L’arte oltre la siepe: la creatività di Matteo Cocomazzi
L'intervista all’architetto scultore
| Emanuela Da Ros |
VITTORIO VENETO - Una delle prime cose che gli chiedo è di toccare. Toccare la prima delle sculture che mi accolgono a casa di Matteo Cocomazzi. Sta proprio di fronte all’ingresso, davanti al campanello (scolpito anche quello, coi nomi di Matteo e della figlia Bianca), è di pietra bianca, levigata e lucente. Ed è bellissima.
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Non solo posso toccare, dice Cocomazzi. Lo devo fare. “Sai che idea ho per la testa da un po’? - riflette - Quella di creare una mostra d’arte per non vedenti. Sono convinto che l’armonia, la forma, la sinuosità di certe mie sculture si possano percepire e apprezzare soprattutto col tatto. E del resto è proprio una superficie perfettamente liscia, carezzevole, disciplinata al tocco che vado cercando quando creo.” Matteo Cocomazzi prima di fare lo scultore tout court ha fatto l’architetto. E l’insegnante al liceo Munari, quando quest’ultimo veniva istituzionalmente definito Istituto d’arte. E prima di tutto questo, quand’era un curioso ragazzino che viveva a San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, aveva lavorato in una falegnameria. Secondo Leonardo Da Vinci l’esperienza è il solo insegnante su cui possiamo confidare. E Matteo Cocomazzi è stato un buon allievo delle esperienze fatte.
Di quelle conosciute da bambino - in quella terra meravigliosa che è la Puglia - che avevano a che fare col legno, ma anche col mare, la natura, il sole e il gioco delle lame di luce su materiali più o meno refrattari al duello. Delle esperienze elaborate come studente di architettura a Venezia, la città dove si era trasferito a 19 anni, e di quelle ex cathedra, o meglio tra i banchi, dove soprattutto se si è un insegnante non si finisce mai di imparare e di sostenere l’esame più complesso: quello dell’incontro e del confronto coi ragazzi. L’arte scultorea Cocomazzi la pratica oltre la siepe. Espressione quanto mai inesatta (ma mi suonava troppo allettante per rinunciarvi), che però annuncia un lavoro di ricerca, indagine, scoperta che avviene dietro - o dentro - il sipario della natura. Il suo studio, una piccola costruzione di sassi (forse un ricovero per attrezzi riconvertito e restaurato per la nuova funzione), si trova in collina, in via Bibanel a Vittorio Veneto. Immerso nel respiro tranquillo di un paesaggio calibrato dall’intervento dell’uomo. Qui Matteo Cocomazzi progetta le sue sculture, le disegna, le carteggia e compie soprattutto i lavori di rifinitura, mentre all’esterno dello studio scolpisce i materiali utilizzati (legno di faggio, acacia, abete, okoumè; marmo, travertino, ferro, alluminio) con strumenti impegnativi, come l’accetta, la sega, il martello. “Per realizzare le mie sculture - spiega - prendo piccole parti del paesaggio. Le parti caduche, che la natura in qualche modo lascia in eredità: un ramo caduto, un sasso, un lacerto di tronco o corteccia. La natura, che è l’artista più brava in assoluto, ha già creato e a noi non lascia che tracce di ispirazione. E stimoli per fare. Che è una parola dal significato bellissimo e potente. Per me fare significa costruire e contribuire alla bellezza che ci circonda. Fin da ragazzo ho avvertito il fascino del costruire, da architetto ho capito che questa professione mi soddisfaceva perché in qualche modo mi permetteva di scolpire lo spazio. Ma è con la scultura che la creatività ha forse incontrato la dimensione imprescindibile della libertà.”
