Carpaccio, il piatto per l’estate
Semplicissimo, gustoso, molto digeribile. Ecco la storia. E la ricetta originale
TREVISO - Ecco un piatto semplicissimo e straordinario, diffuso ormai in tutto il mondo, di cui tuttavia si conosce molto poco la storia o la si ignora completamente.
Si sa che questa preparazione è nata casualmente nel 1950 a Venezia, all’Harry’s Bar di Giuseppe Cipriani, che era allora il locale più famoso della città, frequentato, soprattutto per l’aperitivo o a metà pomeriggio, dai diversi patrizi, ricchi turisti e dagli ospiti più illustri della città dogale, come Ernest Hemingway, Peggy Guggenheim, George Braque, la sarta di Greta Garbo Valentina Schlee, il barone Filippo de Rothschild, oltre ad attrici e attori che arrivavano sul finire d’ogni estate per il Festival del Cinema.
Una sera, d’estate di quel 1950, dopo essere stata a teatro, entrò all’Harry’s la nobildonna veneziana Amalia Nani Mocenigo e chiese di poter mangiare. Allora, oltre che bar, il locale era anche, da un po’ di tempo, raffinato ristorantino per pochi, sapientemente curato dal cuoco Enrico Caniglia. Giuseppe Cipriani guardò l’orologio e rispose alla nobildonna che era tardi, che il cuoco – allora si chiamavano così, non ancora pomposamente chef, alla moda francese – era già uscito, ma Amalia Nani Mocenigo, conosciuta e stimata da tutta Venezia, insistette, precisando che il dottore le aveva ordinato di mangiare carne cruda, per cui paron Giuseppe poteva fare da solo senza dover ricorrere al cuoco.
“Signora contessa, le rispose garbatamente Cipriani, vado in cucina a vedere se c’è qualcosa.”
Giuseppe andò in cucina, aprì il frigo e trovo un pezzo di sottofiletto di manzo. Lo prese, lo tagliò a fettine sottilissime, come fossero fettine di prosciutto, le dispose su un piatto di portata, ne levò accuratamente i nervetti. Prese quindi la ciotola della salsa universale, cioè usata per tutte le preparazioni – maionese, Worcester e un po’ di latte – e, col cucchiaio intinto nella ciotola lasciò cadere delle gocce di quella salsa, che era abbastanza chiara, sulla carne. Attese che la carne prendesse la temperatura ambiente e uscì dalla cucina portando il piatto alla nobildonna che iniziò a gustarlo.
“Che bon, Bepi, che bon ‘sto piatto. Come si chiama, perché lo voglio ordinare quando torno.”
Giuseppe Cipriani era perplesso e non sapeva cosa rispondere: quel piatto l’aveva fatto al momento per accontentare la nobildonna che voleva carne cruda, ma Amalia Nani Mocenigo insistette.
Fortuna volle che alle spella della contessa fosse appesa una locandina che pubblicizzava la grande Mostra di Vittore Carpaccio che si teneva in quel periodo a Venezia alle Gallerie dell’Accademia.
Nella locandina c’una la riproduzione d’un quadro riguardanti le Storie di Sant’Orsola e precisamente la Predica di Santo Stefano, tela conservata al Louvre di Parigi, ma presente nella mostra veneziana. Cipriani guardò il quadro, vide che il Santo e chi l’ascoltava indossavano quasi tutti abiti di color rosso, proprio come la carne sul piatto della contessa.
“Si chiama carpaccio, signora contessa”, disse tutto d’un fiato, e aggiunse: “Questa è la prima volta che lo preparo da me e mi scuso se la servo senza che ci sia il cuoco.” “Bravo Bepi – concluse la nobildonna gustando la carne – ti chiederò sempre carpaccio, davvero delizioso!” Giuseppe Cipriani, vista l’approvazione ottenuta dall’esigente nobildonna, fece subito includere nella lista dei piatti anche il “carpaccio”, dopo che la ricetta era stata perfezionata dal suo cuoco, Enrico Caniglia. Dopo quella sera la storia ci ha riservato altre soprese, infatti, da qualche decennio col nome “carpaccio” non si intende più solo la ricetta originale (quella perfezionata da Canglia), che riportiamo qui sotto, ormai quasi totalmente ignorata, ma qualsiasi preparazione, di carne, di pesce e di frutta, purché cruda o quasi (anche marinata), tagliata a fette molto sottili e arricchita da una salsa qualsivoglia o da un liquore (come nel caso del “carpaccio d’ananas”).
La ricetta originale
Ingredienti e dosi per 6 persone: 1300 g circa di controfiletto di manzo giovane, che si riducono a 650 o poco più dopo averlo pulito, sale. Per la salsa: 185 ml di maionese fatta in casa con 1 tuorlo d’uovo, 1 cucchiaino di succo di limone fresco (o 1 cucchiaio di aceto di vino), una puntina di senape, olio extravergine di oliva, quindi 1 -2 cucchiai di salsa Worcester a piacere, 2-3 cucchiai di latte, sale, pepe bianco macinato fresco
Preparazione: pulisci il pezzo di carne togliendo ogni traccia di grasso, ogni nervetto e cartilagine, ottenendo così un piccolo cilindro di carne tenera da conservare in frigorifero.
Una volta ben fredda, usando un coltello molto affilato, tagliala a fettine sottilissime. Sistema le fettine su sei piatti da insalata, coprendone interamente la superficie. Sala leggermente la carne e poni i piatti in frigorifero per almeno 5 minuti. Intanto prepara la salsa, dapprima la maionese, versando un tuorlo d’uovo in una scodella, aggiungi 1 cucchiaio di aceto di vino (o 1 cucchiaino di succo di limone), una puntina di senape, un pizzichino di sale e pepe, frullando fino ad amalgamare bene il tutto. Versa un po’ di olio a goccia, facendolo ben incorporare in modo da formare un’emulsione e aggiungi un po’ di latte, mescola bene e aggiusta l’insaporimeto sia di sale che di pepe che di salsa Worcester, oppure aggiungendo un po’ di succo di limone.
Togli ora i piatti dal frigo, poi intingi varie volte un cucchiaio nella salsa e con questa disegna sul carpaccio, facendola gocciolare, un quadro astratto a piacere, alla moda di Kandinskij, come ha scritto Arrigo Cipriani, il figlio di Giuseppe, attuale proprietario dell’Harry’s Bar in Calle Valleresso a Venezia..
Preparato così, il Carpaccio è pronto per essere gustato nella sua bontà e nella sua purezza, senza aggiunte estranee, come rucola e scaglie di grana, che nulla hanno a che vedere con lo splendido piatto di Giuseppe Cipriani, che, da vero interprete della cultura gastronomica veneziana, con pochissimi ingredienti ha prodotto un piatto divenuto presto famosissimo.
E la carne, come diceva Cipriani, deve essere ben frollata e servita cruda, assolutamente non marinata (la marinatura servirebbe a coprire i difetti della carne). In tal caso si avrebbe un piatto eretico che conviene rimandare in cucina.
Giampiero Rorato