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15 agosto 2024

Valdobbiadene Pieve di Soligo

Enrico Nadai, il cantante pensatore

“Esiste un’arte talmente intima e profonda, una sorta di ribellione fatta di semplicità che corre il rischio di essere incompresa; mi piace mettere la nebbia tra le cose che faccio, quella nebbia che conserva il mistero delle cose”

| Federica Gabrieli |

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| Federica Gabrieli |

enrico nadai

FARRA DI SOLIGO - Enrico Nadai, un ragazzo d’altri tempi, dove la semplicità e l’umiltà regnano sovrane. Nato a Conegliano il 26 maggio e residente a Farra di Soligo (TV), figlio d’arte (padre violinista e madre cantante). Data la sua immensa, sconvolgente e coinvolgente profondità musicale, artistica, filosofica e letteraria non ha bisogno di grandi presentazioni, tutt'al più preferisco lasciare al lettore farsi liberamente ispirare, inebriare e travolgere da questo artista.

 

Chi è Enrico Nadai?

Non posso non parlare di me attraverso le mie esperienze, partendo soprattutto dalla musica che è quella che ha sempre maggiormente attirato la mia attenzione. Una conoscenza che è nata alle scuole elementari studiando violino con mio padre, insegnante in conservatorio, entrando così a far parte della Piccola Orchestra Veneta. Sentivo tuttavia che quella non era una passione trascinante sebbene mi ha dato molto. Allora, nutrivo interessi soprattutto in una certa fase tra le scuole elementari e quelle medie, distanti dalla musica, sennonchè comunque la musica aleggiava all’interno delle pareti casalinghe.

 

Tanto che un giorno mia madre mi chiese di fare dei duetti nella sua classe di canto perché le mancavano delle voci maschili; di conseguenza ho accettato e da lì è nato un percorso musicale legato al canto, al quale mi sono dedicato pienamente, grazie anche ad un concorso che ho fatto a Jesolo, dove la cantante statunitense Cheryl Porter mi aveva sentito e mi aveva proposto di andare a fare un provino per le trasmissione televisive: ” Io Canto” e “X Factor”; da lì sono nate le varie esperienze musicali, sia in gruppo che singolarmente che mi hanno portato a fare musica. Il 20 dicembre 2011 sono stato invitato a cantare in mondovisione al Concerto per la Pace tenutosi a Betlemme all’interno della Basilica della Natività; qualche anno dopo nel 2015 ho partecipato alla realizzazione del disco Wake Up dedicato a Papa Francesco e distribuito in tutto il mondo, con un brano dal titolo “Santa Famiglia di Nazareth”; finché ad un certo punto intorno ai 20 anni è nato anche l’interesse verso la scrittura autonoma della musica. Quest’ultima nasce come una mia necessità a tutti gli effetti, sentivo il bisogno di comunicare non come hanno fatto altri, bensì volevo metterci del mio.

 

Da lì ho cominciato a scrivere delle canzoni, inizialmente più coadiuvato da altre persone, una delle quali il maestro Dino Doni, con cui collaboro da sempre; arrivando ad oggi, che in maniera autonoma, scrivo testi, li arrangio e li produco. Dal punto di vista musicale posso dire che Enrico Nadai è legato a questo percorso. Mi sono altresì tenuto aperto una via culturale legata a studi umanistici, intraprendendo un percorso universitario in filosofia, laureandomi in scienze filosofiche; nutrendo fin dalle scuole superiori un interesse verso la letteratura, filosofia e spiritualità in senso lato, sono arrivato a questa fase apicale del percorso, portandomi a pubblicare questo libro su Gustav Thibon, un autore che compendia tutti questi aspetti perché è un filosofo ma al tempo stesso un uomo religioso.

 

La prima canzone a che età l’hai scritta e soprattutto era legata a un momento particolare della Tua vita?

Dal punto di vista testuale, la prima canzone l’ho scritta attorno ai 16 anni; più avanti invece ho scritto una canzone “ With your Love” che era in inglese, parlava di Dio, di amore ma un amore vincolato a Dio. Sebbene ero alimentato da scrittori come Meister Eckhart e Teresa d’Avila, sentivo il desiderio di avvicinarmi sempre di più alla mia lingua ovvero all’italiano, proprio perché ritengo abbia una straordinaria capacità di esprimere attraverso varie sfumature di significato; infatti, parte della mia produzione musicale su cui sto lavorando in questa momento è proprio dettata da un’idea di sfumatura puntando tutto su di un qualcosa di molto rarefatto dal punto di vista linguistico ma anche musicale; in poche parole mi piace mettere la nebbia tra le cose che faccio, quella nebbia che conserva il mistero delle cose. La mia inquietudine emotiva mi ha portato di seguito a scrivere canzoni in italiano a tema amoroso, rivolto verso una donna concreta, una musa ispiratrice, dove comunque resta sempre velato il nome, dando vita a “Sogni di carta” che entra a far parte del mio primo progetto discografico intitolato “ Canzoni per Lei”. Vedi, le canzoni nascono un po’ così, in maniera variabile di volta in volta, una sorta di liaison letterario, filosofico, sacro e di scrittura; ovvero quello che ascoltiamo ci porta a rigettare certe cose sul piano musicale cosi come quello che leggiamo ci porta a rigettare sul piano della scrittura.

Hai avuto incontri significativi nella tua carriera di cantante?

