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27 novembre 2024

Castelfranco

Infarto, le cardiologie di Castelfranco e Treviso studiano nuove strategie di trattamento

I due reparti del'Ulss2 tra i partner dello studio Dubius Trail che cambierà le linee guida internazionali di trattamento

| Isabella Loschi |

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| Isabella Loschi |

ospedale Castelfranco

CASTELFRANCO - Le Cardiologie di Castelfranco Veneto e Treviso fanno scuola in tema di trattamento e prognosi dell’infarto. Le due cardiologia, dirette dal dottor Carlo Cernetti, grazie al coordinamento del dottor Luca Favero, delegato regionale Gise (Società di Cardiologia Interventistica), hanno attivamente partecipato e contribuito a un importante studio, il Dubius Trail, che ha consentito alla ricerca italiana di fare ancora scuola a livello mondiale.

“Grazie a questo studio a cui le Cardiologie di Treviso e Castelfranco Veneto hanno dato un contributo molto rilevante - spiega il dottor Cernetti - abbiamo dimostrato che una strategia invasiva, entro le 24 ore dall’evento e con approccio radiale (dal polso) incide sui risultati più di quanto faccia la tempistica della terapia farmacologica e rende superflua l’annosa discussione sulla necessità di un trattamento antiaggregante a monte (tutti i pazienti) o a valle (trattamento selettivo) della rivascolarizzazione”.

In Italia ogni anno sono colpite da infarto subendocardico 80.000 persone, di queste 52.000 vengono sottoposte a stent coronarico. “Attraverso lo studio Dubius Tril, spontaneo e indipendente, finanziato dal Gise e pubblicato su JACC, Journal of the American College of  Cardiology, la più importante rivista mondiale di cardiologia abbiamo individuato la strategia di trattamento farmacologico più efficace e sicura nelle fasi che precedono la coronarografia, l’angioplastica coronarica e il bypass aorto-coronarico. Era necessario valutare in modo rigoroso le implicazioni cliniche dell'approccio farmacologico più comunemente utilizzato, il cosiddetto pretrattamento che viene applicato a tutti i pazienti fin dal primo sospetto diagnostico di infarto. Il Dubius lo ha confrontato con una strategia selettiva, basata sulla somministrazione di un antiaggregante solo dopo la certezza della diagnosi ottenuta dalla coronarografia”.

Con i risultati di questo studio, si potrà evitare, a circa 80.000 pazienti l’anno una somministrazione a tappeto di potenti antiaggreganti prima della coronarografia, con una riduzione di potenziali effetti collaterali e notevoli ricadute sull’appropriatezza delle cure. “A distanza di circa 20 anni dal celebre studio GISSI, – affermano il prof. Tarantini e il primario Cernetti - la Cardiologia Interventistica italiana (GISE) si distingue a livello internazionale per una sperimentazione clinica in grado di influenzare le pratiche di trattamento dell’infarto a livello europeo grazie ad una stretta collaborazione tra la Università e rete Ospedaliera.

“Il Dubius – concludono Cernetti e Favero - conferma che, sull’infarto, l’Italia è best in class, con risultati che riducono gli eventi avversi a meno della metà rispetto al resto del mondo: 2 su 100 trattati contro i 7 a livello globale”.

 


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