Libertà e armonia e benvivere si trovano nel parco-giardino che circonda lo studio ma soprattutto - poco distante da quest’ultimo - la casa di Matteo Cocomazzi. Un’abitazione che richiama i meravigliosi edifici rurali toscani, dove abita dal 1993. “Quella dove vivo trent’anni fa era una stalla col fienile. Un edificio rustico, immerso nel verde che però aveva già una bellezza intrinseca e promettenti soluzioni da adottare. Giorno dopo giorno ho progettato l’ambiente, lo spazio verde circostante e lo spazio interno, e rimboccandomi le maniche con l’aiuto di un muratore ho costruito la casa dei miei sogni. Una residenza su misura che ho interpretato anche come una galleria d’arte in divenire. Scherzando con gli amici dico che per visitare la mia casa bisognerebbe pagare il biglietto.” In effetti la dimora di Cocomazzi è apparsa anche sulla prestigiosa rivista Ville e giardini. Non solo per l’euritmia e l’eleganza degli ambienti, ma anche per gli arredi, disegnati e realizzati dallo scultore, che valorizzando gli spazi li animano. Oltretutto la casa si avvale di una tecnologia all’avanguardia per quanto riguarda la sicurezza e l’efficientamento energetico. Il caminetto, che è il cuore del salotto al primo piano e che viene alimentato con la legna degli alberi circostanti, è collegato ai termosifoni e riesce a distribuire uniformemente il calore. Nel progettare la sua casa Cocomazzi ha arditamente collocato le tre camere e uno dei bagni al piano terra mentre il salotto, l’ingresso, la cucina e la magnifica veranda sono al primo piano. Ogni dettaglio è armonizzato e collocato in modo che chi entra ha l’impressione di compiere un percorso: alla scoperta del bello e del sorprendente. “La scultura dev’essere sorpresa. E incanto - dice Cocomazzi. - Come lo è stata per me. Ho intrapreso il percorso scultoreo miniaturizzando l’ispirazione, realizzando piccoli pendagli da indossare coi materiali naturali che privilegio. Per caso, per intuizione, li ho inseriti in una bacheca e vi ho trovato il fulcro di un’idea che poi si è sviluppata in altre forme, in altre dimensioni, attraverso un colloquio con lo spazio abitativo e con quello paesaggistico. Le sculture, anche le più recenti, nascono soprattutto per un piacere estetico, e tattile come dicevamo. Spesso richiamano dei soggetti figurati, ma spetta al fruitore dell’opera trovare il significato in linea con la sua sensibilità. Realizzo un’opera per il piacere del fare, della scoperta, che spesso sta nello sguardo di chi osserva. E‘ la soggettività che nutre l’oggetto.”
La primigenia fonte di ispirazione? Forse le stele daunie risalenti all’età del ferro, tra il VII e il IV secolo a.C., che Cocomazzi aveva ammirato nel castello di Manfredonia: testimonianze di un’epoca lontanissima che però mantengono uno slancio espressivo in grado di travalicare i millenni, forse proprio per l’essenzialità e la purezza delle forme. Nella sua casa l’attenzione si declina in molteplici direzioni. Ma senza fretta. L’ampia vetrata del salotto incornicia la vallata vittoriese, dominata dal cielo azzurro o velato di umore acqueo e dal verde che - come diceva Andrea Zanzotto “penetra dall’alto nella città”. Una nutrita raccolta di cd, soprattutto jazz e classica, libri d’arte, di arredamento, di alimentazione (Cocomazzi è un ottimo cuoco e la cucina è realizzata per prerare accurate pietanze e ospitare cene tra amici), e un medagliere dicono molto - non tutto - di questo artista brillante. Per esempio che è stato un campione di maratona: ne ha corse 42 in Italia e all’estero (New York, Parigi, Praga…), conseguendo, a 53 anni, il primato che lo ha visto correre la maratona di Barcellona in 2.53. “Matteo Cocomazzi - scrive Paola Vacalebre nel catalogo dell’artista - dà origine al divenire delle forme con sensibilità da cui fa emergere sinuosità sottilmente allusive e una genuina visionarietà”: attenzioni che mirabilmente colpiscono lo sguardo…al tatto.