Sulla Blue line con la Marca nel cuore
A oltre duemila chilometri da casa i caschi blu trevigiani in Libano
| Julia Gardiner |
SHAMA (LIBANO) – La Blue Line che separa Libano e Israele è una linea sottile, concordata più o meno per metà, segnata da distese di mine e piloni blu dai quali prende il nome, i “blue pillar” targati ONU, in uno dei luoghi più caldi e sensibli del Medio Oriente e del mondo. Non è un confine, ma una linea di attestamento tra due paesi che, formalmente, sono ancora in guerra e i cui rappresentanti non si parlano né si guardano, neppure negli incontri, il cosiddetto “tripartito”, presieduti dall'ONU e che si tengono in una base collocata proprio sulla Blue Line.
Accanto a questa linea, nelle poche decine di chilometri che la separano dal fiume Litani, si estende l'area di intervento della missione ONU UNIFIL, una realtà che vede schierati 12.000 uomini di 37 nazioni, guidata da fine luglio dal Generale Luciano Portolano, successore del Generale Paolo Serra, in una staffetta tutta italiana che non ha precedenti nella storia di un'organizzazione, l'ONU, dove da sempre si rispetta il principio della rotazione tra le nazioni.
Nell'ambito di questa missione, una decina di trevigiani sono impegnati nell'operazione “Leonte 16” del contingente italiano su base Brigata Ariete.
Tra loro l'ormai coneglianese Maggiore Piero Mazzilli che, dopo 12 anni di servizio al 1° FOD di Vittorio Veneto, fa ora parte dello staff del Comando della Brigata Ariete. Alla terza missione in Libano dopo il 2007 e il 2012, il Magg. Mazzilli ha notato, con orgoglio, il successo della missione guidata dall'Italia: “i cambiamenti rispetto al 2007 sono evidenti, all'epoca il Libano era molto più disorganizzato, l'esigenza di ricostruzione era palesemente superiore, come pure la paura che attanagliava la popolazione, ma, nonostante possa constatare tutti questi progressi, al rientro a casa porterò con me la consapevolezza di quanta fortuna abbiamo e di quanta sicurezza godiamo in Italia, oltre a un pizzico di nostalgia per Vittorio Veneto, della quale sentirò la mancanza a Pordenone, anche se so che lì troverò una realtà professionalmente stimolante”.
Da Vittorio Veneto arriva, invece, il Maresciallo Capo Alessandro Lazzaro, comandante di una squadra di Polizia Militare, che annovera tra i suoi compiti non solo il mantenimento dell'ordine e della legalità nelle diverse basi controllate dal contingente italiano e la verifica di armi, munizioni e bagagli in arrivo e in partenza, ma anche il controllo della circolazione stradale militare e, in caso di necessità, l'effettuazione di indagini delegate per conto delle autorità giudiziarie italiane.
“Qui la situazione è molto più calma di quanto si percepisce dalla lettura dei giornali in Italia, le tensioni dei giorni scorsi originate da quel che sta succedendo a Gaza si sono stemperate” chiarisce subito Lazzaro, che a casa ha lasciato la moglie Valeria e tre figli, evidentemente pensando ai lanci di razzi dal Sud del Libano verso Israele verificatisi verso la metà di luglio, cui è prontamente seguita la rappresaglia israeliana e che si sono interrotti grazie all'intervento congiunto delle LAF (le Forze Armate libanesi) e di UNIFIL. “Rispetto alla mia prima missione qui, due anni fa, la situazione è molto migliorata, la pace ha portato maggiore fiducia nella popolazione – chiude Lazzaro – ed è stato davvero emozionante ritrovare i civili conosciuti due anni fa e scoprire che ancora si ricordavano di me ed erano felici di rivedermi”.
Il nome del suo incarico è ereditato dal mondo anglosassone, dov'è grande la passione per acronimi e abbreviazioni varie: LEGAD (Legal Advisor), ma il Tenente Colonnello Daniele Parchi è il trevigianissimo consulente giuridico del contingente italiano a Shama. “Il LEGAD aiuta il Comandante nella trattazione di vicende di carattere penale, di problemi civilistici (ad esempio il risarcimento di danni causati a cittadini del luogo dalle operazioni militari o dalle attività quotidiane), di carattere amministrativo (come contrattualistica o cessione di basi e materiali alle Forze Armate locali), di natura disciplinare (pensiamo al mancato rispetto delle procedure sull’uso delle armi o all'uso di alcoolici) e nei problemi d’impiego del personale – spiega Parchi – senza dimenticare che, nel caso si verifichino danni a mezzi o strutture, si interfaccia con la Procura della Corte dei Conti di Roma per segnalare e gestire il c.d. danno erariale”.
Tutto qui?! No, come se non bastasse il LEGAD, nella fase di preparazione della missione, incontra tutti i reparti per fornire al personale la formazione giuridica indispensabile per agire correttamente in teatro operativo. Parchi, però, è indispensabile per il Comandante anche per un altro motivo: benché egli cerchi, senza riuscirci molto, di sminuire l'importanza quest'ultimo aspetto, egli sa bene, in realtà, che, dopo l'esperienza afghana e la vicenda dei due marò in India, l'aspetto più noto del suo lavoro sono l'analisi delle ormai famosissime regole d'ingaggio e le problematiche concernenti l'applicazione del Diritto Umanitario e del Diritto Internazionale nelle operazioni all'estero.
Ma non di solo diritto internazionale vive la missione e a ricordarcelo è il Caporal Maggiore Scelto Domenico Sorice, 33 anni, originario di Avellino ma ormai da più di dieci anni adottato da Treviso, la città dove lavora al 33° Reggimento EW, il Reggimento dove “EW” sta per guerra elettronica e che svolge compiti di intercettazione, disturbo ed inganno delle comunicazioni.
Sorice, a Shama, come tecnico specializzato nella gestione di apparati e dispositivi radio, si occupa dei dispositivi che, disturbando le frequenze radio, contrastano gli RCIED (gli ordigni esplosivi improvvisati radiocontrollati), garantendo così la sicurezza degli spostamenti del personale ONU nell'area.
“Questa per me è la quarta missione, la prima in Libano dopo tre in Kosovo – ci spiega Sorice, che sorride dolcemente mentre ricorda la moglie Angela e il figlio Carmelo, di neanche un anno, che lo aspettano a casa – ma qui gli aspetti umanitari sono molto più evidenti, com'è nella natura delle missioni dell'ONU. Al nostro arrivo la situazione era decisamente più tranquilla, poi la tensione è aumentata, ma si capisce subito che l'atteggiamento nei nostri confronti non è mutato, siamo sempre accolti con grande affetto dalla popolazione”.