttora vive la mamma - si è dedicato al cinema da giovanissimo, folgorato da Star Wars. Poi la realtà, l’attualità, piuttosto che la fantascienza è stata al centro della sua professione di filmaker. Immigrazione, inclusione, disuguaglienze, e in generale la cultura underground, le tematiche che ha affrontato con i suoi video, collaborando con testate importanti come Le Monde. Ora, per FranceTV, sta preparando un documentario sulla diplomazia francese e su come questa stia agendo rispetto alla guerra in Ucraina.

Gianni Collot, nasce a Montreal, in Canada, nel 1966. A due anni si trasferisce in Italia dove si ricongiunge con i propri parenti, prima a Belluno, luogo d’origine della madre, e poi a Conegliano, dove uno zio gestiva un ristorante Le Betulle. Il padre invece era originario di Godega di Sant’Urbano. A 8 anni il ritorno in Canada, dove resterà per 17 anni prima di trasferirsi a Parigi e riunirsi alla sorella maggiore.

Come mai ha scelto la Francia?

A Parigi, lavorava mia sorella lavorava già per una compagnia telefonica. A dire il vero verso l’inizio degli anni ‘80 saremmo dovuti tornare in Italia, ma la morte di mio padre, nell’81, ha bloccato tutto e ognuno ha deciso autonomamente. Una delle mie sorelle è partita per Parigi mentre l’altra è rimasta in Canada. In Francia ho cominciato a dedicarmi pienamente alla mia passione, il cinema e i documentari, lavorando al montaggio come free lance.

Quando comincia questa passione?

Comincia quando avevo undici anni, grazie alla saga di Star Wars (in particolare al primo episodio uscito nel ‘77), un colpo di fulmine. Il cinema costava poco e ci andavo spesso con i miei amici. All’epoca facevo degli studi di scienze, fisica, chimica, e una settimana dopo avevo già prodotto il mio primo cortometraggio. In famiglia non avevamo nessun tipo di legame con il mondo del cinema, anzi i miei genitori gestivano una pizzeria in Canada. La cosa che più mi ha colpito di Star Wars è stata l’innovazione che portava. Aveva un’immagine diversa dagli altri, era come vedere dei giocattoli, e per un piccolo bimbo come me era una cosa impressionante.

Come mai ha deciso di spostarsi ai documentari?

Principalmente perché nel cinema non trovavo lavoro. Ho dovuto adattarmi alla televisione che mi aveva offerto un ottimo contratto permettendomi di vivere in Francia. Nel frattempo ero cresciuto e diventato più realista, scoprendomi interessato ai documentari politici e sociologici. In più rispetto ad oggi, all’epoca era molto più difficile fare cinema, soprattutto a carattere fantascientifico, sia dal punto di vista tecnico che economico. Oggi con la tecnologia si può fare un film da casa, ai miei tempi era inimmaginabile. Ho deciso di trasferirmi in Francia, nonostante stessi ancora frequentando il terzo anno di università, e di rinunciare alla laurea.

Dopo essersi trasferito in Francia come si è evoluto il suo percorso lavorativo?

Dopo i primi anni nel montaggio, ho deciso di addentrarmi nel mondo dei documentari, lavorando come regista per un noto canale culturale francese e tedesco Arté. Avevo un programma che andava in onda una volta a settimana, Tracks, in cui mi occupavo di cultura underground, emergente all’epoca (cinema, musica, teatro soprattutto), quindi anni ‘90 e 2000. Me ne sono occupato fino al 2023, quando il canale ha deciso di cambiare direzione.

Tra i tanti che ho intervistato ricordo piacevolmente Oliver Stone o Samuel L.Jackson, seppur mi piacesse dare spazio anche a personaggi meno noti. Cercavo sempre di mirare al cinema di qualità.

Nei vari documentari mi sono inoltre occupato di immigrazione e inclusione.

Hai mai lavorato programmi culturali italiani?

No, per fortuna. Conosco e ho parlato con numerosi giornalisti e produttori italiani e quello che differenzia la Francia dall’Italia è soprattutto la libertà nel fare il nostro mestiere, la possibilità di non avere vincoli e limiti nel nostro ricercare e mostrare talvolta anche tematiche scottanti. C’è un grande rispetto per la libertà della stampa.

Ho lavorato per numerosi canali francesi, FranceTv, simile alla Rai italiana, Canal+, un canale privato. Ho lavorato inoltre con giornali nazionali come Le Monde, per cui ho prodotto due documentari sull’immigrazione.

A causa del suo lavoro immagino abbia girato parecchio...

Sì decisamente, ho girato tutta Europa e molti paesi extraeuropei, per esempio sono stato in Africa per il documentario sull’immigrazione. Abbiamo visitato Marocco e Algeria nel 2004.

Attualmente di cosa si occupa?

Ora lavoro per FranceTv, in cui mi occupo del loro programma politico. Stiamo preparando un film su Macron e la diplomazia francese, e su come si stia gestendo il possibile scoppio di una guerra. Con questo programma, che uscirà il 9 maggio in un documentario di 90m, siamo andati un po’ ovunque nel mondo. In India, Cina, andremo negli Stati uniti, Brasile e poi anche Ucraina, sempre con l’obiettivo di conoscere le relazioni internazionali della Francia e del suo presidente.

L’obiettivo principale è di capire se si sta preparando una guerra. L’idea è nata in seguito alle dichiarazioni di Macron di essere disponibile a spedire soldati in est Europa (Polonia, Estonia, e quei paesi maggiormente minacciati dall’invasione russa) per tentare di mettere un punto a questa guerra, tra la Russia e l’occidente, che dura ormai da troppi anni.

Possiamo dire che è un lavoro molto sperimentale, che ha l’obiettivo di rendere la politica qualcosa di appetibile ai giovani. Attraverso un programma e un metodo molto differenze dal metodo usato da altri, non con le solite musichette e il solito metodo comunicativo.

Lei crede che i giovani si stiano allontanando dalla politica?

Sì, rispetto ai miei tempi c’è una sempre minor attenzione alla politica, all’attivismo politico, e questo mi dispiace. Ma li capisco, non li condanno, quando ora vedi un politico non ti viene troppa voglia di votarlo e di conseguenza cala notevolmente l’interesse verso la politica, nazionale e internazionale, che però è qualcosa di molto importante per tutti noi che viviamo in delle società. Non possiamo, e non possono soprattutto i giovani, evitare di interessarsi a questi problemi.

Ha mai pensato a un ritorno alle origini, in Italia?

No, mai. Soprattutto perché non avrei le stesse opportunità che ho qui in Francia, dove il mio mestiere, e di tanti altri giornalisti, è riconosciuto e rispettato molto di più. C’è una enorme differenza anche nel tema della libertà di stampa. Per esempio qui, quando faccio i miei documentari politici metto della musica, faccio dei montaggi che mai potrei fare in Italia.

 

Filippo Tonello

 



 

 


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