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18 aprile 2024

Cronaca

Milano Cortina 2026: "Giochi più sostenibili con impianti esistenti!"

Legambiente denuncia la mancata promessa che garantisce la sostenibilità del progetto: “Il rilancio della montagna non passa dalla costruzione di nuove cattedrali nel deserto”.

| Ilaria Frare |

| Ilaria Frare |

Olimpiadi Milano Cortina 2024

CORTINA - Ma, ad oggi, sono almeno due su quattordici le sedi di gara che sollevano ben più di un dubbio sull'effettiva sostenibilità economica ed ambientale delle stesse. Si parla infatti della ricostruzione della pista da bob "Osvaldo Monti" di Cortina e l'intervento di copertura dell'ovale del ghiaccio per il pattinaggio di velocità, a Baselga di Piné, in Trentino.

E' lo stesso Comitato Internazionale Olimpico a chiedere da tempo di poter usufruire di sedi di gara non lontane ma che, a differenza delle due, sono già strutturate e attrezzate per ospitare le competizioni e, più in generale, dei Giochi olimpici. Anche Legambiente si schiera a favore dello sfruttare strutture già esistenti e ricorda quanto accadde per le Olimpiadi svoltesi a Torino nel 2006: “Sulle montagne piemontesi sono rimasti in eredità almeno un paio di veri e propri ecomostri. La pista da bob, in particolare, è costata 110 milioni di Euro e non è mai stata utilizzata dopo le Olimpiadi.” afferma Vanda Bonardo responsabile Alpi di Legambiente.

“Noi ambientalisti avevamo già allora chiesto di gareggiare nelle strutture preesistenti della vicina Albertville e non siamo stati ascoltati. A poco sono servite le considerazioni postume sulla problematicità degli impianti da parte dell’ex sindaco Castellani. Allora non c’è stato l’ardire, o la volontà di compiere una scelta innovativa. Chissà se ora, a venti anni di distanza e a un po’ di decimi di grado in più di temperatura,  si troverà il coraggio e il buon senso di utilizzare l’impianto di bob di Cesana  per le Olimpiadi 2026. Oppure la pista di Innsbruck, in Austria". 

La storica pista da bob di Cortina, già famosa per aver ospitato le gare iridate del 1956 e, successivamente, caduta in stato di abbandono nel 2008, è totalmente inadeguata agli attuali standard del bob, slittino e skeleton. Quella che viene definita una "ristrutturazione" è in realtà un rifacimento totale che richiederà un aumento del consumo di suolo in un'area già fortemente antropizzata.

In più, i costi stimati dal dossier ammontavano a circa 50 milioni di Euro con finanziamento pubblico, secondo le stime CIO però, la cifra sembra già essere salita raggiungendo un costo complessivo stimato intorno ai 63 milioni.  Per quanto riguarda invece Baselga di Piné, gli investimenti per la copertura e il rifacimento degli impianti di produzione del ghiaccio per la pista di pattinaggio erano stimati a circa 52 milioni, ma sembrano già essere aumentati raggiungendo i 70 milioni.

L'alternativa sarebbe quella di ospitare le gare di pattinaggio nell'Oval Lingotto di Torino, inutilizzato dopo le Olimpiadi Invernali del 2006. Il rischio però è quello di avere degli impianti in perdita, come insegna l'esempio piemontese, visto il numero piuttosto ridotto di chi pratica queste discipline: il CIO stima infatti un deficit tra i 570 e gli 830 mila euro all’anno per l’Ice Rink di Piné.

La questione non riguarda solamente i soldi, ma anche le tempistiche di realizzazione delle opere: la pista da bob e la copertura dell'ice rink sono molto in ritardo rispetto ai tempi previsti. La stima per il completamento delle opere, secondo il dossier, era di circa quaranta mesi con inizio dei lavori di costruzione previsto per giugno 2021, un'operazione che, allo stato attuale, risulta del tutto impensabile. Non c'è quindi la certezza di arrivare in tempo e preparati ad ottobre 2024 e consentire lo svolgimento delle gare preolimpiche.

“La logica delle grandi opere in emergenza, che in Italia abbiamo visto tante volte, va superata” conclude Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente. “Per questo chiediamo di rivedere questi progetti con un’attenta valutazione che dia priorità all’utilizzo di impianti esistenti, riducendo i costi economici e ambientali, tanto più in un momento di crisi e di grande incertezza, come quello che stiamo vivendo. Il rilancio della montagna non passa dalla costruzione di nuove cattedrali nel deserto”.

 

 


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Ilaria Frare

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