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22 dicembre 2024

Cronaca

G8 Genova 20 anni dopo, Agnoletto: "Avevamo ragione noi"

Parla all'Adnkronos l'allora portavoce del 'Genoa Social Forum': "Nessuno in galera per le violenze della Diaz, ma la loro coscienza non tace"

| Roberto Silvestrin |

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G8 Genova 20 anni dopo, Agnoletto:

ITALIA - “Oggi, per quanto riguarda la scuola Diaz e Bolzaneto, abbiamo delle verità processuali che hanno ricostruito in modo molto preciso gli eventi. Quindi sulla Diaz e su Bolzaneto non è che ognuno può dire quello che vuole. Ci sono delle verità appurate e precise. La ‘macelleria messicana’ è stata organizzata e gestita dai vertici della polizia". Così all’AdnKronos Vittorio Agnoletto, all’epoca del G8 di Genova del 2001 portavoce del ‘Genoa Social Forum’.

 

"Non ci doveva essere nessun assalto -sottolinea-. In quella scuola c’erano 92 persone che dormivano tranquillamente. Però i responsabili non hanno fatto neanche un giorno di galera. Questo è inaccettabile. Così com’è inaccettabile che le persone riconosciute responsabili di quelle violenze e di quelle torture, siano rimaste ancora all’interno degli apparati dello Stato in totale dispregio di quanto stabilito dalle regole europee, che prevedono che se un tutore dell’ordine è messo sotto accusa, deve essere sospeso, e se viene condannato deve essere allontanato. Inoltre, non c’è mai stato il processo per la morte di Carlo Giuliani, e questo è un vulnus enorme”.

 

“Così come –prosegue Agnoletto-, e lo ha riconosciuto anche il pm Zucca qualche giorno fa in un dibattito pubblico, non si sono celebrati decine e direi centinaia di processi per individuare le responsabilità delle forze dell’ordine per i fatti di strada. E non si sono celebrati perché non c’erano sufficienti magistrati e la procura non avevo la forza per farli. Detto questo, vent’anni dopo c’è stato Santa Maria Capua Vetere. E non è un fatto che si può risolvere parlando di mele marce, perché sono sotto accusa decine e decine di operatori e perché ci si riferisce a fatti accaduti un anno fa, e non mi risulta che quei fatti siano stati segnalati da qualcuno della catena di comando. Ciò vuol dire che chi sapeva è stato omertoso”. Eppure, sottolinea Agnoletto, “il processo per i fatti di Bolzaneto è stato possibile perché due infermieri penitenziari in servizio a Bolzaneto ma che vivono a Bologna, Marco Poggi e Ivano Pratissoli, dopo essere tornati a casa e non aver dormito per due notti per via degli incubi, sono tornati a Genova e hanno parlato con i magistrati. Da lì è partita l’indagine perché i magistrati hanno visto che le loro testimonianze collimavano con quelle dei ragazzi. Inizialmente i magistrati avevano dubbi, non potevano immaginare che quelle cose potessero accadere in un Paese come l’Italia. Ma Marco e Ivano, per caso, hanno ricevuto una medaglia dal Dap? Sono stati portati come esempio? Hanno fatto carriera? Sono stati promossi? No, hanno dovuto abbandonare il Dap perché una commissione interna, anziché tributare gli onori che meritavano, li ha messi sotto accusa per aver infangato il nome dell’amministrazione. E a quel punto Marco e Ivano se ne sono dovuti andare, hanno perso il lavoro, mentre chi ha torturato è rimasto dentro. Evidentemente, e Santa Maria Capua Vetere lo dimostra, non c’è stata una riflessione, un’autocritica, non si è avuto il coraggio di andare fino in fondo a vedere cos’era successo e prendersi la responsabilità di modificare le situazioni”. Violenze alla Diaz e violenze a Bolzaneto, dunque, ma se avesse la possibilità di incontrare quelli che ritiene essere i responsabili di quegli abusi, Agnoletto non gli direbbe nulla: “Non avrei niente da dirgli – sottolinea -, credo siano le loro coscienze a tutti i livelli che gli pongono dei problemi, e ognuno può cercare di sfuggire o di rendersi irriconoscibile alla giustizia umana, ma poi ognuno ha la sua coscienza che è più difficile da far tacere”.

 

Per Agnoletto, però, c’è una certezza ricavabile oggi. “A vent’anni dal G8 è chiarissimo ormai per qualunque persona in buona fede che noi allora avevamo ragione. Eravamo andati a Genova all’interno del Movimento dei forum sociali mondiali per dire che se questo mondo fosse andato avanti con questo modello di sviluppo, avrebbe rischiato il precipizio. E dicevamo che non va bene un mondo dove il 20% della popolazione mondiale possiede l’80% della ricchezza. Sono passati vent’anni e oggi poco più dell’8% della popolazione mondiale possiede più dell’80% della ricchezza, e il 79% della popolazione mondiale possiede poco più del 3% della ricchezza del mondo. Avevamo ragione noi. Segnalavamo un’ingiustizia che è aumentata”. Ma, aggiunge Agnoletto, “dicevamo anche che se questo modello di sviluppo fosse andato avanti, avrebbe portato cambiamenti climatici tali da far scomparire delle terre, obbligando intere popolazioni ad emigrare. È quello che stiamo sperimentando in questo periodo storico. E dicevano che se fosse andata avanti il dominio della finanza sull’economia reale, nel corso degli anni saremmo andati incontro a una crisi economico-sociale senza precedenti. Ed è quello che abbiamo vissuto. Per non parlare di quello che oggi ci dice la pandemia, che non è mica caduta dal cielo. La pandemia è frutto di un modello di sviluppo energivoro che sfrutta ogni centimetro quadrato del pianeta e che, attraverso meccanismi come la deforestazione e gli allevamenti intensivi, ha abbattuto le barriere tra le specie e ha favorito il salto di specie dell’agente infettivo, dall’animale all’essere umano. La pandemia è frutto di questo modello di sviluppo, quindi i temi che ponevamo allora sono tutti fondamentali. Se allora noi dicevamo che un altro mondo è possibile, oggi diciamo che un altro mondo è urgentemente necessario”. Ed è per questo, chiosa Agnoletto, “che noi torniamo vent’anni dopo a Genova guardando in avanti, non indietro, e guardando in avanti abbiamo scelto uno slogan importante: voi la malattia, noi la cura. La cura del pianeta, delle specie, degli esseri umani e di ciascuno di noi. Voi, pochi potenti che dominate, siete la malattia, noi, in rappresentanza di 7 miliardi e 800 milioni di persone, siamo e proponiamo la cura”.

 



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Roberto Silvestrin

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