Covid, "Il Veneto in pochi mesi da regione modello a zona da allarme rosso"
Tonella critica la strategia di contenimento del virus di Zaia: “Bisognava investire di più nella prevenzione e avere il coraggio politico di adottare misure più stringenti"
| Isabella Loschi |
Giovanni Tonella, segretario Pd dell’Unione comunale di Treviso
TREVISO - Il Veneto è, in netta controtendenza rispetto al resto d’Italia, la regione con indice di contagio Rt e numero di decessi da Covid-19 superiore alla media nazionale: in quest’ultima settimana nel Veneto abbiamo avuto una media di 3mila contagi e 100 decessi al giorno, mentre la media nazionale è sui 18mila contagi e 500 decessi al giorno.
Possiamo dire che in Italia un sesto dei contagiati e un quinto dei deceduti, in quest’ultima settimana, sono veneti. “In Veneto, alla costante classificazione in zona gialla corrispondono contagi, ricoveri e morti da zona rossa, con carenza di assistenza covid domiciliare e infermieri di famiglia, ospedali al collasso, proteste di medici, infermieri e sindacati, decine di pazienti in cura nei pronto soccorso, non registrati come ricoverati e in attesa che si liberi un posto letto. Cosa non ha funzionato nella strategia di contenimento della pandemia adottata da Zaia e che ha fatto precipitare a dicembre la nostra regione nel caos?”. A chiederlo è il Partito Democratico di Treviso, attraverso i segretari dei circoli Liana Manfio (Treviso Nord), Andrea Nilandi (Treviso centro) e Giuseppe Pesante (Treviso Sud), il capogruppo dei consiglieri comunali del Pd ai Trecento Stefano Pelloni e Giovanni Tonella segretario dell’Unione comunale di Treviso.
“Quando il 4 novembre la Lombardia e Piemonte entravano in zona rossa, il presidente leghista del Veneto Zaia rivendicava con orgoglio l’efficiente sistema di gestione Veneto della pandemia e la capacità di risposta del sistema sanitario, vantando alti numeri di posti in rianimazione e quindi la capacità di far fronte a un alto numero di contagiati - dicono - Allora la responsabilità non può essere scaricata sul Ministero della Salute e sui parametri nazionali che fidandosi delle cifre fornite da Zaia hanno mantenuto la nostra Regione in zona gialla. Purtroppo le scelte di Zaia sono smentite dai crudi dati che dimostrano come nelle zone rosse i contagi siano calati di un terzo, mentre in quelle gialle sono praticamente rimasti invariati, e in Veneto addirittura risaliti in modo preoccupante”.
Riguardo alle terapie intensive per il Pd ci sono due ordini di problemi: “uno sottolineato dal dottor Benazzato, segretario veneto di Anaao Assomed medici ospedalieri, riguardo all’effettiva possibilità di utilizzo di tutte le terapie intensive, per la grave carenza di anestesisti, medici ed infermieri". L’altro evidenziato dal dottor Crisanti, secondo il quale "la diffusione del virus non si combatte con più posti in terapia intensiva e in rianimazione, perché affidarsi alle sole terapie intensive crea un effetto perverso: il virus non adeguatamente frenato continua a diffondersi e alla fine le conseguenze di questa scelta diventano incontrollabili”.
“E’ evidente che i test a tappeto non sono bastati per ridurre la diffusione del Covid, anzi. Il Veneto è riuscito a restare in zona gialla mantenendo un rapporto basso tra casi positivi e test, pur avendo una situazione epidemiologica difficile, drogando i dati attraverso una massa di test rapidi che hanno però dal 35 al 40% di margine di errore”, sottolineano il Pd.
“Bisognava investire di più nella prevenzione, e avere il coraggio politico di adottare misure più stringenti di distanziamento sociale e, se necessario, introdurre un severo lockdown per alcune settimane in vista del vaccino. Perché tutto questo voler rimanere disperatamente in zona gialla? Per salvare le categorie produttive colpite dalla crisi? Ma qui oltre al danno abbiamo anche la beffa: nel Decreto Ristori Ter non sono infatti previsti contributi a fondo perduto per le regioni rimaste in zona gialla”, concludono Manfio, Nilandi, Pesante, Pelloni e Tonella.