Conegliano, lezioni di osteria
Viaggio storico-sentimentale tra le osterie di Conegliano. Tra locali antichi, rinnovati e riscoperti, la tradizione ha vari volti ma due costanti: un bicchiere di vino e le storie che ha da raccontare chi lo serve
| Fabio Zanchetta |
CONEGLIANO - Andare per osterie a Conegliano è una tradizione tanto antica che c’è chi pensa che sia vecchia quanto la città stessa, e forse non ha tutti i torti: tra un’ombra e un cicchetto, tra una ciacola con l’oste e una partita a carte, le storie che si sono consumate e poi raccontate in questi luoghi a volte vanno talmente indietro nel tempo da essere diventate materia degli studiosi.
___STEADY_PAYWALL___
Quella che forse è la storia più antica di un’osteria coneglianese risale addirittura alla seconda metà del Quattrocento: un religioso domenicano di nome Felix Faber (noto anche come Felix Schmidt) intraprende un lungo viaggio verso la Terra Santa e lascia un diario dell’esperienza, raccontando, tra le altre cose, le città e i villaggi che visita lungo la strada. Tra questi incontra un luogo che sembra quasi uscito da un racconto fantasy: Hunglim, un possente borgo fortificato costruito a ridosso di un colle coronato da un castello, circondato dagli ulivi e noto, tra le altre cose, per i buoni vini che si servono nelle sue numerose osterie. Il religioso passa la notte proprio in una di queste, l’osteria “del tedesco”, detta anche “ osteria al bo’ ” per le ricche pitture sulla facciata che rappresentavano decorazioni vegetali e appunto un bue, e lascia un dettagliato racconto dei borghi che visita, della società del tempo e pure degli esercizi in cui sosta a consumare pietanze e bevande locali.
Hunglim era ovviamente la Conegliano medievale, e l’osteria in cui soggiornò Felix Faber e le sue pitture sono incredibilmente ancora visibili: si tratta della Casa del Re di Cipro in via Madonna, uno dei palazzi più suggestivi del centro della città, e ora una residenza privata. Nel suo diario di viaggio il religioso svizzero aveva inavvertitamente anticipato un genere letterario che a Conegliano, e più in generale nella Marca Trevigiana, avrebbe avuto fortuna qualche secolo dopo: quello del racconto del territorio attraverso i quartieri più vissuti e le osterie che vi sorgono, con tutte le storie incredibili che custodiscono come uno scrigno. Un po’ guide e un po’ libri di storia, i testi di Mario Anton Orefice, Luigino Baldan, Pino Zardetto e Marco Gottardi, solo per citarne alcuni degli autori che hanno trattato l’argomento in tempi recenti, hanno salvato questo patrimonio di racconti, quasi sempre trasmessi per via orale e all’interno di famiglie e circoli di amici, proprio in un momento in cui la tradizione delle osterie stava per abbandonare le umili origini e diventare vero e proprio brand internazionale attraverso il successo commerciale del prosecco e il riconoscimento Unesco delle nostre colline. Molti dei locali che definiamo oggi “tradizionali” hanno una storia alle spalle che può andare indietro anche di oltre un secolo, quando la civiltà contadina non era ancora tramontata e i luoghi di sosta e ristoro erano legati a lavori usuranti che oggi facciamo fatica ad immaginare. Lungo le principali vie di comunicazione c’erano ad esempio dei veri e propri caravanserragli, dotati di stalle per i cavalli e alloggi per i viaggiatori sfiniti: l’osteria era inevitabilmente legata a questi servizi essenziali.
