Resti (Iai): "Stabilità Sudan cruciale, è Paese di transito dei migranti verso Europa"
"Scontro aperto non conviene a nessuno, rischio implosione socio-economica"
SUDAN - La stabilità del Sudan "interessa molto al nostro Paese e all'Unione Europea" perché si tratta di un "Paese importante di transito per quanto riguarda le rotte della migrazione irregolare verso l'Europa" e "meno il Sudan controlla il proprio territorio, i propri confini, già molto porosi, più è probabile" che le crisi umanitarie nella regione, "con i flussi migratori annessi, si estendano facilmente al Nord Africa, all'Italia con le ripercussioni che già conosciamo". Parla così con l'Adnkronos Jacopo Resti, ricercatore junior allo Iai nell'ambito del Programma Mediterraneo, Medioriente e Africa, che tra il 2019 e lo scorso anno è stato United Nations Fellow in Sudan, da dove oggi arrivano le notizie del colpo di stato dei militari, passati poco più di due anni dalla fine dell'era Omar al-Bashir, nel mezzo di una faticosa transizione. "A livello regionale - osserva Resti - è una situazione che si aggiunge all'instabilità che già conosciamo nell'area". Il riferimento è alla Somalia, ma soprattutto alla vicina Etiopia, al Tigray, al Sud Sudan. "Troppe variabili incerte e aperte", dice l'esperto, che rileva "una situazione regionale già particolarmente instabile nel Corno d'Africa". A livello interno, Resti non vede "rischi di scontro aperto, di guerra civile" perché - dice con ottimismo - lo "scontro aperto non conviene a nessuno" e "prima o poi in qualche modo una formula che scontenti entrambe le parti allo stesso modo si troverà, presto o tardi si tornerà al dialogo". "Verrà favorito un nuovo accordo di transizione". Piuttosto il rischio è "l'implosione prima di tutto socio-economica" perché il Sudan è un Paese che "è già in ginocchio a livello economico" e le "conseguenze del colpo di stato, con il blocco generale, lo stato d'emergenza colpiscono in particolar modo i gruppi più vulnerabili, l'economia informale".
'Colpo di stato esito più clamoroso del braccio di ferro tra militari e civili'
La posta in gioco è alta. Secondo Resti, "più o meno le forze" protagoniste dello scontro "si equivalgono" perché "anche se i militari dimostrano di controllare il gioco, di fare il bello e il cattivo tempo di questa transizione, la protesta è forte ed è sotto gli occhi della comunità internazionale". Quindi, osserva, "è difficile che non si trovi la quadra" dopo il "colpo di stato che è l'esito forse più clamoroso di quello che è ed è stato da ormai tanto tempo il braccio di ferro tra i militari e i civili". Un periodo in cui, prosegue passato poco più di un mese dal tentativo colpo di stato denunciato il 21 settembre dal governo di Khartoum, "la componente civile è cresciuta tantissimo" così come "le proteste". E, secondo l'analista, quello che è accaduto nelle ultime ore è stata "anche una reazione dei militari alla crescita del movimento di protesta" dopo le imponenti manifestazioni del 21 ottobre contro i militari. "E' stato un segnale che i militari hanno temuto e hanno risposto mettendo le cose in chiaro con una dimostrazione di forza, ma anche di paura per quella che - osserva, pensando alle reazioni arrivate nelle ultime ore dall'Ue all'Onu - è una protesta sempre più forte, che gode anche dell'attenzione della comunità internazionale". "Ci sono attori importanti in questa transizione - conclude - E' vero che i militari possono sembrare sempre più con le spalle al muro, però sarebbe ingenuo ritenere che non siano loro a controllare realmente quella che è la transizione in corso nel Paese".