In primissimo ho avuto quello con Cheryl Porter che considero la mia scopritrice; lei è stata a tutti gli effetti una prepista per quello che è stato il mio percorso musicale, poi ci sono stati vari incontri, con quelli che vengono chiamati vocal coach, per esempio Paola Folli, Luca Pitteri. Ovviamente anche l’esperienza televisiva mi ha portato a duettare e conoscere persone di grande rilievo; mi posso vantare per esempio un duetto con Michael Bublè, come anche del fatto che Mogol si fosse affezionato molto alla mia voce, tant’è vero che una volta mi venne ad ascoltare a Palazzo Pitti a Firenze. Quando mi interesso in maniera estremamente sentita e passionale a qualcosa, tendo ad approfondirla in modo autonomo, a scoprirla nei suoi aspetti più reconditi perché credo nel lavoro individuale, nello sforzo personale, nel tentativo di compiere una certa attività, ricercando una qualche forma di bellezza. Ma anche in alcuni casi, una forma di zelo profondo che dia un senso alla propria vita aldilà degli incontri che sono sempre stati significativi ed innumerevoli, anche solo nell’osservare gli altri, prenderli come esempio, è tutt’ora per me fondamentale. Nonostante e tuttavia trovo che ritagliarsi un percorso di autonomia nella propria via e farlo secondo quella propensione che è mia, sia sempre stata la strada migliore e che mi si addice di più.

 

Del Tuo nobile repertorio musicale c’è una canzone, una litania in particolare che Ti aggrada più delle altre?

Mi rendo conto che alcuni dei miei ascolti musicali si avvicinano a questo desiderio di salmodiare; tuttavia la canzone che sono più affezionato è “Vite Che Non Ho”. Una canzone dove l’amore verso una donna regna maestoso e proprio con questa filigrana di malinconia dolce-amara che si ripercuote nel testo del brano, ho sentito la necessità di ricercare un altrove, ovvero una vita che non sia la propria in uno spazio di fuoriuscita dal proprio ego, che è un tentativo di abbracciare Dio in qualche modo. In questo momento storico, quando si scrive, ci si sente come se sia già stato detto tutto e questo penso sia un qualcosa che possono sentire molto anche persone che operano in altri ambiti dell’arte; eppure credo sia un bisogno umano anzi troppo umano quello di ricollocare tutte le cose che sono state dette all’interno della propria esperienza di vita, non tanto per farlo in maniera diversa, quanto per ricercare una origine in quello che si fa, proprio perchè l’origine non è innovazione ma un tentativo di tornare a qualcosa di profondo che per me è uno scavare dentro se stessi.

 

Avendo questo visetto da bravo ragazzo, dove Ti collochi nel mondo musicale di oggi dove spicca l’ostentazione?

Penso di essere una persona che sul grande pubblico non genera nessuna attrattiva ma lo dico con grande sincerità proprio perché non c’è interesse per artisti, come emerge nel mio caso, che hanno la faccia pulita; ci si orienta verso tutt’altro, cioè verso ciò che genera una ribellione che nella maggior parte è una falsa ribellione e che provoca molto di più e cattura molto di più l’interesse; tuttavia se mi soffermassi solo su questo aspetto e se quello che faccio non avesse un interesse profondo per la mia vita e per la mia esistenza, allora dovrei assolutamente fermarmi qui. E’ proprio talmente essenziale fare quello che faccio che da significato alla mia vita; è una sfida con me stesso e che genera continuamente nuovi percorsi da intraprendere. Poi chiaramente c’è soddisfazione quando ricevi l’attenzione da parte degli altri Questa è una fase per il sottoscritto in cui come diceva Giorgio Agamben “ Può dire la verità solo chi non ha la possibilità di essere ascoltato. Chi parla da una casa che intorno a lui le fiamme stanno implacabilmente consumando”. Sono convinto che esista un’arte talmente intima e profonda, una sorta di ribellione fatta di semplicità che corre il rischio a volte di non essere compresa.

 

Quando hai pensato di pubblicare un libro e quindi divenire uno scrittore?

Non mi sento uno scrittore perché quando penso ad uno scrittore penso sempre ai grandi, peraltro avessi voluto davvero fare lo scrittore, avrei preferito esordire postumo proprio perché pubblicare qualcosa può portare prestigio ed è una cosa alquanto fastidiosa in un mondo dove tutti lo ricercano, volendo essere sempre sotto i riflettori; tuttavia ho scelto di farlo perché mi sembrava al tempo stesso di restituire importanza ad un autore poco conosciuto che è Gustav Thibon, il filosofo contadino. Ho scelto lui perché il suo pensiero lo trovavo interessantissimo e pienamente affine alle cose che sento, che vivo e che penso e poi al tempo stesso perché lo trovo un profeta inascoltato nei nostri tempi. Giust’appunto per questa mia passione rivolta ai personaggi in secondo piano, quei personaggi che non sono mai stati eccessivamente sotto i riflettori, scoprendo la sua figura, l’ho ritenuto un personaggio da mettere in luce e adesso voglio iniziare a lavorare sulla scrittura di un altro libro che sia dedicato a storie e figure che non sono conosciute dal grande pubblico.

In questo momento Ti senti più filosofo, musicista o scrittore?

Sicuramente adesso sono più legato alla scrittura musicale perché mi riesce più spontanea; tuttavia la parte filosofica e musicale sono conciliabili per me. Il grande Bach, che prima ho citato, grande teologo e straordinario compositore, riusciva a conciliare entrambe le cose; infatti conoscendo benissimo la grammatica della musica e della teologia, riusciva ad inserire l’una nell’altra, facendo cose grandiose di cui noi oggi siamo debitori e di cui tutt’oggi non conosciamo tutti i segreti. Questo ci porta a dire che siamo nani sulle spalle dei giganti perché noi quella visione simbolica, quella conoscenza così approfondita che poteva sembrare tutt’oggi quasi nozionistica di certe cose, in realtà permette di penetrare certi linguaggi in una maniera così profonda e sentita che quando si arriva ad una creazione personale fa la differenza.

 


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