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25 novembre 2024

Treviso

I cattolici e la partecipazione alla politica 100 anni dopo il PPI di Sturzo

Un secolo dopo l'intuizione del Partito Popolare Italiano, quali prospettive per l'impegno politico dei cattolici?

| Davide Bellacicco |

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| Davide Bellacicco |

I cattolici e la partecipazione alla politica 100 anni dopo il PPI di Sturzo

Nel centesimo anniversario della fondazione del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo si riprende a discutere delle forme della partecipazione dei cattolici alla vita politica del Paese. Oggi le possibili prospettive sono due: il ritorno ad un impegno corale in un unico contenitore partitico o il mantenimento dello status quo, puntando maggiormente sulla formazione, in vista di un impegno autonomo. La prima strategia, al momento, sembrerebbe trovare l’entusiasmo della CEI, la quale ha segnato una rinnovata attenzione al problema della rappresentanza dei cattolici, sin dall’insediamento del nuovo Presidente, mons. Bassetti, ma si sta affacciando nelle ultime settimane anche uno scenario diverso.

 

Occorrerà fare i conti con la frammentazione di un elettorato condizionato nel tempo dalla forte conflittualità dello scenario politico, sicché sarebbe arduo ritenere di poter riaggregare il cattolico leghista assieme a quello PD. Ben inteso che neanche la Democrazia Cristiana dei tempi d’oro riuscì mai a radunare la totalità dei fedeli, dovendosi confrontare con le realtà più tradizionaliste e attratte dal MSI e soprattutto, specie negli anni della contestazione, con il cattolicesimo cd. del dissenso e con le esperienze ecclesiali di base, che non disdegnavano una vicinanza ideale alla sfera socialcomunista. La prospettiva fu quella, semmai, di aggregarne una frazione molto consistente: i cattolici democratici.

Oggi si tratterebbe, dunque, di interrogarsi su quale parte di elettorato cattolico si senta privo di rappresentanza e la sensazione è che quello più conservatore non viva particolari difficoltà nel dialogare con la Lega e sentire proprio quel partito, e così pure per Fratelli d’Italia, per quanto le bordate antimigranti di Salvini e Meloni, talvolta, cadano in eccessi che persino da quelle parti hanno un appeal abbastanza relativo. Il fatto è che occorre giocoforza fare i conti con il fatto che una parte di cattolici voterà sempre a destra (inclusa Forza Italia e partiti minori) semplicemente perché l’alternativa è la sinistra, lo spauracchio comunista o la nemesi Renzi con le unioni civili della Cirinnà e tutto quel mondo la cui ribalta è ritenuto necessario scongiurare, anche a costo di preferire delle prese di posizione sull’immigrazione agli antipodi con quello che a queste latitudini si sole chiamare il “Vangelo dell’accoglienza” made in Papa Francesco, Galantino e vescovi giudicati progressisti. È chiaro che si semplifica, perché si tratta di un elettorato variegato e c’è il cattolico che sposa in toto le posizioni salviniane, magari facendo l’occhiolino al tradizionalismo preconciliare come nel caso del ministro Fontana e quello che vota quest’area perché non trova di meglio, ma il fatto che in assenza di meglio scelga di riporre lì la propria fiducia ci dice molto anche sulla sua indisponibilità a votare un partito nuovo che la pensi diversamente.

Oltretutto si segnala come il tema del rapporto controverso con l’islam e, di riflesso, con l’immigrazione vista come minaccia ad una fede vissuta in modo identitario ma anche marcatamente pubblico, in una dicotomia fra occidente cristiano e resto del mondo, sia di grande presa per questa porzione di elettorato e le ultime elezioni politiche hanno mostrato questo aspetto. Nulla di nuovo se pensiamo agli interventi sui quotidiani d'area o ai ridondandi contrasti legati al presepe, al crocifisso negli edifici pubblici etc. Si può discutere sulla buona fede dei leader che appaiono talvolta più inclini a strumentalizzare la visione cattolica più vicina che a far propria una vita cristiana, ma è un ragionamento che vale per tutti e che non cambia la realtà dei fatti. 

