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18 dicembre 2024

Treviso

"Mafie a Nordest": nell'indifferenza, la Terra dei Fuochi a "Casa Nostra"

Un'inchiesta giornalistica svela i contorni del fenomeno mafioso in Veneto

| Davide Bellacicco |

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| Davide Bellacicco |

mafie a nordest

TREVISO- «La mafia in veneto non si è mai infiltrata: l’abbiamo cercata, l’abbiamo voluta. Tra l’alta padovana e la Marca le ecomafie hanno cercato di realizzare una Terra dei Fuochi del nord. Centinaia di discariche, anche in zone urbanizzate, piene di veleni. Le possibilità che i nostri concittadini perdano la vita a causa di un attentato terroristico rasentano statisticamente lo zero, eppure, giustamente, la preoccupazione è grande. I tumori provocati dall’esposizione agli agenti inquinanti sono una delle principali cause di morte e la gente non conosce neanche su cosa cammina». Spiega così Ugo Dinello, giornalista del Gruppo l’Espresso già premiato dall’ordine dei giornalisti per le inchieste su Unabomber, le ragioni della pubblicazione di Mafie a Nordest, un’inchiesta giornalistica sul fenomeno mafioso nel nostro territorio firmata anche da Giampiero Rossi del Corriere della Sera e da Luana De Francisco (Il Messaggero Veneto). La disamina dell’opera, presentata ieri sera presso la Sala Consiliare dei Trecento in un dibattito moderato da Sara Salin, apre la rassegna “Mi Me Intrigo”, simpatico riferimento in salsa veneta al più internazionale I care, mi importa, ho a cuore, che don Milani, opponeva al motto fascista “Me ne frego”. Saranno sette in tutto le serate, promosse dalle associazioni Avviso Pubblico, Libera e Cosa Vostra, ospitate dalle amministrazioni di diversi comuni del territorio e tutte accomunate dalla volontà di approfondire, secondo le diverse prospettive, il rapporto tra territorio e legalità.

 

Se la Provincia di Venezia sembrerebbe terra prediletta dalle cosche per gli investimenti: «A Venezia ci sono hotel pagati in contanti ben 8 volte il valore di mercato», anche Treviso, secondo gli autori, è una provincia ad elevato rischio: «In un territorio così ricco di imprese, c’è anche chi cerca di evadere le tasse. A questo scopo occorre generare del nero che andrà in qualche modo riciclato. La mafia, ancora una volta, può svolgere questo ruolo; lo svolge bene e nell’ottica di un accordo fra le parti, di un patto serio in cui ci si rispetta e chi sbaglia paga». «Nella maggior parte dei casi», spiegano, «Neanche si conosce la rete che si sta contattando. Si coinvolge un professionista nel problema, pensiamo al commercialista di fiducia o al legale, il quale garantisce di risolvere la situazione. Il titolare dell’impresa potrebbe non sapere neanche che quello specifico professionista ha legami con la criminalità organizzata, ma il fatto stesso di cercare il modo, ad esempio, di occultare del denaro, moltiplicato il fenomeno su scala regionale, definisce le ragioni per cui una cosca sceglie di operare qui».

 

