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18 ottobre 2024

Vittorio Veneto

L'utopia e l'Europa: dibattito tra liceali e universitari

Interventi di Zagonel, Maso e Imperio

| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

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| Pietro Panzarino - Vicedirettore |

L'utopia e l'Europa: dibattito tra liceali e universitari

VITTORIO VENETO - Il seminario utopico del 31 marzo 2017 a Vittorio Veneto, dalle ore 9.30 alle 13.00, porta il lavoro di ricerca e di didattica dell'Università Ca' Foscari in un luogo straordinario, si potrebbe dire utopico, come la Sala del Maggior Consiglio della Loggia della Comunità di Serravalle a Vittorio Veneto.

 

L'incontro è realizzato con la collaborazione della Città di Vittorio Veneto e con la sinergia del Liceo Classico Marcantonio Flaminio di Vittorio Veneto che insieme agli studenti di Ca' Foscari partecipa all'esperimento didattico con due classi dell'ultimo anno del liceo classico e con i propri docenti.

 

Si parla naturalmente di utopia. Ma si inizia con la libertà di pensiero e di espressione nella scuola, con l'esempio straordinario di un nume tutelare della città di Vittorio Veneto come Lorenzo Da Ponte.

Ne parla Giampaolo Zagonel, lo studioso vittoriese che ha pubblicato le poesie, le lettere e una biografia del grande librettista di Mozart.

Seguiranno gli interventi di due accademici, Stefano Maso di Ca' Foscari Venezia e Olimpia Imperio grecista dell' Università di Bari, che ha accolto l'invito per anticipare alcuni passaggi della sua relazione in questa intervista per OggiTreviso.

 

1) Recentemente il Rettore emerito di Bologna, latinista, in un dibattito con gli studenti, aperto alla Città, da latinista aveva parlato della sua opera "Il presente non basta". A poche settimane sul medesimo argomento cosa puoi suggerire da grecista?

«è al greco che torniamo quando siamo stanchi della vaghezza, della confusione; e della nostra epoca»: mi pare che questa celebre frase di Wirginia Woolf, rivitalizzata dal recente successo editoriale del pure assai discusso volume di Andrea Marcolongo (La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco), esprima in maniera icastica le ragioni – molto più di nove, in realtà – per cui «il presente non basta».

E, in sintonia con il mood ‘apocalittico’ che emerge dai titoli dei miei due interventi di questa giornata, aggiungerò che soltanto riscoprendo la lexis e il kosmos dei Greci del passato nella loro essenzialità e nitidezza potremo orientarci nel caos della modernità e potremo dunque, in molti sensi, vincere molte delle nostre paure e provare a ‘salvarci’, e come individui e come collettività.

 

2) Puoi segnalarci qualche passaggio significativo sul tema, estrapolato dalla letteratura greca?

io penso che noi Europei siamo davvero i ‘Greci del presente’. Me ne convinco sempre più rileggendo testi emblematici del pensiero politico greco, come l’oratoria e la storiografia e la prosa filosofica: in un celebre passo del Panegirico di Isocrate, per fare un solo esempio tra tanti, l’oratore attico esalta il primato di Atene nel nome della sua superiorità culturale sul resto del mondo ellenico; sicché – come notava Werner Jaeger – il nome di ‘ greco’ non designa ormai più, già nel quarto secolo a.C., soltanto una ‘razza', ma una nazionalità spirituale, un grado supremo dell’intelletto, una paideia che travalica i vincoli di sangue e di stirpe, o, diremmo noi, i confini delle etnie e delle nazioni, e che – come recita ad esempio la dichiarazione di Roma del 25 marzo scorso – dovrebbe rendere tutti noi europei più ‘resilienti’ dinanzi alle difficoltà e alle sfide del mondo attuale, e più uniti nel rispetto delle regole comuni ma anche dell’autonomia dei singoli stati, e tutti più sensibili al rispetto di quei valori di solidarietà nei confronti dei più deboli e di accoglienza nei confronti degli stranieri che, al netto di ogni retorica identitaria, sono alcuni tra gli insegnamenti più preziosi che la civiltà greca antica ci ha trasmesso.

 

3) In genere, quando si parla del pensiero classico si fa riferimento alla tragedia, invece anche la commedia ha le medesime potenzialità...

Lo statuto precipuo del genere comico tout-court e della commedia greca del quinto secolo a.C. in particolare conferisce al commediografo una speciale ‘licenza’: quella di fare incursione nella finzione comica o di servirsi di essa per ‘parlar chiaro’ agli spettatori, che sono di fatto la ‘maggioranza silenziosa’ della cittadinanza radunata a teatro, su questioni di scottante attualità, lasciandosi andare a continue esternazioni di natura metateatrale, e prendendosi anche libertà che difficilmente sarebbero state concesse a un oratore che con le sue demegorie faceva politica attiva in assemblea, e che neanche un tragediografo avrebbe mai potuto concedersi, perché per farlo avrebbe dovuto squarciare il ‘cielo di carta’ della trama mitica.

«Anche la commedia conosce ciò che è giusto», «è in grado di dire cose serissime oltre che molte facezie», «di educare gli spettatori e di criticare i concittadini», e di farlo facendoli appunto ridere: sono queste alcune delle rivendicazioni di cui sono costellati i testi di Aristofane, che, somma espressione della cosiddetta poetica del «serio-comico», rappresentano per noi moderni uno dei più antichi esempi di letteratura impegnata.

 

4) Sulla base della tua esperienza accademica cosa pensano i giovani su questi temi?

Su questi temi i giovani sono molto più avanti di noi: al di là della maggiore dimestichezza ormai acquisita con le lingue straniere, e sempre crescente è l’interesse che si registra, nella scuola e nell’università, nei confronti di una formazione che sia davvero multiculturale e transnazionale: il successo dei programmi di scambi europei Erasmus e Comenius lo dimostra inconfutabilmente.

E ciò, evidentemente, anche in ragione di una sempre maggiore consapevolezza della necessità di acquisire altrove competenze specializzanti che possano meglio qualificare la propria formazione, da poter poi tornare a spendersi – auspicabilmente – nel proprio paese.

Questa mi pare di registrare come l’aspirazione più diffusa tra gli studenti, o almeno tra quelli più motivati, che andrebbe pertanto coltivata appunto attraverso lo studio delle radici dell'identità europea.

 

5) Qual è la tua opinione nel merito di un'eventuale disciplina scolastica riguardante la storia dell'Unione Europea alle superiori e all'università?

In tal senso, l’idea di istituire una disciplina che possa parlare di storia dell’Europa unita è effettivamente una direzione di marcia su cui puntare: formare i nostri studenti come cittadini europei ‘consapevoli' dovrebbe essere in questo momento il principale obiettivo che noi educatori, al di là delle competenze specifiche dei nostri ambiti disciplinari, dovremmo perseguire.

pietro.panzarino@oggitreviso.it

 


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