A sud-ovest, lungo la Pontebbana e in direzione Susegana, fino alla seconda guerra mondiale c’era ad esempio l’antica trattoria “Alla Bibi”, dotata di alloggi e stalle, mentre dalla parte opposta della città, lungo la statale Alemagna e in località Menarè, si trova oggi il Bar “2 Osterie”, a ricordo di un tempo, circa fino ai primi decenni del secolo scorso, in cui c’erano veramente due osterie, una per senso di marcia, che erano anche stazioni di posta per il cambio dei cavalli. Appena fuori dalle mura del centro, davanti a Porta Monticano e sulla strada un tempo frequentatissima che porta al felettano, è rimasto aperto fino alla fine del 2020 lo storico Caffè Puntiglio, uno degli esercizi più antichi e longevi della città (come ricorda ancora un cartello davanti alle vetrine ora vuote, fu aperto nel 1880), che negli anni d’oro trovò la sua fortuna diventando una sosta obbligata per chi arrivava a Conegliano dalla zona di Tarzo e dei laghi di Revine. Lì di fianco si trova uno dei locali tradizionali per eccellenza del coneglianese: l’Osteria Do Spade, da non confondere con l’omonimo bacaro veneziano, che assieme all’Antica Osteria alla Sorte è probabilmente il luogo prediletto in cui oggi amano farsi fotografare i “vip” di passaggio in cerca di un angolo genuino di trevigianità. Poco distante, l’attuale piazza IV Novembre era conosciuta, fino ai primi decenni del Novecento, come Piazzale delle Pecorelle perché qui si teneva il mercato degli ovini, mentre piazzale San Martino, sulla riva opposta del Monticano, era l’antico Foro boario ed era destinato al mercato dei bovini. Ovviamente nel quartiere non mancavano osterie, in gran parte con servizi dedicati ai mercanti di bestiame: c’era l’Osteria Foro Boario che aveva delle stalle, mentre la vicina Verga d’Oro (dove ora c’è l’Osteria Ripasso) aveva una pesa pubblica. E anche se oggi sembrano quasi del tutto scomparsi a causa delle ristrutturazioni, fino a qualche anno fa non era difficile trovare ancora sui muri degli edifici degli anelli su cui un tempo si legava il bestiame. In zona c’era anche il macello pubblico: era al di là del sottopassaggio ferroviario, nell’area verde lungo via Nazario Sauro dove poi sarebbe stata costruita la vecchia stazione dei vigili del fuoco. I mercanti che se ne servivano venivano accolti solitamente da altre due osterie, ancora oggi esistenti: la Trattoria Piave e il Bar Italia (oggi conosciuto più comunemente come “Dalla Ciana”), collocate ai due lati opposti del piazzale S. Antonio, dove un tempo si esibivano periodicamente i circhi equestri. Ma fin dal loro aspetto questi esercizi rivelano già un momento successivo della storia dei locali coneglianesi, in cui l’economia agricola stava lasciando velocemente spazio a quella industriale e le osterie ai bar: dai banconi di legno e i soffitti rustici con travi a vista ai pavimenti alla veneziana, le tende a perline e i banconi di metallo e plastica. Dagli agricoltori di passaggio agli operai a fine turno. In questa svolta a suo modo epocale, che possiamo collocare a grandi linee negli anni del boom economico, la tradizione si rivela fatta di tanti bivi, in cui alla fine ognuno segue una strada a seconda della propria storia, dei propri gusti e ovviamente dell’opportunità del momento.
La storia dell’Ostaria al Contadino in via Matteotti è in tal senso esemplare nella sua unicità. L’esercizio attuale fu aperto nel ‘52, ma precedentemente doveva esserci un’osteria costruita addirittura nell’Ottocento, quando quella zona era ai margini della città e attorno c’erano praticamente solo campi, a parte il cimitero di San Giuseppe. Un luogo di sosta per agricoltori e mercanti provenienti dalla Bassa, e ogni tanto meta di chi tornava da un funerale e si fermava a brindare in onore del defunto, secondo una tradizione contadina dalle sfumature pagane. Poi furono costruite le Fornaci Tomasi e la fabbrica di macchine enologiche Padovan, cambiando clientela e volto del locale che, al giro di boa degli anni Cinquanta, iniziò la nuova vita come locale tipico dell’epoca. Fino al 1997, quando la nuova gestione della famiglia Basso scelse di voltare pagina ritornando alle origini. “Quando i miei genitori hanno preso questo posto hanno deciso di recuperare l’osteria che c’era ancora ma era nascosta sotto un locale tipico degli anni Cinquanta. Hanno praticamente fatto una ristrutturazione in levare”, spiega Federico Basso, figlio di Mina e Tiziano che da venticinque anni gestiscono il locale. “Poi a partire dal 2006 ho iniziato a lavorare anche io nell’attività di famiglia – prosegue Federico – e ormai abbiamo una tradizione nostra consolidata, tra ricettario e impostazione del locale, che ci portiamo dietro cercando però di innovare sempre qualcosa. In questo modo abbiamo una clientela molto varia, dai tipici anziani che passano il pomeriggio a giocare a carte alle famiglie, passando anche per i giovani che vengono qui a prendere l’aperitivo”. La storia delle osterie è infatti spesso anche la storia di intere generazioni di famiglie che portano avanti non solo un’attività ma anche un’idea di locale e un patrimonio di esperienze maturate sul campo. Dal 1964 al 2018 la Trattoria Stella in piazza Cima è stata condotta dai fratelli Luigi e Amelia Silvestrin: cinquantaquattro anni, da poco prima che il regista Pietro Germi decidesse di girarci delle scene del suo celebre “Signore & Signori” a poco prima della pandemia, spesi tra le stesse mura sviluppando un ricettario che, negli ultimi decenni di attività, era ormai conosciutissimo e molto apprezzato in città. E prima di loro un’altra gestione, altrettanto indimenticabile: quella di “Molotov”, oste di note tendenze comuniste (da qui il soprannome) che, secondo un’incredibile aneddoto che si racconta in città, nell’osteria era solito organizzare riunioni con il parroco del Duomo, la maîtresse della casa di tolleranza e il farmacista Dalla Zentil per decidere quanto destinare in beneficenza ai bambini più bisognosi della città.
