“Le parole possono far male: ferite non visibili ma difficili da rimarginare”
EDITORIALE - Nella Giornata contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia qualche doverosa riflessione sull’importanza dell’utilizzo consapevole delle parole
| Manuel Trevisan |
EDITORIALE – Oggi, lunedì 17 maggio, è la Giornata Mondiale contro l'omofobia, la bifobia e la transfobia.
Questa Giornata, istituita nel 2004 con l’obiettivo di promuovere eventi nazionali e internazionali di sensibilizzazione sulla tematica, oggi più che mai deve avere larga risonanza nel nostro Paese: la discussione sul Ddl Zan, infatti, è stata la grande protagonista nel dibattito pubblico dell’ultimo periodo.
Il disegno di legge dell’onorevole Zan, in linea con quanto si celebra oggi, ha come obiettivo quello di “prevenire e contrastare le discriminazione e la violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere e sulla disabilità”.
Un disegno di legge che diventa necessario in un Paese in cui ancora troppi si rivelano i casi di discriminazione legati all’orientamento sessuale – si ricorda quello drammatico della 22enne Malika – ma che sta trovando le resistenze di alcune parti politiche.
Senza entrare nei dettagli tecnici della legge, porre l’accento sulla necessità di creare una cultura inclusiva volta ad eliminare le discriminazione è utile, soprattutto in un paese come l'Italia dove ogni 3 giorni si registrano aggressioni omofobe.
Per riuscire in questo difficile cambio di paradigma, è necessario iniziare a comprendere che le parole hanno un peso e che non vanno utilizzate con leggerezza o in modo inconsapevole, che non basta “riderci su” - come si è cercato di far passare in qualche recente trasmissione televisiva.
Le parole hanno il potere di definire, di creare realtà, pertanto vanno scelte con cura. Ed è per questo che è fondamentale una legge che vada a regolamentare non ciò che si può pensare – come alcuni sostengono erroneamente – bensì il fatto che la libertà di espressione non possa in alcun modo travalicare, con le parole, il confine della discriminazione e della violenza.
L’intervento di Fedez al concertone del primo maggio che ha creato tante polemiche, ha avuto il merito di mettere in risalto proprio questo cruciale aspetto: l’utilizzo leggero delle parole discrimina, crea un muro invalicabile tra “noi” e tutto ciò che non si vuole includere in “noi”.
E quindi, finché non si approverà una legge inclusiva e di civiltà, frasi come quelle di seguito riportate non solo rimarranno impunite, ma anche accettate: "se avessi un figlio gay lo brucerei nel forno", "i gay sono una sciagura per la riproduzione", "il matrimonio gay porta l'estinzione della razza".