Lui dà le penitenze
Tra chiacchiere (e barzellette), il buonumore di don Pier Amort, canonico penitenziere della diocesi di Ceneda
| Emanuela Da Ros |
Era biondissimo da giovane? A volte (spesso) dopo aver fatto una domanda all’intervistato, mi pento (la penitenza c’entra alla grande in questo pezzo). Lo so che prima di scivolare verso la curiosità sciocca basterebbe aggrapparsi al parapetto del buonsenso, della buona-educazione-di-base, ma quando l'interlocutore mi mette a mio agio trovo la scivolata irresistibile. E a volte (spesso) divertente. Ho chiesto a don Pier Amort, canonico penitenziere della diocesi, se da bambino fosse biondissimo. Una ragione c’era. Più di una. Prima di tutto don Pier, che ha compiuto 81 anni lo scorso maggio, ha lineamenti e fattezze “nordiche” e sottili capelli chiari intorno alla fronte altissima, e poi - raccontando qualcosa di sè - mi aveva detto che il papà Joseph era originario di Hagen Mitte, in Germania. Don Pier Amort aveva quindi ereditato dal papà gli occhi azzurri e la carnagione chiarissima. E dalla mamma, Irma Ada, originaria di Santa Lucia? Be’, la conversazione non è durata così a lungo da ripercorrere la genealogia di questo monsignore che ho incontrato per due motivi: capire che cosa fa un penitenziere, quali peccati si trova a dover ascoltare (e assolvere) e farmi raccontare una barzelletta. Don Pier infatti “di professione” fa il confessore, o meglio il penitenziere, girando tutta la diocesi: il mercoledì mattina è a Oderzo, il venerdì a San Rocco a Conegliano, il sabato mattina a Pieve di Soligo e il mercoledì e il sabato pomeriggio in cattedrale a Ceneda. Nominato dal vescovo “canonico penitenziere”, svolge questo servizio da tre anni, dopo essere stato parroco di Miane, di San Vendemiano e aver avuto diversi incarichi formativi anche all’interno del Seminario vescovile. Istituto dove aveva completato gli studi e inaugurato quella che l’amico e conterraneo Innocente Soligon aveva definito una “vocazione adulta", dato che don Pier Amort si era fatto prete a 32 anni, nel 1975 (il prossimo anno festeggerà il 50° di sacerdozio).
Don Pier, che requisiti ci vogliono per fare il penitenziere?
Ci vuole cuore. Chi viene a confessarsi vuole trovare accoglienza, comprensione. Lei ascolta chi confessa peccati piccoli e grandi, peccati che restano nel segreto del confessionale e di cui ovviamente non può dire nulla.
Ma chi sono i peccatori? Quanti anni hanno? Sono per lo più uomini o donne? Esiste la questione di “genere” tra i peccatori?
Vengono da me persone di tutte le età. Uomini e donne. E tanti giovani. Persone che hanno peccato ma che nel momento in cui sentono la necessità o il desiderio di confessarsi hanno già iniziato un percorso di riparazione. Più che peccatori incontro ancora tante belle anime, persone che intraprendono un cammino di santità. Perché santi si diventa.
Ma la confessione che aiuto dà ai peccatori?
Li fa prendere coscienza della necessità di riprendere un cammino giusto. E‘ un aiuto fondamentale. Quali sono le penitenze che, in virtù del suo ruolo, lei assegna? Dipende, la penitenza è fatta di tante azioni: tra queste la preghiera, un pellegrinaggio…
Crede che i peccati siano aumentati negli ultimi tempi? Si siano aggravati? La società in cui viviamo ci fa assistere a tante atrocità…
E‘ indispensabile avere fiducia. Nel futuro, nell’uomo. E nel Signore, che è più forte del peccato, delle tentazioni. Bisogna sempre avere speranza. Mi ha raccontato che suo papà Joseph, tedesco di origine, era arrivato in Italia, a Santa Lucia di Piave dove lei è nato, dopo la guerra. In quegli anni difficili ha fatto il camionista, ma per cinque anni non aveva né la cittadinanza tedesca né quella italiana: di fatto era apolide, come lei stesso ha precisato.
Che pensa del diritto di cittadinanza per i giovani figli di immigrati? Immagino sia d’accordo con lo ius soli…
E‘ un discorso troppo complesso per essere esaurito in poche parole; richiede un’attenta valutazione.
Me la racconta una barzelletta?
Le regalo il mio libro Un po’ di buonumore…dove ho raccolto bartezzelle e battute lette durante la trasmissione ‘Ti faccio un po’ di compagnia’. Andava in onda una volta alla settimana su una radio a bassa frequenza quando ero parroco di San Vendemiano. L’idea era nata per venire incontro alle esigenze degli anziani che non potevano muoversi da casa. Attraverso la radio potevano ascoltare la messa e una trasmissione in cui si davano piccoli semplici consigli domestici. Ogni puntata si concludeva con delle barzellette. Alla fine ne avevo raccolte così tante da farle confluire in libro, arrivato già alla settima edizione. Il ricavato del volume - in vendita presso la libreria del seminario - ha consentito di raccogliere fondi per l’asilo parrocchiale di San Vendemiano e per aiutare l'ospedale pediatrico di Betlemme.
Oggi i social hanno in parte sostituito la radio: come li considera?
Penso che ogni cosa, ogni oggetto anche tecnologico, abbia in sé del buono: dipende da come lo si usa. Può distruggere o fare del bene.
Nel suo libro ci sono anche delle barzellette sui sacerdoti?
Sì. Quella con don Giocondo è intitolata Certi parroci furbi…A proposito mi fa leggere l’articolo prima di pubblicarlo, vero?
No. Casomai se dovesse trovarci qualcosa che non va mi darà una penitenza.
Sicuro!
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