Conegliano, il mondo perduto minacciato dalle ruspe
Un’impensabile riserva di biodiversità si è generata quasi spontaneamente nell’area delle ex Fosse Tomasi dopo decenni di abbandono, accogliendo anche specie protette
| Fabio Zanchetta |
CONEGLIANO - Da cave di argilla a laghetti amatissimi dai coneglianesi un paio di generazioni fa, da discarica di rifiuti urbani a riserva naturale spontanea che verrà presto cancellata per costruire il Parco del Prosecco: la surreale vicenda delle ex Fornaci e Fosse Tomasi non solo illustra alla perfezione il rapporto problematico di Conegliano con le zone industriali dismesse, ma anche quanta fatica faccia ad imporsi in città una visione moderna e sostenibile del territorio.
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Che li si osservi dalla prospettiva a volo d’uccello di un drone o li si attraversi facendosi strada tra i fitti arbusti che stanno a poco a poco sgretolando il suolo cementificato, i diciotto ettari di quest’area abbandonata appaiono come un mondo perduto riconquistato e ricostruito dalla Natura secondo le proprie regole. Dei gheppi, piccoli falchi, sorvolano quello che è ormai diventato il loro territorio di caccia alla ricerca di roditori e insetti, le loro prede naturali. In una dolina poco distante dalla fabbrica, alcune volpi hanno scavato le tane e si aggirano indisturbate tra le rovine industriali, dove si trovano ancora dei pregiati forni Hoffman che altrove sarebbero stati già da tempo musealizzati. Nelle fratture della famosa ciminiera, provocate da un fulmine che l’ha colpita nel 2020, pare abbia nidificato una famiglia di taccole, corvidi che amano trovare rifugio proprio negli anfratti degli edifici in rovina.
A nord, nella zona umida dell’ultimo laghetto rimasto, è stata avvistata più volte una coppia di nitticore, aironi dal manto bianco e grigio-blu inseriti come specie protetta nella Direttiva 2009/147/CE, la direttiva europea sugli uccelli selvatici che ne tutela non solo le specie a rischio ma anche gli habitat in cui queste vivono. La Convenzione di Berna del 1979 considera questi volatili, il cui nome scientifico è Nycticorax nycticorax, specie “rigorosamente protetta” al pari del lupo, della tigre e dell’istrice. Ma questi sono solo alcuni degli abitanti del bosco che Conegliano non ha ancora realizzato di possedere: si trovano donnole, ricci, tartarughe, anguille, lepri, nutrie, scoiattoli, una trentina circa di specie differenti di volatili e innumerevoli insetti, ognuno con il proprio habitat che in questi decenni è stato garantito, sembra incredibile, dall’immobilismo della città. E ancora più incredibile è il fatto che questa sorta di riserva naturale, costituitasi tra via Maggior Piovesana e via Matteotti, due delle principali arterie di traffico della parte orientale della città, poggia in buona parte sulla famigerata discarica, oggi interrata, che chi abitata in zona fu costretto a subire tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta. Un’infausta decisione delle amministrazioni dell’epoca che agli inizi degli anni Novanta finì persino in Parlamento, quando l’allora deputato della Lega Nord Fabio Padovan rivolse un’interrogazione al Ministro dell’Ambiente Giorgio Ruffolo, tuonando contro le discariche che “accerchiavano” il territorio di San Vendemiano e lo infestavano di miasmi.
