A Vittorio Veneto gli alberi sembrano creare seri problemi
Tagliati nel campus scolastico, lungo la pista ciclabile, davanti a Vittorio 2, gli alberi vittoriesi piacciono all’accetta. E c’è chi lo accetta
| Emanuela Da Ros |
VITTORIO VENETO - Diamo a Giancarlo Dell’Antonia quello che è di Giancarlo Dell’Antonia. In questo caso il titolo di questo articolo. Letteralmente rubato (lui non lo sa) a uno dei suoi post.
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L’artista che nel 2016 ha creato un intero progetto sugli alberi (infiniti, nelle sue opere), sintetizza magistralmente quello che sta avvenendo nel territorio: la sparizione degli alberi. D’accordo: fanno ombra (non sono sufficienti i lampioni o i segnali stradali per schermare la luce del sole?). D’accordo: trasformano l’anidride carbonica in ossigeno (non ne abbiamo fin troppo? tutto sto complotto sulla pessima qualità dell’aria chi l’ha messo in giro?). D’accordo: danno fiori, frutti e - ma pensa - sono decorativi anche quando non è Natale. D’accordo: proteggono dal vento, sono un filtro attivo per le particelle inquinanti dell’acqua oltre che dell’aria, prevengono il deflusso superficiale delle acque e il dilavamento del suolo, hanno un’efficacia antierosiva sul terreno. Ma sono davvero buone ragioni per tenerli in città? A quanto pare no. Gli alberi, con le loro radici, sollevano l’asfalto, e poi si ammalano, crescono e vanno potati regolarmente…Meglio un taglio netto e via.
E così succede che lungo la pista ciclabile nei pressi di Vittorio 2 vengano tagliati di brutto due imponenti noci (ricchissimi di frutti lo scorso anno) perché a detta dell’assessore Fasan stavano rovinando il manto della pista rendondolo pericoloso (affermazione fotosmentita dai consiglieri Mirella Balliana e Gianluca Piccin); che una ventina di piante siano estirpate da un altro tratto di pista ciclopedonabile; che per costruire la nuova scuola ecosostenibile (ex Ipsia) vengano ridotte a legname piante secolari (il destino dei cedri del Libano presso il vecchio ospedale, tanto per rinverdire la memoria). Eppure - sì, mi rendo conto che la premessa è troppo lunga: potatela - all’alba del 1900 l’attenzione, la cura, la salvaguardia e la conoscenza di piante, alberi, erbe e fiori in città era straordinaria. Era una priorità. Nel 1905-1906 Pier Andrea Saccardo, illustre botanico già direttore dell’Orto botanico di Padova, conduce studi approfonditi sulle piante del Trevigiano e pubblica un saggio di 300 pagine dal titolo Flora Tarvisina Renovata, in cui elenca - col nome scientifico e quello dialettale - le piante autoctone, importate ma naturalizzate, o scomparse (!) di tutto il territorio della Marca. Saccardo - la conoscenza di questo seme di preziosa cultura arborea la devo ad Alessandro De Bastiani (poi non si dica che i giornalisti non citano le fonti copiose) - era originario di Volpago del Montello, ma la sua osservazione del territorio spazia dalla pianura alla collina. E dunque al Vittoriese, dove lui elenca - negli Atti reali dell’Accademia veneta - le piante osservate ad esempio su Viale Cavallotti, l’attuale viale Vittorio Emanuele II.
Qui, siamo - lo ricordo - nel 1905, trova piante autoctone come la tunica saxifriga, la vicia sativa, la vicia angustifolia, il galeopsis laudanum…, piante “importate dagli ortivi vicini” come la napus oleifera, la cannabis sativa, il cucumis melo, l’arthemisia absinthium, l’avena sativa, la beta vulgaris, il prunus persica e il prunus domestica, il papaver somniferum…- certo che tra papavero, assenzio e cannabis…via Cavallotti poteva ospitare un rave (questa era pessima, dimenticatela). Ma rintraccia anche “specie esotiche da molto tempo naturalizzate” come l’erigeron canadensis o la galinsoga parviflora. In una nota scrive: “Merita di essere ricordata l’improvvisa comparsa in gran copia dell’Amarantus albus dell’America settentrionale in seguito allo sterro eseguito nel 1912 del cimitero di S. Andrea che da oltre 50 anni era disusato e inerbato. I semi avevano mantenuto la vitalità per quel lungo periodo. Dopo tre anni la specie ruderale scomparve in seguito a nuovo inerbamento del suolo. Questa pianta fu trovata avventizia in più luoghi del Veneto non però del trevigiano”. Tra le piante coi nomi dialettali che Pier Andrea Saccardo nomina ce ne sono alcune che fanno sorridere - la zuca baruca e zuca porzelera, l’ai de can o l’ai mat, la biava, articioco mat, l’amerlinèr - altre che sorprendono: che ci faceva un secolo fa a Vittorio l’assenzio de montagna? E il café foresto? E il calabresissimo bergamoto? Lasciando scorrere le preziose pagine botaniche di Saccardo, che alberi troveremo a Vittorio Veneto tra cent’anni? E li riconosceremo? Io sono ricorsa a PlantNet per assicurarmi che gli alberi dell’attuale viale Vittorio Emanuele siano faggi. E mi è rimasto il dubbio.