Tre generazioni per ben sessantotto anni di attività sono quelli invece della famiglia Vicentini, che gestiscono il Bar Genny in viale Istria, orgogliosamente legato alle proprie origini di locale nato nel ‘55, principalmente al servizio della Zoppas. Attorno alla rotonda tra viale Istria, via Pittoni e via Battisti oggi tutto è praticamente cambiato rispetto settant’anni fa, a parte una villa liberty che è lì dall’inizio del secolo scorso, l’ansa del Monticano e, appunto, il locale della famiglia Vicentini. Inizialmente questo era noto come “Dalla siora Ema”, che prima di tutti gestì questo bar e lo apriva sette giorni su sette dalle 4:45 alle 2:15, ovvero tutto il tempo necessario per accogliere prima e dopo i rispettivi turni gli operai della Zoppas, a cui anche riscaldava a bagnomaria il pranzo portato dentro le gavette di metallo. Poi la gestione passò a Ester, madre di Genny e Michele che a loro volta presero in mano il bar negli anni Ottanta, quando ormai la storia della fabbrica nata lì di fronte si era esaurita. A quel punto il locale iniziò prima a specializzarsi in pranzi per lavoratori, e poi, a partire dagli anni Novanta, a diventare uno dei luoghi di punta dei venerdì sera coneglianesi, tra dj set, concerti e aperitivi lunghi. Un lungo percorso di trasformazione, di pari passo con quanto stava avvenendo in città, con due costanti: puntare fin da subito su un’ampia selezione di vini pregiati e salvare l’arredo originale, mantenendo pressoché intatta quell’atmosfera che respiravano gli operai della Zoppas nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma oltre alle storie che continuano e si rinnovano, a Conegliano ci sono anche nuovi capitoli che vengono scritti, come ha dimostrato la nuova gestione dell’Osteria Antica Guizza in via Costa Alta, iniziata nel corso del 2021 dopo un’importante ristrutturazione che ha rinnovato completamente i locali di un altro esercizio frequentato dai coneglianesi da tempo immemore. Della storia secolare di questa osteria situata in una posizione straordinaria, con vista a sud sui colli e a nord sulle Prealpi, i meno giovani ricordano soprattutto la figura ormai mitica dell’oste Orfeo e il tour domenicale delle osterie che partiva dalla rocca del castello e passava per l’osteria alla Sorte, la Guizza appunto e si concludeva, se l’energia lo permettevano, all’Osteria di Collalbrigo. “La ristrutturazione è servita non solo a mettere a norma l’intera struttura – spiega Sandro Adorni, tra i giovani che hanno preso in carico la nuova gestione – ma anche a creare un luogo che rappresenti al meglio il territorio e sviluppi una cultura della sua valorizzazione”. L’idea è quella di prendere coscienza del cambiamento epocale che sta vivendo il nostro territorio e, senza dimenticare le origini delle tradizioni, trovarne una collocazione moderna, capace di trarre il meglio dei tempi che sono inevitabilmente cambiati. “La nostra tradizione si è sviluppata in zone che inizialmente erano povere – prosegue Sandro – e su quelle necessità ha formato le proprie caratteristiche, ma ora le cose sono cambiate, e quelli che per noi un tempo erano alimenti poveri ora per chi viene da fuori sono piatti ricercati, a cui dobbiamo dare la qualità che i turisti si aspettano”. La tradizione passa anche per il rinnovamento in alcuni casi, e così ecco che la Guizza, un tempo soprattutto l’angolo estremo attorno a cui i coneglianesi giravano mentre percorrevano le loro colline, ora ha preso la coscienza di essere anche una porta di ingresso per chi quelle colline le scopre per la prima volta.