MUOIONO I FAGIOLI
Stanno male e muoiono. Fagioli e fagiolini, da sempre coltivati nella Marca trevigiana e nel Bellunese, rischiano di sparire per sempre. E c’è chi lancia l’allarme: salviamo il fagiolo!
| Emanuela Da Ros |
TREVISO/BELLUNO – Non è (solo) colpa del caldo e della siccità. E’ colpa della “virosi” e degli afidi e – più in generale – di quelle modificazioni ambientali che avvengono, anche per colpa dell’uomo.
Stabilita la causa, parliamo dell’effetto: i fagioli rischiano la vita. La sopravvivenza. Nel trevigiano e nel bellunese (terra d’elezione di fagioli e fagiolini) nell’estate che sta per finire questi legumi hanno avuto la peggio. Sono cresciuti malati, imbastarditi, nani e senza frutti. A dirla tutta: non sono cresciuti affatto, tanto che se qualcuno dei lettori ha voluto o potuto acquistare fagioli nei negozi di ortofrutta si sarà reso conto che erano “d’importazione”. Che venivano per lo più dal Piemonte, dalla provincia di Cuneo.
La sorte del fagiolo, finora, ha messo in allarme soprattutto i coltivatori. Il gruppo “Coltivare condividendo” e l’associazione Dolomiti bio, in questi giorni, stanno diffondendo, via internet, social network e volantini cartacei un invito a non sottovalutare la morìa di fagioli e a conservare le rare sementi sane per evitare che specie millenarie di legumi prodotti in loco spariscano per sempre dalla geografia gastronomica delle nostre terre. Dopo essersi rivolti a tecnici e agronomi esperti, i coltivatori hanno appurato che i fagioli, nel 2012, sono stati contagiati da una virosi chiamata “mosaico comune”: una patologia già presente che quest’anno ha avuto un accelerazione improvvisa quanto letale.
“La malattia – spiega il gruppo Coltivare condividendo - si è manifestata in vari modi: foglie deformate, più piccole del solito, con decolorazioni che ricordano le tessere di un mosaico; nanismo della pianta; aspetto cespuglioso; accartocciamento e bollosità delle foglie. Le piante ammalate rimangono vive ma improduttive e possono deperire fino a seccare (caso non raro quest’anno)".
Quale è la causa di diffusione di questo virus? Il virus si propaga da un anno all’altro attraverso la semente infettata, il più delle volte raccolta inconsapevolmente dai coltivatori da piante ammalate che non hanno saputo riconoscere come tali. Infatti, spesso il seme non manifesta anomalie rispetto alle caratteristiche ritenute normali ed è questo che inganna quei coltivatori che selezionano la semente da usare l’anno che verrà solo considerando le caratteristiche estetiche del seme sgranato e non anche lo stato di salute della pianta-madre. La riproduzione ripetuta di piante nate da semi malati porta a un progressivo decadimento genetico delle coltivazioni che, di anno in anno, perdono vigore e produttività. (già nel 2011 la situazione era evidente sul fagiolo di Lamon, e tutti ne abbiamo sottostimato la rapidità di diffusione).
Ad aumentare la diffusione del virus ha contribuito in maniera decisiva una massiccia presenza di afidi che quest'anno hanno sviluppato dense colonie sulle coltivazioni e poi, disperdendosi di orto in orto, hanno trasmesso la malattia a numerose piante che prima erano sane, incrementando in modo significativo la percentuale di piante di fagiolo infette. E’ cosa ben nota che l’afide sia il più potente vettore della virosi del Mosaico Comune del fagiolo e quest’anno ha impartito un’accelerazione alla diffusione della virosi che già, nella trasmissione per seme, era esponenziale
Una soluzione? Tra le azioni concrete c'è innanzitutto l' avere cura delle sementi: è indispensabile riprendere l'antica abitudine di accantonare la semente, due o tre volte superiore a quella che si usa di solito.
Molto importante è anche andare nei campi e segnare tutte quelle piante che non manifestano i sintomi della virosi (anche se ciò non significa che siano sane) e proteggerle dagli attacchi degli afidi (con tecniche biologiche). E' importante non prelevare sementi da piante malate.
E diventa indispensabile un azione diffusa e capace di recuperare vecchi saperi e acquisire nuove tecniche di coltivazione (in programma la sperimentazione di tecniche biodinamiche o omeodinamiche ) e riproduzione affinché questo enorme patrimonio di biodiversità non vada perso. La morìa di fagioli, come si è accennato, ha interessato anche la marca trevigiana.
“Personalmente - spiega Luciano De Biasi, residente in Vallata - ho seminato 7 diverse varietà antiche di fagiolini rampicanti, in posti diversi perché non si “imbastardissero”, e (forse) riuscirò a salvare solamente 2 varietà sperando che producano qualche baccello buono per la semente. Il rischio però è la perdita irrimediabile di varietà antiche da sempre diffuse nei nostri orti. Ciò che è capitato quest’anno non ha riscontro a mia memoria. Un vero disastro generalizzato diffuso dappertutto dove ho chiesto informazioni.”