25 Aprile: Festa della Liberazione
Data fondamentale nella storia vittoriese
VITTORIO VENETO – Purtroppo il coronavirus ha interrotto, dopo 74 anni, una festa popolare, che affonda le radice nel ricordo delle due grandi guerre mondiali, le cui conclusioni sono indissolubilmente legate a questo territorio. Lo ricordò esplicitamente l’anno scorso il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il primo Presidente che in veste di Capo dello Stato ha visitato la Città, salutato con grande entusiasmo popolare, dapprima al Teatro “Da Ponte” e successivamente lungo le vie cittadine, mentre si recava a visitare il Museo della Battaglia.
Questo il primo passaggio del Presidente: “Sono davvero lieto di essere a Vittorio Veneto, per celebrare qui la Festa della Liberazione, in questo luogo simbolo caro all’Italia, che vide i nostri soldati segnare la conclusione vittoriosa della Prima guerra mondiale, sancendo così il compimento dell’unità territoriale italiana. Unità territoriale che corrispondeva all’unità morale e spirituale dell’Italia, all’aspirazione a una Patria libera e indipendente... Festeggiare il 25 aprile – giorno anche di San Marco - significa celebrare il ritorno dell’Italia alla libertà e alla democrazia, dopo vent’anni di dittatura, di privazione delle libertà fondamentali, di oppressione e di persecuzioni. Significa ricordare la fine di una guerra ingiusta, tragicamente combattuta a fianco di Hitler. Una guerra scatenata per affermare tirannide, volontà di dominio, superiorità della razza, sterminio sistematico”.
Il 25 aprile del 1945 nasceva dalle rovine della guerra e l’ Italia si proiettava verso la Costituzione, figlia del referendum popolare, che privilegò la Repubblica, anche per prendere le distanze da una Monarchia, che non era stata in grado di fermare il Fascismo. Il Presidente Mattarella metteva in luce come:”Nel tessuto sociale del Veneto, permeato dalle cooperative di braccianti e dalle leghe contadine, la Resistenza germogliò dal basso in modo pressocché spontaneo: gruppi di cittadini, spesso guidati dal clero locale, che cercavano di mettere in salvo prigionieri alleati, perseguitati politici, ebrei e chi voleva sfuggire all’arruolamento nell’esercito di Salò o alla deportazione in Germania. Spicca, nel territorio del Vittoriese, la personalità di don Giuseppe Faè, parroco di Montaner, vero cappellano dei partigiani. Arrestato insieme a collaboratori e familiari e condannato a morte, scampò alla fucilazione per intervento del Vescovo. Ma la sorella Giovanna, deportata in un lager nazista, non fece più ritorno. Attorno a don Faè muovono i primi passi coloro che diventeranno i capi partigiani di questa zona: Ermenegildo Pedron, detto “Libero”, Attilio Tonon detto “Bianco” e dal giovane sottotenente degli alpini Giobatta Bitto, detto “Pagnoca”, che agirono soprattutto nella zona del Cansiglio”. Durante il discorso ufficiale Mattarella volle “ringraziare la signora Meneghin per il suo appassionato intervento.
E la ringrazio ancor di più per il coraggio dimostrato in quegli anni terribili della guerra partigiana. Concordo con lei: per la Resistenza fu decisivo l’apporto delle donne, volitive e coraggiose. In Veneto furono staffette, ma anche combattenti. Su di loro, se catturate, la violenza fascista si scatenava con ulteriore terrificante brutalità, come le sopravvissute raccontarono del trattamento della banda Carità, un gruppo di torturatori di inaudita ferocia che aveva sede presso Villa Giusti a Padova. Ne abbiamo già ricordate alcune e tante altre giovani venete di allora andrebbero citate per quanto hanno fatto, per il loro impegno. Per tutte ricordo Tina Anselmi, con cui ho avuto l’opportunità e l’onore di lavorare a stretto contatto in Parlamento”.