 

All’opposto, una buona parte dei cattolici più sensibili alle istanze sociali e che ha avuto modo di apprezzare misure come il reddito di inclusione, la prospettiva europeista o una certa vicinanza al terzo settore da parte della passata maggioranza, tende a vedere molte di quelle posizioni come fumo negli occhi e ritrova la ragione del suo impegno ancora una volta nell’alternativa prospettata dall’avversario, scegliendo dunque di puntare al PD anche a costo di doversi confrontare con una realtà che sul tema dei diritti mantiene un approccio abbastanza individualista, condividendo ben poco con l’approccio cattolico, come ben sa la galassia pro-life che con quel partito fatica da sempre ad interloquire nel tentativo di ricercare un’applicazione integrale della 194 che da quelle parti è giudicata intoccabile anche nella sua volutamente parziale inattuazione e come sanno quanti sul tema della maternità surrogata o delle stepchild adoptions avrebbero gradito un cenno, dopo il sofferto compromesso sulle unioni civili e le criticità segnalate in chiusura di legislatura in materia di biotestamento.

In quest’area ci sono anche coloro che guardano con favore ad una lettura progressista delle questioni eticamente sensibili, ma che non sono, parimenti, disposti a cedere il passo su temi chiave come l’accoglienza che sempre di più catalizza qualsiasi elettorato assieme all’altra grande questione controversa che è data dai rapporti con l’Europa.

 

Questa dicotomia fra cattolici del sociale e cattolici della morale che tanti danni ha fatto nel tempo in quel mondo, si è ripercossa nell’agone politico e difficilmente, a parere di chi scrive, sarà ricomponibile. È un’esasperazione che non era estranea già alla cd. prima repubblica e alla dialettica correntizia democristiana ma che ha trovato terreno fertile in quel sistema elettorale maggioritario che dominò nei successivi dodici anni di Mattarellum che consolidarono il bipolarismo italiano. 

Allora per tornare alla domanda iniziale, un partito di ispirazione cattolica, oggi, dove potrebbe attingere? Potrebbe massimizzare il proprio consenso pescando dai cattolici di centro-sinistra che vedono gli spazi di manovra nel PD ridursi fra istanze liberali e riviviscenze socialdemocratiche e da una parte di forzisti più imbarazzati dal sovranismo ma siamo ben lungi da cifre ragguardevoli ed una spendita diretta delle gerarchie ecclesiastiche in favore di un simile progetto che, se dovesse attestarsi su percentuali molto molto esigue, spazzerebbe via ogni residuo della percezione di autorevolezza della Chiesa in Italia. E poi c’è la legge elettorale per le Politiche (con cui prima o poi ci si troverà a fare i conti), che condanna all’irrilevanza chi corre in solitaria senza poter vantare grandi cifre (uno dei problemi di fondo dell’esperienza de Il Popolo della Famiglia) e premia chi si coalizza, sicché un partito alleato del fronte sovranista o di quello democratico vedrebbe la fuga, per le ragioni esposte, di una buona parte del suo elettorato e magari pure una scissione che dai popolari del’95 agli alfaniani del 2018 da queste parti non dispiace mai.

 

In questo senso, evidentemente, come persino un autorevole popolare come Pierluigi Castagnetti ammetteva qualche mese fa in un incontro a Ca’Tron, i tempi sono cambiati e occorre prenderne atto cercando formule nuove che superino il problema di un elettorato che ormai rispecchia più o meno fedelmente le divisioni della società italiana. Il problema, però, resta: è vero che non tutti i cattolici avvertono la necessità di un nuovo contenitore ed è una deduzione giusta, proprio alla luce di quanto evidenziato, su cui si interrogava ieri anche il Presidente nazionale di Azione Cattolica, Truffelli, ma è anche autoevidente che le forze politiche attuali, che sullo stile prima ancora che sui contenuti avrebbero molto da lavorare, sono in grado al massimo di valorizzare una parte del pensiero cristiano cattolico ed impegnarsi oggi attivamente in politica da cattolici praticanti a trecentosessanta gradi significa accettare di dover capitolare su molti principi irrinunciabili e questo non va bene per nessuno, perché allora si fa politica solo per vincere sull’altro con la strategia migliore, rinunciando alle proprie idee e il partito che è solo un mezzo, diventa il fine. Probabilmente, ma l’interrogativo resta aperto, la soluzione sta nella scelta di un impegno in partiti che accettino di tutelare, per i temi non condivisi, il primato della coscienza non solo formalmente, statutariamente (cosa comunque assai rara se pensiamo alla rigidità del M5S nell’anteporre sempre e comunque il voto della rete a pena di espulsione), ma anche sostanzialmente, rispettando la scelta difforme e tutelando dal linciaggio mediatico dei colleghi eventualmente dissidenti: solo a queste condizioni avrebbe senso il progetto di istituzione di un forum civico di coordinamento di iniziative come quello ipotizzato dalle gerarchie ecclesiastiche in alternativa al progetto di costituzione di un nuovo partito, ma su questo si fatica ancora ad avvertire lo slancio decisivo che solo un impegno dal basso del laicato può dare.

 


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