Prima della discarica, una memoria cittadina che oggi sembra quasi un'utopia a chi non l'ha vissuta: l’area dismessa era totalmente privata ma di fatto considerata bene comune, con i “tre laghetti” (formati nelle cave di argilla dell’ex fornace e, pare, collegati per via sotterranea al canale Emanuele Filiberto) che per i coneglianesi erano diventati luogo di incontro e socialità, dove imparare a nuotare, andare a pesca e passare gli appuntamenti romantici. Chiusa la discarica, e con due dei laghetti trasformati in colline di rifiuti, l'area, ora in parte di proprietà comunale, comincia a vivere nel miraggio di unificare proprietà privata e pubblica nel solito “polmone verde” che viene tirato in ballo quando si parla di riqualificazione urbana. Solo che nel mezzo sorgerà appunto il nuovo “hub dell'agritech” chiamato Parco del Prosecco, con una cubatura importante che prevede addirittura una torre ben più alta della ciminiera dell'ex fornace, secondo i rendering presentati fino ad ora. Il comune, non disponendo dei fondi necessari per una bonifica completa dell'ex discarica, sceglie la via della messa in sicurezza del terreno attraverso il posizionamento di un “capping”, ovvero una serie di strati di tessuto tecnico e argilla impermeabilizzanti e relativi sfiatatoi per il biogas che si sta producendo sottoterra. Un primo importante intervento nel 2008 e un secondo iniziato questa estate, che però va a colpire una porzione di terreno che lo stesso comune, d'intesa con il Liceo Marconi, a partire dal 2010 ha utilizzato per un progetto scolastico che prevede la creazione di un bosco artificiale da parte degli studenti del liceo stesso, i cui risultati ora vengono spazzati via senza pensarci su due volte. Attraverso le parole di Francesco De Vido, il comitato Ubic, sorto spontaneamente nel 2020 a difesa dell'area naturalistica delle ex Fosse Tomasi, racconta come lo studio di questo caso particolare abbia aperto gli occhi a un nutrito gruppo di giovani in città sul rapporto tra natura e spazio urbano, e ammonisce sulla grande perdita di biodiversità che ne deriverà dall'apertura senza cautele di questi ennesimi cantieri.
Il vostro è un impegno di lunga data a favore delle ex Fosse Tomasi, come è iniziato tutto?
Alcuni di noi erano studenti del Liceo Marconi quando, nel 2010, fu lanciato il progetto Metabolè, d'intesa con l'allora amministrazione Maniero. L'obiettivo era sensibilizzare i giovani sui temi dell'impatto ambientale dei loro comportamenti e mettere in campo strategie per contenerlo. Una delle idee era quella di piantare degli alberi in città, oggi molto comune ma all'epoca all'avanguardia per una città come Conegliano. Fu individuato un ettaro nell'area pubblica delle ex Fosse e dato in gestione al Liceo: qui studenti e docenti, in momenti concordati col comune, potevano accedere per piantare delle piante, e alla fine si arrivò a un centinaio di esemplari. Poi nell'estate del 2020, quando iniziarono a circolare le notizie sul Parco del Prosecco, alcuni di noi, che non erano più studenti, hanno iniziato a confrontarsi sulla prospettiva di questo progetto che avrebbe travolto il bosco che avevamo contribuito a far nascere. Da lì è maturata una coscienza comune che ha portato a costituire il comitato Ubic, per poi studiare e catalogare prima che fosse troppo tardi tutte le specie animali e vegetali che nel frattempo avevano trovato rifugio nell'area.
Visti i progetti faraonici che stanno circolando sulla riqualificazione di questa e altre aree dismesse della città, sembra che queste siano diventate delle nuove miniere d'oro. Il vostro punto di vista sull'argomento?
Per queste aree si usa sempre una terminologia estremamente negativa che fa riferimento a degrado o assenza di significato: li si chiama soprattutto “buchi neri” o “bubboni da sanare”, ma la vicenda delle ex Fosse Tomasi dimostra che non sempre è così, e scavando nella memoria cittadina si trova magari la consapevolezza oggi perduta di certi luoghi che costituiscono un bene comune per la cittadinanza. I laghetti artificiali delle fosse erano quello che noi vorremmo ridiventassero: uno spazio di tutela ambientale e aggregazione sociale.
Perché questi legami intimi che un tempo si sono creati tra la cittadinanza e determinati luoghi vengono spesso e volentieri dimenticati?