In Calabria, in Sicilia o in Campania il panorama imprenditoriale è disaggregato e povero. C’è dove speculare ma non dove investire, e poi c’è uno spaccato sociale che se non accettiamo di definire spesso connivente, dobbiamo definire, almeno in linea di massima, arreso. Qui c’è dove investire e anche una (perversa) domanda di servizi ad hoc che fa acquisire nuove risorse ai clan e anche quelle prese di distanza da quel mondo che ripugna si affievoliscono se pensiamo al mafioso stereotipato e poi quello vero non sappiamo riconoscerlo. Perché il mafioso con la coppola e la lupara è morto di vecchiaia, e anche da tempo. Oggi il mafioso, come ha rimarcato di recente anche Rosy Bindi, attualmente Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, è anzitutto un manager «che trae vantaggio dalle fragilità di un sistema travestendosi nel caso di imprenditori in difficoltà da benefattori e cercando anche rapporti con assessori comunali». Sì, perché prima dei grandi affari scoperti in Lombardia fra Expo e aree da riqualificare, prima delle maxi operazioni di controllo del territorio svelate dai collaboratori di giustizia e da Gomorra, prima di tutto questo, ci ricordano gli autori, «c’è il consigliere comunale del piccolo comune di provincia, eletto non casualmente che, fungendo da grimaldello per entrare nella gestione delle comunità, con un appalto spalanca le porte ad organizzazioni dalle potenzialità infinite». E basta l’azione di un corrotto per rovinare quanto di buono c’è nella politica. Lo sottolinea anche l’assessore Cabino, presente all’iniziativa: «Violare la legge è colpire chi le regole le segue. È bene restare vicini agli amministratori onesti: chi amministra non ha da temere nulla se non l’isolamento».

 

Lo stato certamente, nelle sue carenze funzionali, non aiuta. Il Veneto è la seconda regione d’Italia per presenza di strutture in amianto e ad oggi non possiede alcuna discarica che possa accogliere questo tipo di rifiuto. La più vicina si trova in Austria. I costi di smaltimento sono elevatissimi e l’imprenditore locale sa che esiste la possibilità di contattare persone che a un prezzo enormemente inferiore quel materiale lo porta altrove. Anche un amministratore che non sa come e dove smaltire per via dei costi non sostenibili da un piccolo comune può diventare un anello debole che potrebbe subire delle pressioni o potrebbe egli stesso andare alla ricerca di soluzioni low cost eticamente discutibili.

 

È proprio sul tema rifiuti che Dinello lancia l’invettiva più diretta destinata a suscitare delle reazioni: la presenza in sala di un ingegnere, responsabile regionale per il ciclo di rifiuti, appena andato via, lo induce, infatti, a raccontare le vicende nebulose di cui, secondo il giornalista, si sarebbe reso protagonista, unitamente a personaggi del calibro del già Presidente del Consiglio Regionale, Ruffato, fatti tutti riconducibili al fenomeno delle ecomafie di cui il libro discorre e su cui la magistratura, dovrà fare ulteriormente luce. Secondo i relatori, infatti, negli anni la Direzione Distrettuale Antimafia di Venezia non avrebbe approfondito a dovere il grande tema dello sviluppo delle cosche nel nostro territorio, limitandosi a procedere contro singoli soggetti collusi con le mafie del sud o ad assistere le procure del Mezzogiorno nella lotta al fenomeno mafioso in quelle regioni. Gli arresti di questi mesi e le indagini tuttora in corso danno, tuttavia, il segno di un rinnovato impegno anche in ambito locale, complice il fatto che talune avvisaglie di quel tipo di presenza stanno divenendo sempre più evidenti: è il caso della lunga serie di incendi di natura dolosa su cui si sta cercando di chiarire l’eventuale natura intimidatoria o punitiva.

 

A tutto questo si aggiunge lo sviluppo in loco di sodalizi criminali che crescono dotati di una certa autonomia, se non indipendenza dalle realtà del meridione: «A Fagarè c’è la cosca di ‘Ndrangheta più grande del Nordest. In queste settimane è stata sequestrata mezza tonnellata di cocaina importata qui direttamente dalla Colombia. Non è stata mandata prima in Calabria e poi al nord. Questo significa che quel gruppo era così forte da riuscire ad ottenere dalle ‘ndrine calabresi il via libera per una gestione autonoma. Avevano gli agganci per stare sul territorio e sapevano come investire quei proventi a dir poco incalcolabili». E chissà quanto avrà contribuito tanta rilassata inerzia di chi avrebbe dovuto controllare a dovere, all’espansione della "Mafia a Nordest".

 


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Davide Bellacicco

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