Non credo ci sia una volontà precisa di cancellare parte della storia della città, ma di fatto il risultato è questo. Si sceglie sempre una direzione ormai anacronistica vissuta però ancora come la panacea di tutti i mali: la riedificazione di cubature immense senza che dietro ci sia un'idea precisa di cosa ci finirà dentro nel lungo periodo. Quando magari in centro città esistono già spazi come il Biscione che sono in parte vuoti e presentano ogni giorno enorme problematiche di gestione e degrado.
C'è un'idea molto innovativa per Conegliano in quello che dite: l'abbandono non porta solo degrado, ma nelle condizioni giuste può creare un grande valore.
Le ex Fosse Tomasi hanno vissuto una situazione unica nel suo genere, per cui un'area perfettamente rinchiusa nel tessuto urbano è rimasta quasi inaccessibile per quarant'anni, senza alcun disturbo esterno se non quello di qualche operaio e del nostro progetto scolastico. Questo ha portato alla creazione di una felice varietà di ecosistemi: si va dall’area umida del laghetto al canneto lì vicino, dal bosco spontaneo di salici, olmi, ontani al “nostro” bosco artificiale, passando anche per delle “praterie” sulle collinette già interessate dal capping. Tutto questo non lo si può semplicemente considerare erbaccia e sterpaglia, ma un vero e proprio caso di rinaturalizzazione di un ambiente fortemente antropizzato. Un’area dall’alto valore naturalistico e civico che ora verrà sconvolta da nuovi cantieri.
Come avete preso l’annuncio della rimozione del vostro bosco per realizzare un nuovo capping?
Capiamo l’importanza della messa in sicurezza, ma il modo in cui si è svolta la cosa è un tasto dolente per noi. Tredici anni fa il comune di Conegliano diede a degli studenti un ettaro di terreno per lavorarci e metterci letteralmente le mani, assicurandoci che non era interessato dai rifiuti. Ora questo nuovo capping sembra dimostrare il contrario. E poi c'è anche un significato educativo: quel progetto fu ideato per avvicinare i giovani ai valori della tutela ambientale, ora però a chi vi partecipò viene detto che tutto il loro lavoro verrà spazzato via per quello che sembra un errore di calcolo del comune stesso. E senza una qualche proposta compensatoria, anzi sembra quasi che il liceo Marconi e il comitato Ubic vengano percepiti come dei fardelli. In definitiva sotto la bandiera della tutela ambientale viene distrutto un habitat e scacciate le specie che si sono insediate senza trovare soluzioni alternative, insomma è un puzzle fatto di tante contraddizioni che non riesce a comporsi comunque lo si guardi.
Cosa rimarrà di questa esperienza? Magari qualche idea innovativa da sviluppare in città?
Questa vicenda poteva essere un’occasione per sperimentare una nuova forma di partecipazione civica, cosa che non viene mai considerata quando si parla di riqualificazione urbana. Già la formazione spontanea di un comitato per la tutela di un'area naturale può suggerire nuove forme di collaborazione nella gestione delle varie aree della città. Per esempio è emersa l’idea degli usi temporanei delle aree dismesse, come viene già fatto in città più grandi e moderne di Conegliano: è ora che sia amministrazioni che privati si rendano conto che l’abbandono totale e prolungato nel tempo porta solo a deperimento e perdita del valore, mentre la gestione temporanea può portare un minimo di manutenzione e coltivare la consapevolezza nella cittadinanza di alcune aree in attesa di riqualificazione.
Oltre le ex Fosse Tomasi il comitato Ubic ha un futuro?
Con questi nuovi cantieri che sembrano ormai inevitabili siamo orfani di uno spazio fisico a cui fare riferimento, ma stiamo già guardando oltre per portare la nostra esperienza in una vera e propria gestione di uno spazio cittadino dove coltivare la partecipazione sociale. Il passaggio obbligato è quello di costituirsi in associazione, poi ci piacerebbe ad esempio impegnarci nel Brolo del Convento di San Francesco, uno spazio differente in cui abbiamo già avuto contatti con la sezione coneglianese di Italia Nostra che l’ha avuto in gestione negli ultimi trent'anni.
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